PETRARCA E IL SUO
DISSIDIO INTERIORE
Petrarca parla molto della labile bellezza di Laura,
lamentandone il suo irrimediabile sparire. La canta anche vicina e fuggente, ma
spietata e irraggiungibile; delinea il contrasto tra il desiderio sempre vivo e
la speranza che ad ora ad ora sembra morta, ma assiduamente rinasce per la
forza di quello.Narra la perenne vicenda delle sue illusioni e delusioni. Non
si appaga neppure dell'immagine di lei mite e amante. C'è sempre qualcosa che
gli manca: rimane sempre la scontentezza, un senso continuo d'inappagamento. Se
non ha, si strugge di non avere; se ha, teme di perdere; se non teme questo, si
rammarica di aver solo una parte, o riconosce che la realtà è ben lontana
dall'adeguare la pienezza del sogno. Cosí amore e gloria - le due massime
aspirazioni della sua vita - lo deludono; e la sua poesia non è che una
meditazione lirica su questa delusione; essa è nell'inizio di quella canzone
nella quale appunto canta la delusione dell'amore e della gloria, e il
sentimento che gliene deriva, la pietà per se stesso:
I' vo pensando, e nel penser m'assale
Una pietà sí forte di me stesso;
e insieme l'impossibilità di distaccarsi dai sogni:
E veggio 'l meglio et al peggior
m'appiglio.
C'è nel Petrarca un desiderio di conquista totale, un'ansia di assoluto. E il
senso del relativo da ogni parte risorge, e lo preme. Forse, il senso stesso
della caducità non è che un aspetto, sia pure il più importante, di questo
senso del relativo.
Petrarca non sa rinunciare a nulla, perché desidera tutto: il grande e il
piccino, il caduco e l'eterno. Le ricchezze sono fonte di peccato. L'amore
della gloria è vano,deve così tendere al cielo; tuttavia egli non può
rinunciare alla gloria, un altro tentativo, Non si tratta di un dissidio tra il
sentimento dell'assoluto divino e del contingente umano; nell'assoluto di Dio
il Petrarca non s'immerge; il suo peccato è l'impossibile sogno di un umano che
derivi dal divino il simbolo della stabilità, che non sia privo di pace e di
fermezza; e di un divino che non solo partecipi delle gioie umane, ma anzi
consista esso stesso in queste gioie, potenziate e purificate. Cioè umano e
divino si confondono in uno.La ragione mostra a Petrarca l'impossibilità di
quel sogno, la dottrina religiosa gliene afferma la sconvenienza. Nel
vagheggiare Laura, tramite verso il cielo, c'è l'obbedienza a un'illustre
tradizione letteraria; ma questa tradizione lo aiuta a fissare in un concreto
fantasma il suo sogno di conciliazione. E quando, nel Secretum, si fa
rimproverare da Agostino di aver sconvolto l'ordine naturale, e ammonire che
bisogna amare le cose create per amor del creatore, e non viceversa, Petrarca
mostra di aver penetrato l'origine del suo segreto peccato e della sua poesia.
L'interno dissidio del Petrarca non consiste, dunque, propriamente nel
conflitto umano-divino, ma nel conflitto tra la religione e la ragione da una
parte, che gli impongono la concezione di un Dio che comprenda tutto ma in cui
tutto s'annulli, e dall'altra inarrestabile forza del sogno, che lo trascina a
concepire un Dio sosta degli affanni e sostegno dell'eternità degli affetti
umani. La polvere della terra offusca invece sempre la vita del nostro poeta,
come egli dice nella stanca e altamente lirica chiusa del Secretum, mentre il
suo desiderio sarebbe quello di poterla dimenticare, il concepire Dio
unicamente come Dio, non come proiezione della sua umanità: « Si plachino i
flutti dell'animo, taccia il mondo e non rumoreggi la fortuna ». E' lo stesso
tono dei sonetti che, secondo l'ultima volontà del poeta, chiudono - prima
della canzone alla Vergine - il canzoniere.
Omai son stanco, e mia
vita reprendo
Di tanto error, che di virtute il seme
A quasi spento; e le mie parti estreme,
Alto Dio, a te devotamente rendo
Tu che vedi i miei mali indegni et
empi,
Re del cielo invisibile immortale,
Soccorri a l'alma disviata e frale,
E 'l suo defetto di tua grazia adempi
Il conflitto si placa per un momento nell'umiltà della preghiera spiegata.