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Primo levi - vita e opere, se questo e' un uomo




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PRIMO LEVI

Vita e opere

Primo Levi nasce a Torino nel 1919 da una famiglia ebrea piemontese di solide tradizioni intellettuali. Laureato in chimica e chimico di professione, diventa scrittore in seguito alla traumatica esperienza della deportazione ad Auschwitz. E' questo l'evento centrale della sua vita, che fa scattare in lui la molla della scrittura, sentita come un'impellente necessità di confessione, di analisi e come un ineludibile dovere morale e civile. Il ricordo mai estinto di Auschwitz è anche probabilmente alla base dell'inatteso ed enigmatico suicidio con il quale lo scrittore pone termine alla sua esistenza, nel 1987.

Fino al 1938 Primo Levi è un normale studente di agiata famiglia con la passione della chimica, dalla quale spera di ricavare 'la chiave dell'universo.il perché delle cose'; le leggi razziali rappresentano per lui una svolta che gli apre gli occhi sulla natura del fascismo e lo orienta verso l'azione politica. Alla fine del 1942 entra nel Partito d'Azione clandestino e dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 si unisce a un gruppo partigiano di 'Giustizia e libertà' operante nella Valle d'Aosta. Catturato dalla milizia fascista il 13 dicembre 1943, viene internato nel campo di concentramento di Fossoli e successivamente deportato ad Auschwitz (febbraio 1944).

Nel Lager, dove rimane circa un anno, Primo Levi riesce a sopravvivere grazie a circostanze fortunate, sulle quali torna per tutta la vita a mettere l'accento:

'Sono stato fortunato: per essere stato chimico, per avere incontrato un muratore che mi dava da mangiare, per avere superato le difficoltà del linguaggio.; mi sono ammalato una volta sola, alla fine, e anche questa è stata una fortuna, perchè ho evitato l'evacuazione dal lager: gli altri, i sani, sono morti tutti, perchè sono stati deportati verso Buchenwald e Mauthausen, in pieno inverno'.

Il Lager incide profondamente sulle sue convinzioni: gli dà la coscienza di essere diverso in quanto ebreo e lo spinge verso lo scetticismo religioso.

'Sono diventato ebreo in Auschwitz. La coscienza di sentirmi diverso mi è stata imposta.'

'L'esperienza di Auschwitz è stata per me tale da spazzare qualsiasi resto di educazione religiosa..C'è Auschwitz, quindi non può esserci Dio'.

A testimonianza di questa tragica esperienza, Primo Levi scrive di getto nel 1946 e pubblica nel 1947 Se questo è un uomo, il libro che solo dieci anni più tardi sarà riconosciuto come il capolavoro della letteratura concentrazionaria, sul quale la nostra classe ha svolto uno studio approfondito.

Dal momento in cui le truppe russe entrano nel Lager di Auschwitz, abbandonato dai tedeschi in ritirata, prende avvio La tregua, il secondo libro di memoria di Levi, pubblicato nel 1963 e considerato da alcuni la sua opera più alta. La tregua narra il tormentato viaggio di ritorno in patria dell'autore con un gruppo di compagni attraverso un'Europa ancora sconvolta dalla guerra. Come l'esperienza del Lager è associabile all'inferno (cfr. Il Lager come metafora dell'inferno), così l'odissea del viaggio di ritorno, nel quale avviene una lenta e travagliata resurrezione alla vita, rimanda al purgatorio, in una sorta di percorso simile a quello dantesco; tuttavia l'analogia si ferma qui, in quanto Levi, a differenza di Dante, non potrà mai raggiungere la completa liberazione.

Questo secondo libro rivela l'acquisita consapevolezza di una vocazione letteraria: scrivere non è più per Levi un fatto occasionale o episodico e, al dolente testimone del Lager, si affianca uno scrittore dall'ispirazione varia, che sperimenta forme letterarie diverse dalla memorialistica.

Pubblica racconti di genere fantascientifico come quelli raccolti nelle Storie naturali (1967) o in Vizio di forma (1971), accanto ai quali vanno ricordati i brevi testi di Sistema periodico (1975), intitolati ciascuno a un elemento chimico e ispirati alla professione dell'autore. Per spiegare la sua doppia natura, di scrittore e di scienziato, Levi usa la metafora del centauro, come abbiamo scoperto nello spettacolo visto quest'anno al Teatro, diretto dal regista Scaglione, che si basa proprio su alcuni racconti delle Storie naturali (cfr. Dossier dell'Area di progetto). Questi testi rivelano, dietro le vicende paradossali venate da una sottile ironia, l'intento di indurre alla riflessione sui rapporti fra la scienza e l'umanità.

Nell'ambito del filone legato agli interessi scientifici dell'autore, l'opera più importante è forse La chiave a stella (1978), dove si raccontano le esperienze di vita e di lavoro dell'operaio piemontese Faussone, che gira il mondo per svolgere il suo lavoro di montatore: nel personaggio, quasi una proiezione dell'autore, spiccano la curiosità intellettuale e un vivo senso della dignità del proprio lavoro.

Ma il filone memoriale-saggistico nella produzione letteraria di Levi non si interrompe: direttamente a La tregua si collega infatti il romanzo Se non ora, quando? (1982), che descrive il viaggio di un gruppo di partigiani ebrei russi che vanno dalla Bielorussia all'Italia passando per la Palestina, e il libretto memoriale-ragionativo I sommersi e i salvati (1986) torna sulla tragedia di Auschwitz con l'intento non più di raccontare ma di riflettere, riallacciandosi a Se questo è un uomo.

Su una linea di sostanziale continuità rispetto alle opere in prosa si collocano le raccolte poetiche ( L'osteria di Brema, 1975; Ad ora incerta, 1984; Altre poesie, riunite postume), anticipate dai versi che precedono come un'epigrafe Se questo è un uomo e La tregua e ispirate alla tematica del Lager.

Il punto di contatto fra le 'due nature' di Primo Levi, quella del letterato e quella dello scienziato, sta in una fiducia illuministica nella ragione che si traduce in una scrittura limpida, chiara, essenziale, dove ogni parola viene 'pesata'.

SE QUESTO E' UN UOMO

Voi che vivete sicuri

Nelle vostre tiepide case,

Voi che trovate tornando a sera

Il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo

Che lavora nel fango

Che non conosce pace

Che lotta per mezzo pane

Che muore per un sì o per un no.

Considerate se questa è una donna,

Senza capelli e senza nome

Senza più forza di ricordare

Vuoti gli occhi e freddo il grembo

Come una rana d'inverno.

Meditate che questo è stato:

Vi comando queste parole.

Scolpitele nel vostro cuore

Stando in casa andando per via,

Coricandovi alzandovi;

Ripetetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa,

La malattia vi impedisca,

I vostri nati torcano il viso da voi.

Periodo storico

La realtà storica in cui vive l'autore è quella nazifascista della seconda guerra mondiale durante la quale milioni di persone furono deportate nei campi di concentramento o lager che dir si voglia. In questo periodo di terrore erano state abolite la libertà di parola e di stampa. Le uniche verità accettate in Germania ed in Italia erano quelle proclamate dai due rispettivi leader dell'epoca: Adolf Hitler e Benito Mussolini. Erano quindi frequenti le insurrezioni di movimenti che erano contrari al governo e che non vi appartenevano (i partigiani). A questi movimenti aderirono molte persone e le loro azioni furono utili alle Nazioni Unite ed agli altri paesi europei opposti all'Asse per combattere la Germania e i paesi ad essa alleati. Un compito molto importante dei paesi liberatori fu quello di liberare e salvare i superstiti dei campi di concentramento, ormai ridotti ad un numero abbastanza esiguo se si pensa a tutti quelli che furono deportati. Per cinque anni il campo di concentramento di Auschwitz suscitò terrore tra gli abitanti dei paesi occupati dai nazisti durante la seconda guerra mondiale.

Al termine della campagna del settembre 1939 la città di Oswiecim e le città situate furono annesse al Reich.  Nello stesso tempo i nazisti cambiarono il suo nome in Auschwitz. Già verso la fine del 1939 nell'Ufficio del Comando Supremo delle SS e della Polizia a Wroclaw era nata l'idea della creazione di un campo di concentramento.  La proposta di creazione di questo campo fu motivata dall'affollamento delle prigioni esistenti in Slesia e dalla necessità di una nuova ondata di arresti di massa tra la popolazione polacca della Slesia e del Governatorato Generale. Il campo di concentramento di Auschwitz fu fondato nel 1940 come luogo di reclusione per i prigionieri politici polacchi.  Successivamente i nazisti iniziarono ad usarlo per deportarvi prigionieri provenienti da tutta l'Europa, principalmente ebrei, ma anche sovietici e zingari. Praticamente poi tra i detenuti vi era gente di ogni nazionalità.

Ambiente

Gli ambienti di cui ci parla l'autore sono principalmente due: il treno del viaggio di andata ed il lager.

Riguardo il treno fa una descrizione molto accurata della struttura dei vagoni, che sono molto stretti, scomodi e non igienici. I deportati sono costretti a viaggiare accalcati senza muoversi. L'odore dei deportati non sembra già più umano perché durante il lungo viaggio essi non hanno modo di lavarsi se non con l'acqua piovana. Il legno è freddo a causa della  temperatura molto bassa e della pioggia. I deboli corpi dei deportati infatti sono esposti alle intemperie che non sono altro che un prologo a ciò che si dovranno apprestare a subire

Del lager di "Buna" (dal nome di una gomma sintetica che dovrebbe essere prodotta in tale luogo) abbiamo una descrizione molto accurata per la struttura ma anche per il significato che comporta per i detenuti. E sicuramente questo secondo aspetto è il più importante per l'autore e per il lettore. Ogni caratteristica del luogo acquista un significato simbolico per Primo Levi; per esempio il fango, in cui sono costretti a camminare quotidianamente i detenuti, sprofondandoci, è il simbolo della perdita della dignità di uomini. Ma ogni cosa a cui i detenuti sono sottoposti ci fa pensare alla perdita della dignità umana. Per quanto riguarda la spazio reale il campo è suddiviso in questo modo: è composto da baracche (Blocks), ognuna con un compito differente.. E' presente un'infermeria, il Ka-be, dove sono ricoverati i malati o i feriti e c'è pure un centro chimico dove Primo andrà a lavorare durante il suo ultimo periodo di prigionia. Nei block più importanti stanno le SS, in quelli meno importanti stavano i detenuti. Ma anche fra i detenuti c'erano delle profonde divisioni, che influivano nella disposizione delle persone nei block. Nelle baracche era un grande problema anche dormire perché le brande erano piccole e perciò più di una persona spesso doveva dormire in un letto. L'inconveniente era poi più grave quando il di branda era malato oppure aveva problemi di incontinenza. Non vi erano bagni ed i deportati dovevano arrangiarsi con dei secchi che dovevano poi essere svuotati a turno.

Contenuto

Il libro narra le esperienze dell'autore nel periodo in cui fu deportato dai nazisti nella Seconda Guerra Mondiale nel lager di Buna-Monowitz nei pressi di Auschwitz. La vicenda inizia dall'arresto avvenuto la notte del 13 dicembre 1943 fino al momento della liberazione dal Lager la mattina del 27 gennaio del 1945. Le esperienze sono presentate dallo scrittore con il metodo dell'intreccio, perché la narrazione degli eventi è lineare ma spesso l'autore ci fornisce anticipazioni su ciò che accadrà (è già accaduto) al personaggio. L'autore utilizza quindi più modalità per raccontare la sua vicenda: quella del resoconto, in cui gli avvenimenti ci sono esposti nella loro successione cronologica; quella dell'accostamento dei fatti ad idee più generali sulla condizione umana e quella di impianto diaristica adottata nelle ultime pagine, che è più adatto a raccontare gli ultimi eventi. La testimonianza che Levi ci affida attraverso le pagine del suo libro non è altro che una lunga meditazione sull'opera di annientamento della personalità umana da parte dei nazisti, cosa che è il primo obiettivo dei campi di sterminio.

Dopo averci narrato come fu catturato dai fascisti e condotto nel campo di concentramento, e dopo averci descritto attraverso pagine altamente drammatiche come gli ebrei internati nel campo accolsero l'annuncio della deportazione Levi affronta la descrizione del viaggio che lo conduce dalla piccola stazione di Carpi, in Italia, ad Auschwitz nell'Alta Slesia. Giunti a destinazione, il meccanismo dell'annientamento si mise subito in moto: fu il primo episodio di una lunga serie di eventi analoghi il cui unico scopo fu di giungere, per gradi, alla totale eliminazione dei deportati. Coloro che furono in grado di essere utilizzati come mano d'opera furono condotti ai campi di lavoro; tutti gli altri, vecchi, inabili, bambini e tutti coloro che non erano adatti al lavoro manuale vennero portati nelle camere a gas. Coloro che si "salvarono" da questa prima eliminazione vennero spogliati (anche della dignità) e vennero rivestiti con casacche a righe e zoccoli, gli venne inoltre tatuato sul braccio sinistro un numero che da quel momento prese il posto del loro nome. Tutti gli internati furono trasferiti durante il giorno presso una fabbrica di gomma, dove svolsero un lavoro massacrante. I piú deboli presto furono stroncati dalla fatica, dalle privazioni, dalle malattie e dal freddo. All'interno del Lager governavano il privilegio, l'ingiustizia, il sopruso, l'abilità personale, l'astuzia; chi non aveva abilità da sfruttare non poteva sopravvivere a lungo. All'interno di questo quadro vengono descritte alcune figure umane, ferocemente o pietosamente tratteggiate dall'autore a seconda dei casi, che incarnano modelli umani veramente esistiti in tempo di guerra. Dopo non molto tempo Primo Levi venne assegnato al kommando chimico, che lo esonerava dalle fatiche massacranti sostenute fino a quel momento. Ma questo non gli impedì di passare mesi contrassegnati da patimenti nonché da un'altra " selezione " prima di entrare a far parte del laboratorio e poter cominciare a nutrire la speranza di superare un altro durissimo inverno. Nel frattempo hanno inizio i bombardamenti degli Alleati sull'Alta Slesia ed anche la fabbrica è colpita. Costretti a lavorare fra la polvere e le macerie, costantemente esposti ai pericoli delle incursioni aeree nonché fatti oggetto da parte dei loro oppressori e aguzzini di una raddoppiata ferocia a causa della tragedia che incombe sulla Germania, i deportati subirono tutto il peso di una situazione che diventava ogni giorno sempre piú insostenibile. L'autore in maniera del tutto inaspettata e quando ormai aveva rinunciato a sperare, fu destinato al laboratorio dove trascorse gli ultimi mesi di prigionia, in un ambiente riscaldato e a contatto con materiali e strumenti che gli ricordavano i suoi studi e la sua professione. In questo periodo avvenne la prima stesura di "Se questo è un uomo" e fu proprio nel raccoglimento consentitogli dal laboratorio che egli avvertì per la prima volta la necessità di sopravvivere per poter testimoniare, nonché la possibilità di dare un senso alle sofferenze patite ed una giustificazione alla propria esperienza rendendone partecipi gli altri attraverso un libro di memorie. Il fronte russo si stava avvicinando, i tedeschi erano ormai consapevoli della catastrofe imminente e si apprestarono a far evacuare i campi di sterminio e a distruggere gli impianti. Era il gennaio 1945. Questi ultimi drammatici avvenimenti ci sono narrati sotto forma di diario. L'autore, che nel frattempo era ricoverato nelle baracche adibite ad ospedale, assistette alla partenza dei suoi compagni. Morirono tutti durante un'interminabile marcia attraverso la Germania, mentre i malati, abbandonati a se stessi, rimasero nel Lager devastato, senza cure, né acqua, né cibo, ad una temperatura di venti gradi sotto zero, decimati dal tifo, dalla difterite, dalla dissenteria. Levi è tra i pochissimi che riuscì a sopravvivere e le pagine conclusive del libro ci danno la cronaca allucinante di quello che accadde in quei terribili dieci giorni e precisamente dal 19 gennaio al 27 gennaio del 1945. Quando all'alba del 27 gennaio arrivarono i russi, lo spettacolo che si offre ai loro occhi fu quello terrificante dei cadaveri che erano accumulati sulla neve e dei pochi superstiti che si aggiravano come spettri fra le rovine del campo.

Ambiente sociale

La quasi totalità dei personaggi descritti é stata nei campi di concentramento, l'autore stesso ha vissuto ad Auschwitz per un anno. Egli é laureato in chimica e questo gli è utile per la sopravvivenza in quanto gli permette di svolgere lavori che gli richiedevano molta meno fatica. Comunque la sua laurea non serve per distinguerlo da tutti gli altri deportati, anche l'autore è solo un numero per i tedeschi. E' una persona come tutti i suoi compagni di viaggio che é stata vittima di uno strano ed avverso destino. Nel libro quindi non viene descritta tanto la posizione sociale dei reduci dal campo di sterminio, quanto le loro idee e la loro fatica per ingegnarsi e così sopravvivere. Intorno a tutti questi personaggi troviamo molte figure, primi fra tutti i militari, quindi infermiere. Ma non possiamo suddividere neppure questi personaggi in categorie poiché Primo Levi descrive ogni personaggio come un soggetto a sé, non rimandabile ad un gruppo particolare.

Analisi dei personaggi

Il protagonista è Primo Levi, lo stesso autore del libro. Inizialmente ingenuo e pieno di speranze, alla fine è attento e scaltro. Sappiamo inoltre che e' un chimico e che parla un po' il tedesco. Vive i fatti da lui raccontati a ventiquattro anni. Gode di buona salute e grazie ad essa scampa alle selezioni. Ma anche grazie alla malattia, non grave, dell'ultimo periodo, riesce a evitarne un'ulteriore. È molto magro, dimostra più anni di quelli che ha, il suo volto è segnato dalle sofferenze e dalla fame ed è completamente calvo perché le SS gli avevano rasato i capelli come al resto dei prigionieri. Alberto ha circa ventidue anni ed è il migliore amico dell'autore. Anche egli, come Primo, è calvo e porta in volto i segni di un'interminabile sofferenza. Altri personaggi presenti ci vengono presentati solo per la loro capacità di adattamento al lager. Lo stesso Alberto (che è all'interno del lager il miglio amico dell'autore), caratterizzato da un grande istinto naturale; ma anche Null Achtzehn (uno dei molteplici compagni di cuccetta di Levi), giovane e ingenuo, i greci di Salonicco, abili commercianti estremamente diffidenti e scaltri, Piero Sonnino il romano, piu' fortunato che altro, Fisher, uno degli ultimi arrivi e percio' inesperto, Jean, il pikolo (aiutante), scaltro, mite, amichevole e molto forte fisicamente, Lorenzo,l'operaio italiano generoso e disponibile, Charles ed Arthur, dei Vosgi, incontrati nell'infermeria durante gli ultimi 10 giorni sono descritti in questo modo.

Tematiche

Il libro racconta, sulla base della testimonianza dell'autore, la drammatica deportazione degli ebrei italiani ad Auschwitz nel 1944, dopo la cattura da parte della milizia fascista in Valle d'Aosta. Lo scopo dell'opera è quello di "fornire documenti per uno studio pacato di alcuni aspetti dell'animo umano". "In Se questo è un uomo- afferma Levi- ho cercato di scrivere le cose più grosse, più pesanti, e importanti. Mi sembrava che il tema dell' indignazione dovesse prevalere: era una testimonianza di taglio quasi giuridico". Il libro nasce dunque come testimonianza e documento, e di questa sua natura ha i caratteri stilistici: una scrittura chiara, comunicativa, oggettiva, referenziale, rigorosamente aderente ai fatti e attenta alle sfumature.    

PRIMO CAPITOLO

Il primo capitolo narra l'antefatto dell'arresto e il periodo trascorso tra il gennaio e il febbraio nel campo di Fossoli, da cui parte il convoglio dei seicentocinquanta ebrei italiani diretti ad Auschwitz. All'arrivo avviene la selezione dei deportati destinati al lavoro, fra cui Levi. Un "Caronte" chiede loro se hanno denaro o orologi. Già in questo capitolo, "Il viaggio", Levi propone un' attenta analisi psicologica dei personaggi, che rivela la condizione di estremo disagio del Lager. In essa il motivo dominante è quello dell'infelicità, unita allo spirito di rassegnazione: " Tutti scoprono, più o meno tardi nella loro vita, che la felicità perfetta non è realizzabile, ma pochi si soffermano invece sulla considerazione opposta: che tale è anche un'infelicità perfetta. I momenti che si oppongono alla realizzazione di entrambi i due stati-limite sono della stessa natura: conseguono dalla nostra condizione umana, che è nemica di ogni infinito. Vi si oppone la nostra sempre insufficiente conoscenza del futuro; e questo si chiama, in un caso, speranza, e nell'altro, incertezza del domani. Vi si oppone la sicurezza della morte, che impone un limite a ogni gioia, ma anche a ogni dolore. Vi si oppongono le inevitabili cure materiali, che, come inquinano ogni felicità duratura, così distolgono assiduamente la nostra attenzione dalla sventura che ci sovrasta, e ne rendono frammentaria, e perciò sostenibile, la consapevolezza. Sono stati proprio i disagi, le percosse, il freddo, la sete, che ci hanno tenuti a galla sul vuoto di una disperazione senza fondo, durante il viaggio e dopo. Non già la volontà di vivere, nè una cosciente rassegnazione: ché  pochi sono gli uomini capaci di questo, e noi non eravamo che un comune campione di umanità."

SECONDO CAPITOLO

Nel secondo capitolo, "Sul fondo", viene descritto l'arrivo al campo vero e proprio; qui un deportato, Flesch, fa da interprete tra le SS e i deportati italiani, che vengono, poi, denudati e indirizzati verso le docce. In questo clima di ordine apparente, giunge un medico ungherese, un criminale, che parla un italiano stentato e spiega loro il meccanismo incomprensibile di funzionamento del campo. Poi segue la doccia calda e con essa anche l'identità personale scompare: " Si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poiché accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso; tale quindi, che si potrà a cuor leggero decidere della sua vita o morte al di fuori di ogni senso di affinità umana; nel caso più fortunato, in base ad un puro giudizio di utilità. Si comprenderà allora il duplice significato del termine "Campo di annientamento", e sarà chiaro che cosa intendiamo esprimere con questa frase: giacere sul fondo". Adesso i deportati sono degli "Haftlinge", prigionieri; a Levi è stato assegnato il numero 174 517, tatuato sul braccio. Ai deportati viene spiegata la topografia del Lager, la disposizione, la numerazione dei "block" e la distribuzione della popolazione dei deportati. La narrazione si sofferma con straordinaria puntualità, quasi con occhio scientifico, sull'abbigliamento e sui riti del campo, tra cui quello delle scarpe, indumento decisivo, per la sopravvivenza, in quell'ambiente malsano del campo. E con altrettanta precisione Levi spiega anche la gerarchia, indica i nomi e le funzioni dei "kommandos". Il capitolo si conclude con due brevi brani: uno sull'impossibilità di pensare altra realtà al di là del campo, e l'altro rappresenta la chiusa, dedicata al sonno e al sogno, all'assottigliarsi progressivo del numero degli italiani ancora vivi: " Avevamo deciso di trovarci, noi italiani, ogni domenica sera in un angolo del Lager; ma abbiamo subito smesso, perché era troppo triste contarci, e trovarci ogni volta più pochi, e più deformi, e più squallidi. Ed era così faticoso fare quei pochi passi: e poi, a ritrovarsi, accadeva di ricordare e di pensare, ed era meglio non farlo."

TERZO CAPITOLO

Il terzo capitolo, "Iniziazione", contiene una riflessione sulla babele linguistica e presenta la figura di Steinlauf, il cinquantenne sergente della Prima guerra mondiale, e la sua tecnica di sopravvivenza attraverso l'igiene costante: " Ho scordato ormai, e me ne duole, le sue parole diritte e chiare, le parole del già sergente Steinlauf dell'esercito austro-ungarico, croce di ferro della guerra 15-18. Me ne duole, perché  dovrò tradurre il suo italiano incerto e il suo discorso piano di buon soldato nel mio linguaggio di uomo incredulo. Ma questo ne era il senso, non dimenticato allora né poi: che appunto perché il Lager è una gran macchina per ridurci a bestie, noi bestie non dobbiamo diventare; che anche in questo luogo si può sopravvivere, e perciò si deve voler sopravvivere, per raccontare, per portare testimonianza; e che per vivere è importante sforzarci di salvare almeno lo scheletro, l'impalcatura, la forma della civiltà. Che siamo schiavi, privi di ogni diritto, esposti a ogni offesa, votati a morte quasi certa, ma che una facoltà ci è rimasta, e dobbiamo difenderla con ogni vigore perché è l'ultima: la facoltà di negare il nostro consenso. Dobbiamo quindi, certamente, lavarci la faccia senza sapone, nell'acqua sporca, non perché così prescrive il regolamento, ma per dignità e per proprietà. Dobbiamo camminare diritti, senza strascicare gli zoccoli, non già in omaggio alla disciplina prussiana, ma per restare vivi, per non cominciare a morire."

QUARTO CAPITOLO

Ka-be" è un capitolo dedicato alla descrizione dell'infermeria del Lager dove Levi si reca dopo un incidente sul lavoro. Il ferimento del piede dà a Levi l'occasione per raccontare come funziona il "Krankenbau", l'infermeria, narrando nel contempo la propria iniziazione al luogo. Il Ka-be è un limbo nell'Inferno di Monowitz: " Ka-be è abbreviazione di Krankebau, l'infermeria. Sono otto baracche, simili in tutto alle altre del campo, ma separate da un reticolato. Contengono permanentemente un decimo della popolazione del campo, ma pochi vi soggiornano più di due settimane e nessuno più di due mesi: entro questi termini siamo tenuti a morire o a guarire. Chi ha la tendenza alla guarigione, in ka-be viene curato; chi ha la tendenza ad aggravarsi, dal ka-be viene mandato alle camere a gas". In questo ambiente desolato il "dolore della casa", che la condizione di iniziazione del Ka-be suscita e acuisce nell'animo dei deportati, consente all'autore di meditare e di riflettere sulla sua esperienza nel Lager: " Il ka-be è il Lager a meno del disagio fisico. Perciò, chi ancora ha seme di coscienza, vi riprende coscienza; perciò, nelle lunghissime giornate vuote, vi si parla di altro che di fame e di lavoro, e ci accade di considerare che cosa ci hanno fatto diventare, quanto ci è stato tolto, che cosa è questa vita. In questo ka-be, parentesi di relativa pace, abbiamo imparato che la nostra personalità è fragile, è molto più in pericolo che non la nostra vita; e i savi antichi, invece di ammonirci "ricordati che devi morire", meglio avrebbero fatto a ricordarci questo maggior pericolo che ci minaccia. Se dall'interno del Lager un messaggio avrebbe potuto trapelare agli uomini liberi, sarebbe stato questo: fate di non subire nelle vostre case ciò che a noi viene inflitto qui."

QUINTO CAPITOLO

"Le nostre notti" è dedicato alle notti invernali; tutto il capitolo è come il racconto di una sola lunga notte, la "notte esemplare" trascorsa nel campo, cui succede il "Wstawàc" del risveglio. Levi sottolinea, inoltre, l' importanza di condividere con un amico, in una situazione di analogo disagio, anche l'angusto spazio di una cuccetta: " Non sono riuscito a ottenere di dormire in cuccetta con lui, e neppure Alberto ci è riuscito, quantunque nel Block 45 egli goda ormai di una certa popolarità. E' peccato, perché avere un compagno di letto di cui fidarsi, o con cui almeno ci si possa intendere, è un inestimabile vantaggio; e inoltre, adesso è inverno, e le notti sono lunghe, e dal momento che siamo costretti a scambiare sudore, odore e calore con qualcuno, sotto la stessa coperta e in settanta centimetri di larghezza, è assai desiderabile che si tratti di un amico."

SESTO CAPITOLO

L'autore descrive una giornata-tipo del suo lavoro: trasportare, insieme ad un altro compagno, con molta fatica  e difficoltà, delle traversine.

SETTIMO CAPITOLO

"Una buona giornata" è insieme una riflessione sulla natura umana e la narrazione del "successo" di Templer, un uomo del kommando, che riesce a procurare per sè e per i compagni una marmitta di cinquanta litri di zuppa. Le giornate nel campo si susseguivano non tanto con un obiettivo "ideale", ma piuttosto con l'esigenza, tutta contingente, di sopravvivere e di giungere a primavera: " La persuasione che la vita ha uno scopo è radicata in ogni fibra di uomo, è una proprietà della sostanza umana. Gli uomini liberi danno a questo scopo molti nomi e sulla sua natura molto pensano e discutono: ma per noi la questione è più semplice.    

Oggi e qui, il nostro scopo è di arrivare a primavera. Di altro ora non ci curiamo. Fra due mesi, fra un mese, il freddo ci darà tregua, e avremo un nemico di meno."

OTTAVO CAPITOLO

"Al di qua del bene e del male" illustra le diverse attività illegali del campo, il furto e le altre strategie per accaparrarsi cibo e posate. I prigionieri del campo di sterminio, spesso, giungono a vendere indumenti personali e indispensabili pur di sedare il proprio violento e contingente impulso alla fame. Le SS, inoltre, inducono gli Haftlinge a compiere furti e altri atti illegali, con il preciso intento di annientarli nella loro dimensione di uomini, di ridurli a un primitivo stato di "bestializzazione", in cui valga la "legge del più forte": "Il furto in Buna, punito dalla Direzione civile, è autorizzato e incoraggiato dalle SS; il furto in campo, represso severamente dalle SS, è considerato dai civili una normale operazione di scambio; il furto fra Haftlinge viene generalmente punito, ma la punizione colpisce con uguale gravità il ladro e il derubato. Vorremmo ora invitare il lettore a riflettere che cosa potessero significare in Lager le nostre parole "bene" e "male", "giusto" e "ingiusto"; giudichi ognuno, in base al quadro che abbiamo delineato e agli esempi sopra esposti, quanto del nostro comune mondo morale potesse sussistere al di qua del filo spinato."

NONO CAPITOLO

"I sommersi e i salvati" è il capitolo centrale, nel quale il Lager è presentato come "una gigantesca esperienza biologica e sociale". Due sono le categorie di uomini: i salvati e i sommersi. Altre coppie di contrari, come, ad esempio, i buoni e i cattivi, i savi e gli stolti, i vili e i coraggiosi, i disgraziati e i fortunati, sono assai meno nette, sembrano meno congenite, e soprattutto ammettono gradazioni intermedie più numerose e complesse: " Nella storia e nella vita pare talvolta di discernere una legge feroce, che suona "a chi ha, sarà dato; a chi non ha, a quello sarà tolto". Nel Lager, dove l'uomo è solo e la lotta per la vita si riduce al suo meccanismo primordiale, la legge iniqua è apertamente in vigore, è riconosciuta da tutti."

DECIMO CAPITOLO

"Esame di chimica" ci riporta invece alla storia di Levi e alla vicenda che avrà un ruolo decisivo nella sua salvezza, quella dell'esame per entrare a far parte del kommando chimico. Proprio in questo momento, di estrema precarietà, Levi deve far ricorso alla sua specializzazione: "Mi sono laureato a Torino nel 1941, summa cum laude, -e, mentre lo dico, ho la precisa sensazione di non esser creduto, a dire il vero non ci credo io stesso, basta guardare le mie mani sporche e piagate, i pantaloni da forzato incrostati di fango. Eppure sono proprio io, il laureato di Torino, anzi, particolarmente in questo momento è impossibile dubitare della mia identità con lui, infatti il serbatoio dei ricordi di chimica organica, pur dopo la lunga inerzia, risponde alla richiesta con inaspettata docilità". Compare Alberto, l'amico del cuore del narratore, suo "alter ego" nel campo, e Alex il kapo, ma anche il dottor Panwits, l'esaminatore della Buna, lo stabilimento chimico alla cui edificazione lavorano i deportati di Monowitz.




UNDICESIMO CAPITOLO

Dopo la pulitura della cisterna, durante il trasporto della zuppa, Levi recita e spiega al deportato francese Jean Picolo, il canto di Ulisse. Non sa se il suo interlocutore capisca, ma cerca in tutti i modi di far comprendere a Jean  il canto di Dante.

DODICESIMO CAPITOLO

"I fatti dell'estate" introducono nel racconto una nuova scansione temporale legata all'arrivo degli ebrei ungheresi e al progressivo disfarsi della macchina del Lager. Infatti, nell'agosto del 1944 incominciarono i bombardamenti sull'Alta Slesia, e si prolungarono, con pause e riprese irregolari, per tutta l'estate e l'autunno fino alla crisi definitiva: " Nella Buna imperversavano i civili tedeschi, nel furore dell'uomo sicuro che si desta da un lungo sogno di dominio, e vede la sua rovina e non la sa comprendere. Anche i Reichsdeutsche del Lager, politici compresi, nell'ora del pericolo risentirono il legame del sangue e del suolo. Il fatto nuovo riportò l'intrico degli odii e delle incomprensioni ai suoi termini elementari, e ridivise i due campi: i politici, insieme con i triangoli verdi e le SS vedevano, o credevano di vedere, in ognuno dei nostri visi, lo scherno della rivincita e la trista gioia della vendetta. Essi trovarono concordia in questo, e la loro ferocia raddoppiò".

TREDICESIMO CAPITOLO

"Ottobre 1944" è legato a un preciso momento dell'intera vicenda dell'internamento, la selezione a cui sono sottoposti i deportati, che Levi vive con inconcepibile tranquillità: " Ero tranquillo perché ero riuscito a mentirmi quanto era bastato. Il fatto che io non sia stato scelto è dipeso soprattutto dal caso e non dimostra che la mia fiducia fosse ben fondata. L'esame è molto rapido e sommario, e d'altronde, per l'amministrazione del Lager, l'importante non è tanto che vengano eliminati proprio i più inutili, quanto che si rendano speditamente liberi posti in una certa percentuale prestabilita."

QUATTORDICESIMO CAPITOLO

Levi parla delle terribili condizioni di vita nel Lager in inverno. Racconta anche di Kraus, un deportato molto maldestro non ben visto dalle SS.

QUINDICESIMO CAPITOLO

"Die drei Leute vom Labor" è un capitolo dedicato al commando chimico e all'ingresso di Levi in laboratorio, in cui egli illustra anche la genesi del suo libro. Anche in questo luogo Levi ritrova "la compagna di tutti i momenti di tregua, del Ka-be e delle domeniche di riposo: la pena del ricordarsi, il vecchio feroce struggimento di sentirsi uomo, che mi assalta come un cane all'istante in cui la coscienza esce dal buio. Allora prendo la matita e il quaderno e scrivo quello che non saprei dire a nessuno". In questo capitolo, inoltre, l'autore descrive l'avvento del Natale nel Lager, festività che lo induce a considerare la propria esperienza di deportato, contrapponendola alla sua precedente condizione di uomo libero. Egli rivaluta, allora, alla luce di una più profonda maturazione, raggiunta nel Lager, la vita trascorsa da uomo libero: " Due settimane soltanto, e poi sarà ancora Natale: non sembra vero, quest'anno è passato così presto!   Quest'anno è passato presto. L'anno scorso a quest'ora io ero un uomo libero: fuori legge ma libero, avevo un nome e una famiglia, possedevo una mente avida e inquieta e un corpo agile e sano. Pensavo a molte lontanissime cose: al mio lavoro, alla fine della guerra, al bene e al male, alla natura delle cose e alle leggi che governano l'agire umano; e inoltre alle montagne, a cantare, all'amore, alla musica, alla poesia. Avevo un enorme, radicata, sciocca fiducia nella benevolenza del destino, e uccidere e morire mi parevano cose estranee e letterarie. I miei giorni erano lieti e tristi, ma tutti li rimpiangevo, tutti erano densi e positivi; l'avvenire mi stava davanti come una grande ricchezza. Della mia vita di allora non mi resta oggi che quanto basta per soffrire la fame e il freddo; non sono più abbastanza vivo per sapermi sopprimere"

SEDICESIMO CAPITOLO

"L'ultimo" rappresenta, poi, il capitolo in cui maggiormente si manifesta lo stato di "animalizzazione" prodotta dal Lager sui deportati: " Distruggere l'uomo è difficile, quasi quanto crearlo: non è stato agevole, non è stato breve, ma ci siete riusciti, tedeschi. Eccoci docili sotto i vostri sguardi: da parte nostra nulla avete più da temere: non atti di rivolta, non parole di sfida, neppure uno sguardo giudice."



DICIASSETTESIMO CAPITOLO

"Storia di dieci giorni" costituisce l'epilogo drammatico dell'intera vicenda, scritto sotto forma di diario. In esso Levi descrive, attraverso un'accurata analisi psicologica, la disperata fuga di alcuni deportati: " il terrore è eminentemente contagioso, e l'individuo atterrito cerca in primo luogo la fuga." L'opera di Primo Levi si conclude con una riflessione particolarmente penetrante, volta a indagare in profondità gli effetti devastanti operati dall'internazione nel campo di Auschwitz: " Noi giacevamo in un mondo di morti e di larve. L'ultima traccia di civiltà era sparita intorno a noi e dentro di noi. L'opera di bestializzazione, intrapresa dai tedeschi trionfanti, era stata portata a compimento dai tedeschi disfatti. Parte del nostro esistere ha sede nelle anime di chi ci accosta: ecco perché è non-umana l'esperienza di chi è stato una cosa agli occhi dell'uomo."

Visione del mondo

Non ho trovato molte chiavi di lettura per questo libro, che anche se tratta un argomento molto importante é scritto in modo molto semplice. La prima chiave di lettura é quella letteraria-storica, cioè la narrazione in cui sono presenti alcune annotazioni storiche, anche se sono molto poche. E' sicuramente la più facile da comprendere e da seguire, ma non per questo é la meno importante. La seconda chiave di lettura é quella umana. Lo scopo che Levi si era prefisso nella pubblicazione del suo libro era quello di far conoscere a tutti la sua esperienza, una delle migliaia. Il fine ultimo non è la notorietà ma far capire ciò che era successo, usando la storia veramente accaduta perché sia di esempio. La testimonianza di un deportato in un campo di sterminio diviene una lezione di vita, perché fa vedere da una parte la crudeltà, dall'altra la lotta per difendere la propria dignità, per il diritto di esistere. Lo scrittore ha inserito nel corso della narrazione episodi che fanno riflettere sul comportamento degli uomini e sulla guerra.

Analisi dello stile

Lo stile con cui è scritto "Se questo è un uomo" è molto semplice e diretto e permette a tutti di capire bene che cosa hanno provato coloro che hanno vissuto la drammatica esperienza del lager. Vi è l'uso dell'intreccio, perché anche se la descrizione è quasi sempre lineare spesso l'autore aggiunge note in cui parla di ciò che è accaduto alle persone che ha incontrato. Il testo e' un'autobiografia estremamente realistica relativa a circa un anno della sua vita (l'autore stesso in una breve presentazione sottolinea che nessuno dei fatti e' stato inventato); tranne gli ultimi giorni per i quali si può parlare di diario. L'obiettivo di Primo Levi è quello di denunciare i terribili orrori che ha hanno provato coloro che sono stati deportati in un lager, ma invita soprattutto a riflettere sulla stupidità della Germania (e dell'umanità in generale) che ha permesso una cosa tanto disumana. Si tratta quindi di un'opera che si propone di insegnare qualcosa e di far pensare. Il ritmo abbastanza lento e pacato, anche se le immagini descritte sono molto reali. I dialoghi,molto numerosi, sono brevi e si svolgono principalmente fra l'autore e i numerosi compagni che quest'ultimo incontra durante il suo periodo di permanenza nel campo di concentramento. Sono numerose anche le descrizioni del lager, utili soprattutto per sottolineare la paura che aveva messo nello spirito umano e per dimostrare quanto questo sia stato un luogo terribile. Levi infatti paragona questo luogo all'inferno. Il camion che porta i deportati al lager viene paragonato alla barca di Caronte ed il loro guardiano viene chiamato veramente Caronte. La scritta sulla porta del campo inoltre viene intesa come la scritta che c'è sulla porta dell'inferno. La prima giornata nel lager è definita antinferno. Ed in effetti molti prigionieri sembrano anime dannate per il comportamento e per l'aspetto. Con il paragone all'inferno dantesco l'autore dimostra di saper fare collegamenti con altre opere nel raccontare una storia toccante che lui stesso ha vissuto. "Se questo è un uomo" é perciò un'opera autobiografica e di memorialistica di guerra di un uomo vissuto in un periodo particolarmente significativo e negativo per il mondo. L'autore non dà solamente descrizioni oggettive ma esprime sempre un parere personale, cosa ovvia in quanto Primo Levi mette per iscritto i propri ricordi.

Interesse del libro

"Se questo è un uomo" è molto piacevole da leggere anche se tratta un argomento veramente molto drammatico. Il linguaggio è molto semplice e comprensibile e questo rende il libro leggibile da chiunque. Molto interessanti sono stati senz'altro i pensieri di Levi che fanno riflettere sui comportamenti umani e su ciò che potrebbe accadere agli uomini se non esistesse l'ordine. La narrazione poi è resa più interessante dal fatto che l'autore ha vissuto veramente l'esperienza che racconta. E' ottima la rappresentazione che l'autore fa dei personaggi, anche se questa spezza più volte la narrazione. Ma la cosa che sicuramente colpisce di più in questo libro è come possa un uomo ridurre un proprio simile senza il minimo rimorso. In definitiva posso dire che le cose che mi hanno interessato di più sono state l'introspezione dei personaggi ed i commenti dell'autore.


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Appunti su: annotazioni sulla natura umana della viaggio se questo C3A8 un uomo,



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