Neorealismo
Tendenza affermatasi
nella letteratura italiana del secondo dopoguerra. Per la corrente omonima
sviluppatasi nel cinema italiano.
Gli autori neorealisti intendevano rappresentare la realtà contemporanea della
guerra, della Resistenza e del dopoguerra, per dare una testimonianza artistica
di un'epoca che segnò tragicamente la vita di tutto il popolo italiano. Proprio
il bisogno di rappresentare direttamente storie di vita vissuta in prima
persona, sia dagli scrittori sia dai lettori, comportò la scelta della prosa a
scapito della poesia, l'adozione di un linguaggio tendenzialmente chiaro e
comunicativo, il rifiuto della tradizione letteraria della pagina ben scritta
di moda negli anni Venti e Trenta. Gli scrittori guardavano piuttosto
all'esperienza letteraria del verismo e in particolare all'opera di Giovanni
Verga, ma il termine 'neorealismo' rinvia sia alla gran narrativa
realista dell'Ottocento sia al contemporaneo movimento tedesco della Nuova
Oggettività (Neue Sachlichkeit).
La letteratura concepita dagli autori neorealisti era una letteratura
'impegnata': non opere di svago, ma libri che aiutassero a prendere
coscienza della situazione contemporanea meditando sulla recente storia
nazionale, facendo tesoro dell'esperienza in vista della ricostruzione di un'Italia
nuova, democratica e antifascista. Ecco allora una serie d'iniziative non
strettamente letterarie, ma culturali. Vennero fondate alcune riviste sulle
quali condurre il dibattito e diversi scrittori s'impegnarono nel mondo
dell'editoria per tradurre in pratica la loro visione della cultura. La rivista
più importante fu 'Il Politecnico' (1945-1947) di Elio Vittorini, che
aveva un'apertura d'interessi internazionale. Lo stesso Vittorini fu insieme a
Cesare Pavese tra i più influenti collaboratori della casa editrice Einaudi di
Torino e diresse un'importante collana di narrativa, 'I Gettoni', in
cui furono pubblicati molti titoli neorealisti.
A partire dal 1944 è
densissima la produzione narrativa, cronachistica e diaristica che riflette gli
eventi della guerra e in particolare della Resistenza: fogli clandestini e
quotidiani pubblicano testimonianze che vengono espresse quasi per una
necessità fisiologica da chi ha vissuto eventi drammatici. A guerra terminata
gli editori ricominciano a pubblicare romanzi: del 1945 è Uomini e no di
Vittorini e Cristo si è fermato a Eboli (1945) di Carlo Levi, del 1947
tre delle principali opere narrative contemporanee, come le Cronache di
poveri amanti di Vasco Pratolini, Il sentiero dei nidi di ragno di
Italo Calvino e Il compagno di Pavese. Ma altrettanto rappresentative
della poetica neorealistica sono decine di opere che avranno fama meno
duratura: da Racconto d'inverno (1945) di Oreste del Buono a Pane
duro (1946) di Silvio Micheli, da Spaccanapoli (1947) di Ermanno Rea
a L'oro di Napoli (1947) di Giuseppe Marotta e a Dentro mi è nato
l'uomo (1947) di Angelo Del Boca. Ma già nel 1951 un'Inchiesta sul
neorealismo, curata dal critico Carlo Bo, si poneva come obiettivo quello
di tracciare un bilancio di quell'esperienza letteraria raccogliendo le dirette
testimonianze dei principali narratori e considerandola, implicitamente, come
una stagione conclusa. E in effetti, se si eccettuano rare e tardive
espressioni, che peraltro già si scostano dai modelli originali (due nomi per
tutti: Beppe Fenoglio e Giovanni Testori), il neorealismo può dirsi esaurito
già intorno alla metà degli anni Cinquanta. E, infatti, convenzionalmente, il
neorealismo si ritiene chiuso con la polemica che accompagnò la pubblicazione
del romanzo di Pratolini, Metello (1955), storia della formazione umana
e politica di un operaio sullo sfondo delle lotte sociali in Italia fra 1875 e
1902, da alcuni difeso come opera esemplare di un nuovo realismo, da altri
considerato un romanzo fallito soprattutto per la rappresentazione idealizzata
e sentimentale della classe operaia.