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Primo Levi
Primo Levi , è uno scrittore che si distingue nel panorama della
letteratura italiana perché la sua vita è segnata da una tragica esperienza e
cioè la deportazione nel campo di concentramento di Auschwitz durante
Nato il 31 luglio
del
Nonostante i successi letterari e l'attiva partecipazione alla vita del suo tempo, Levi non è mai riuscito a dimenticare l'angoscia del Lager. È stata probabilmente la ferita insanabile prodotta da questa dolorosa esperienza a spingere al suicidio l'11 aprile del 1987 lo scrittore torinese. A 68 anni.
Dirà di lui Claudio Toscani: «L'ultimo appello di Primo Levi non dice non dimenticatemi, bensì non dimenticate».
SE QUESTO è UN UOMO
INTRODUZIONE
Se questo è un uomo venne scritto da Primo Levi fra il dicembre del 1945 e il gennaio del 1947, dopo il suo ritorno dal campo di concentramento di Auschwitz, dove l'autore era stato rinchiuso. Pubblicato per la prima volta nel 1947, questo romanzo storico non ottenne un successo immediato. Nel 1956 la casa editrice Einaudi, che ne aveva rifiutato la pubblicazione nove anni prima, lo accolse fra i 'Saggi'. Da allora Se questo è un uomo é divenuto un successo pubblicato e ristampato in tutto il mondo. Nel libro viene descritto il periodo di prigionia durante i quali il narratore vede numerosi suoi compagni morire di a causa delle proibitive condizioni ambientali, del precario stato igienico- sanitario del campo e del lavoro massacrante. Levi si trova dinnanzi a un sistema, il lager, organizzato e finalizzato all'annientamento della dignità umana. «Aveva mo appreso con sollievo la nostra destinazione. Auschwitz: un nome privo di significato, allora e per noi». In fretta e sommariamente viene effettuata una vera e propria selezione: «In meno di dieci minuti tutti noi uomini validi fummo radunati in gruppo. Quello che accadde degli altri, delle donne, dei bambini, dei vecchi, noi non potemmo stabilirlo allora né dopo: la notte li inghiottì, puramente e semplicemente». Al lager, persi nei loro pensieri, presi da mille domande, si ritrovano in pochissimo tempo rasati, disinfettati e vestiti con pantaloni e giacche a righe. Su ogni casacca c'è un numero cucito sul petto. I prigionieri vengono marchiati come bestie. Il loro compito: lavorare, mangiare, dormire, OBBEDIRE. Il loro intento: sopravvivere.
Dietro quel numero non c'è più un uomo, ma solo un oggetto: häftling, cioè "pezzo". Se funziona, va avanti. Se si rompe, è gettato via.
Levi è il numero 174517. Funzionante.
Dentro questo folle progetto di distruzione, l'uomo non riesce più a provare pietà, non conosce più l'amicizia, la ribellione, la speranza: si preoccupa solo, di non morire e per questo combatte, lotta per mantenere in piedi quel mucchietto di ossa, senza altro pensiero. In una pagina straordinaria, eppure terribile, che sembra quasi voler ammonire il lettore, Levi narra la pubblica esecuzione di un prigioniero responsabile di una tentata ribellione; rientrato nella baracca l'uomo non riesce a guardare in faccia il suo compagno: «Quell'uomo doveva essere duro, doveva essere di un altro metallo del nostro, se questa condizione, da cui noi siamo rotti, non ha potuto piegarlo. Perché anche noi siamo stati rotti, vinti: anche se abbiamo saputo adattarci, anche se abbiamo finalmente imparato a trovare il nostro cibo e reggere alla fatica e al freddo. I più fortunati riescono a migliorare le proprie condizioni, i più deboli cadono sempre più in basso: ma che giovamento traggono i primi dal sopravvivere sulle spalle dei secondi, che vita sorge dallo spettacolo quotidiano dell'annientamento dei propri simili?»
Per chi non ha provato questa esperienza sulla propria pelle non è possibile comprendere: ci si può fermare ad una intuizione, allo sdegno, alla commiserazione, ma il sapere, vedere, viverlo è un'altra cosa. Non si può comprendere il lager, si possono piuttosto cercare di capire le cause che hanno portato alla sua creazione, tentare di spiegare i comportamenti del popolo tedesco. Molto più difficile diventa conoscere in maniera profonda e intima chi in esso è stato rinchiuso, chi una volta libero ha sentito in sé risvegliarsi la coscienza e ha capito cosa significa esserne privati, chi dinanzi alla libertà finalmente conquistata ha sentito l'inerzia trattenerlo e ha lottato, per allontanarlo da sé.
Se questo è un uomo nasce dunque dall'uomo, ma non è un'opera della sua fantasia; scrivere queste pagine è costato sofferenza e, in qualche modo, lo scrittore pretende da noi uno sforzo analogo: cancellarci come lettori, sentire dentro noi quella stessa sofferenza fisica, fatta di ore, giorni e anni, sentire sotto le nostre scarpe lacerate l'onnipresente pantano o, immaginare che qualcuno quelle sofferenze le ha provate veramente. "Comprendere" coincide con "l'immedesimarsi", secondo Levi, infatti bisogna abbandonarsi alla lettura.
Levi diceva: «È accaduto, può accadere di nuovo».
MESSAGGIO
Se questo è un uomo è un libro semplice e asciutto nella scrittura, senza domande, ma colmo di riflessioni in grado di sollecitare continuamente il lettore. Proprio qui sta la sua potenza espressiva, malgrado tanti anni dalla sua pubblicazione, nel suo presentarsi ai nostri occhi come un libro impossibile da scrivere e da riscrivere; un romanzo che, trattando di genocidio, sa portarci in contatto con i misteri più raccapriccianti della natura umana. Levi esprime, col suo libro, un messaggio importantissimo. Scrive il suo romanzo per avvisare il mondo a fine che queste cose non accadano mai più, vuole far conoscere all'uomo l'inferno che lui ha vissuto, le allucinanti cose che ha subito nel lager nazista.
Dice Levi «Quando non si riesce a dimenticare, si prova a perdonare»
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