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Neoclassicismo




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NEOCLASSICISMO


Caratteri fondamentali

La vicenda del neoclassicismo inizia alla metà del XVIII secolo (1750), per concludersi con la fine dell'impero napoleonico nel 1815. Ciò che contraddistingue lo stile artistico di quegli anni fu l'adesione ai princìpi dell'arte classica. Quei principi di armonia, equilibrio, compostezza, proporzione, serenità, che erano presenti nell'arte degli antichi greci e degli antichi romani che, proprio in questo periodo, fu riscoperta e ristudiata con maggior attenzione ed interesse grazie alle numerose scoperte archeologiche.

I caratteri principali del neoclassicismo sono diversi:

esprime il rifiuto dell'arte barocca e della sua eccessiva irregolarità;

fu un movimento teorico, grazie soprattutto al Winckelmann che teorizzò il ritorno al principio classico del «bello ideale»;

fu una riscoperta dei valori etici della romanità, e ciò soprattutto in David e negli intellettuali della Rivoluzione Francese;

fu l'immagine del potere imperiale di Napoleone che ai segni della romanità affidava la consacrazione dei suoi successi politico-militari;

fu un vasto movimento di gusto che finì per riempire con i suoi segni anche gli oggetti d'uso e d'arredamento.

I principali protagonisti del neoclassicismo furono il pittore Anton Raphael Mengs (1728-1779), lo storico dell'arte Johann Joachim Winckelmann (1717-1768), che furono anche i teorici del neoclassicismo, gli scultori Antonio Canova (1757-1822) e Bertel Thorvaldsen (1770-1844), il pittore francese Jacques-Louis David (1748-1825), i pittori italiani Andrea Appiani (1754-1817) e Vincenzo Camuccini (1771-1844).

Winckelmann, Mengs, Canova, Thorvaldsen, operarono tutti a Roma, che divenne, nella seconda metà del Settecento, la capitale incontrastata del neoclassicismo, il baricentro dal quale questo nuovo gusto si irradiò per tutta Europa. A Roma, nello stesso periodo, operava un altro originale artista italiano, Giovan Battista Piranesi che, con le sue incisioni a stampa, diffuse il gusto per le rovine e le antichità romane. L'Italia nel Settecento fu la destinazione obbligata di quel «Grand Tour» che rappresentava, per la nobiltà e gli intellettuali europei, una fondamentale esperienza di formazione del gusto e dell'estetica artistica. Roma, in particolare, ove si stabilirono scuole ed accademie di tutta Europa, divenne la città dove avveniva l'educazione artistica di intere generazioni di pittori e scultori. Tra questi vi fu anche il David che rappresentò il pittore più ortodosso del nuovo gusto neoclassico.

Con l'opera del David il neoclassicismo divenne lo stile della Rivoluzione Francese ed ancor più divenne, in seguito, lo stile ufficiale dell'impero di Napoleone. E dalla fine del Settecento la nuova capitale del neoclassicismo non fu più Roma, ma Parigi.

Il neoclassicismo tende a scomparire subito dopo il 1815 con la sconfitta di Napoleone. Nei decenni successivi venne progressivamente sostituito dal Romanticismo che, al 1830, ha definitivamente soppiantato il neoclassicismo. Tuttavia, pur se non rappresenta più l'immagine di un'epoca, il neoclassicismo di fatto sopravvisse, come fatto stilistico, per quasi tutto l'Ottocento, soprattutto nella produzione aulica dell'arte ufficiale e di stato e nelle Accademie di Belle Arti. E questa sopravvivenza stilistica, oltre ai consueti limiti cronologici, è riscontrabile soprattutto nella produzione di un artista come Ingres, la cui opera si è sempre attenuta ai canoni estetici della grazia e della perfezione, capisaldi di qualsiasi classicismo.

Le scoperte archeologiche

Uno dei motivi di questo rinato interesse per il mondo antico furono le scoperte archeologiche che segnarono tutto il XVIII secolo. In questo secolo furono scoperte prima Ercolano, poi Pompei, quindi Villa Adriana a Tivoli e i templi greci di Paestum; ed infine giunsero dalla Grecia numerosi reperti archeologici che finirono nei principali musei europei: a Londra, Parigi, Monaco. Negli stessi anni si diffusero numerose pubblicazioni tra cui Le rovine dei più bei monumenti della Grecia, 1758, del francese Le Roy, Le antichità di Atene, 1762, degli inglesi Stuart e Revett, e le incisioni di antichità italiane del romano Piranesi che contribuirono notevolmente a diffondere la conoscenza dell'arte classica. Questa opera di divulgazione fu importante non solo per la conoscenza della storia dell'arte ma anche per il diffondersi dell'estetica del neoclassicismo.

In particolare, con queste campagne di scavo, non solo si ampliò la conoscenza del passato, ma fu chiaro il rapporto, nel mondo classico, tra arte greca e arte romana. Quest'ultima rispetto alla greca apparve solo un pallido riflesso ed un epigono, se non addirittura una semplice copia. La vera fonte della grandezza dell'arte classica venne riconosciuta nella produzione greca degli artisti del V-IV secolo a.C. Quel periodo eroico che vide sorgere la plastica statuaria di Fidia, Policleto, Mirone, Prassitele, fino a Lisippo. E la perfezione senza tempo di questa scultura influenzò profondamente l'estetica del Settecento, divenendo modello per gli artisti del tempo.

La razionalità illuministica e il rifiuto del barocco

Il neoclassicismo nacque come desiderio di una arte più semplice e pura rispetto a quella barocca, vista come eccessivamente fantasiosa e complicata. Questo desiderio di semplicità si coniugò alla constatazione, fornita dalle scoperte archeologiche, che già in età classica si era ottenuta un'arte semplice ma di nobile grandiosità. Il barocco apparve allora come il frutto malato di una degenerazione stilistica che, pur partita dai principi della classicità rinascimentale, era andata deformandosi per la ricerca dell'effetto spettacolare ed illusionistico.

Il barocco è complesso, virtuosistico, sensuale; il neoclassicismo vuole essere semplice, genuino, razionale. Il barocco propone l'immagine delle cose che può anche nascondere, nella sua bellezza esterna, le brutture interiori; il neoclassicismo non si accontenta della sola bellezza esteriore, vuole che questa corrisponda ad una razionalità interiore. Il barocco perseguiva effetti fantasiosi e bizzarri, il neoclassicismo cerca l'equilibrio e la simmetria; se il barocco si affidava alla immaginazione e all'estro, il neoclassicismo si affida alle norme e alle regole.

Il principio del razionalismo è una componente fondamentale del neoclassicismo. È da ricordare che il Settecento è stato il secolo dell'Illuminismo. Di una corrente filosofica che cerca di «illuminare» la mente degli uomini per liberarli dalle tenebre dell'ignoranza, della superstizione, dell'oscurantismo, attraverso la conoscenza e la scienza. E per far ciò bisogna innanzitutto liberarsi da tutto ciò che è illusorio. E l'arte barocca ha sempre perseguito l'illusionismo come pratica artistica.

Il neoclassicismo ha diversi punti di similitudine con il Rinascimento: come questo fu un ritorno all'arte antica e alla razionalità. Ma le differenze sono sostanziali: la razionalità rinascimentale era di matrice umanistica e tendeva a liberare l'uomo dalla trascendenza medievale, la razionalità neoclassica è invece di matrice illuministica e tendeva a liberare l'uomo dalla retorica, dalla ignoranza e dalla falsità barocca. Il ritorno all'antico, per l'artista rinascimentale era il ritorno ad un atteggiamento naturalistico, nei confronti della rappresentazione, che lo liberasse dal simbolismo astratto del medioevo; per l'artista neoclassico fu invece la codificazione di una serie di norme e di regole che servissero ad imbrigliare quella fantasia che, nell'età barocca, aveva agito con eccessiva licenza e sregolatezza.

Le teorie e lo stile

Massimo teorico del neoclassicismo fu il Winckelmann. Nel 1755 pubblicava le Considerazioni sull'imitazione delle opere greche nella pittura e nella scultura, nel 1763 pubblicava la Storia dell'arte nell'antichità. In questi scritti egli affermava il primato dello stile classico (soprattutto greco che lui idealizzava al di là della realtà storica), quale mezzo per ottenere la bellezza «ideale» contraddistinta da «nobile semplicità e calma grandezza». Winckelmann considerava l'arte come espressione di «un'idea concepita senza il soccorso dei sensi». Un'arte, quindi, tutta cerebrale e razionale, purificata dalle passioni e fondata su canoni di bellezza astratta. Le sue teorie artistiche trovarono un riscontro immediato nell'attività scultorea di Antonio Canova e di Thorvaldsen.

La scultura, più di ogni altra arte, sembrò adatta a far rivivere la classicità. Le maggiori testimonianze artistiche dell'antichità sono infatti sculture. E nella scultura neoclassica si avverte il legame più diretto ed immediato con l'idea di bellezza classica. Una pittura classica, di fatto, non esiste, anche perché le testimonianze di quel periodo sono quasi tutte scomparse. Le uniche pitture ad affresco, a noi note, comparvero proprio in quegli anni negli scavi di Ercolano e Pompei. Esse, tuttavia, per quanto suggestive nella loro iconografia così esotica, si presentavano di una semplificazione stilistica (definita compendiaria) inutilizzabile per la moderna sensibilità pittorica. Così che i pittori neoclassici dovettero ispirarsi stilisticamente più alla pittura rinascimentale italiana, in particolare Raffaello, che non all'arte classica vera e propria.

I caratteri della scultura neoclassica sono la perfezione di esecuzione, la estrema levigatezza del modellato, la composizione molto equilibrata e simmetrica, senza scatti dinamici. La pittura neoclassica si riaffidò agli strumenti del naturalismo rinascimentale: la costruzione prospettica, il volume risaltato con il chiaroscuro, la precisione del disegno, immagini nitide senza giochi di luce ad effetto, la mancanza di tonalismi sensuali.

I soggetti delle opere d'arte neoclassiche divennero personaggi e situazioni tratte dall'antichità classica e dalla mitologia. Le storie di questo passato, oltre a far rivivere lo spirito di quell'epoca, che tanto suggestionava l'immaginario collettivo di quegli anni, serviva alla riscoperta di valori etici e morali, di alto contenuto civile, che la storia antica proponeva come modelli al presente. La storia antica, quindi, divenne un serbatoio di immagine allegoriche da utilizzare come metafora sulle situazioni del presente. Ciò è maggiormente avvertibile per un pittore come il David nei cui quadri la storia del passato è solo un pretesto, o una metafora, per proporre valori ed idee per il proprio tempo.

Il neoclassicismo, nella sua poetica, invertì il precedente atteggiamento dell'arte rococò. Questa, nella sua ricerca della sensazione emotiva o sensuale, sceglieva immagini che materializzavano l'«attimo fuggente». Il neoclassicismo non propone mai attimi fuggenti, ma, coerentemente con la sua impostazione classica, rappresenta solo «momenti pregnanti». I momenti pregnanti sono quelli in cui vi è la maggiore carica simbolica di una storia. In cui si raggiunge l'apice di intensità psicologica, di concentrazione, di significanza: il momento in cui, un certo fatto od evento entra nella storia o nel mito.

Il neoclassicismo in Italia

Il ruolo svolto dall'Italia nella nascita del Neoclassicismo fu determinante. In Italia vennero effettuate le maggiori scoperte archeologiche del secolo: Ercolano, Pompei, Paestum, Tivoli, che si aggiunsero alle già imponenti collezioni di arte romana che, dal Cinquecento in poi, si erano costituite un po' ovunque.

Roma divenne la capitale del neoclassicismo e fu un ruolo centrale che conservò fino allo scoppio della Rivoluzione Francese. A Roma operarono i maggiori protagonisti di questa fase storica: Winckelmann, Mengs, Canova, Thorvaldsen. A Roma, nello stesso periodo, operava un altro originale artista italiano, Giovan Battista Piranesi che, con le sue stampe, diffuse il gusto per le rovine e le antichità romane. Un gusto, che presto suggestionò soprattutto gli spiriti romantici che nella «rovina» rintracciavano un sentimento che andava al di là della testimonianza archeologica.

Ed a Roma giungevano gli altri artisti ed intellettuali di Europa. I primi grazie alle borse di studio messe a loro disposizione dalle scuole ed accademie d'arte, i secondi per quella moda del Grand Tour che imponeva alle persone di un certo rango di effettuare almeno un viaggio in Italia per conoscerne le bellezze e i tesori d'arte. L'Accademia francese assegnava una borsa di studio per un soggiorno di alcuni anni a Roma, chiamata «Prix de Rome». E, grazie a questa borsa di studio, anche David giunse a Roma soggiornandovi in più occasioni. E, proprio a Roma, compose il suo quadro più famoso di questo periodo: «Il giuramento degli Orazi». A Roma un altro personaggio svolse un ruolo fondamentale per il neoclassicismo: il cardinale Albani. Cultore di antichità classiche e mecenate, iniziò la costruzione di una villa-museo che divenne uno dei luoghi più simbolici del nuovo stile. Il suo salotto divenne luogo di incontro per gli artisti e gli studiosi che, a Roma, furono i protagonisti della vicenda neoclassica. Ed infine Roma fu anche la città ove lavorò il maggior artista italiano neoclassico: Antonio Canova.

Ma intanto, alla fine del secolo, Roma cedeva la sua centralità a Parigi e, nel contempo, un'altra città italiana divenne importante nella vicenda del neoclassicismo: Milano. Nel capoluogo lombardo il centro della vita artistica divenne l'Accademia di Brera, fondata nel 1776. Da Milano proviene il principale pittore neoclassico italiano: Andrea Appiani (1754-1817), che fu anche ritrattista ufficiale di Napoleone. La sua opera, in parte distrutta dai bombardamenti del 1943, si affida a temi mitologici quali «La toeletta di Giunone», il «Parnaso» o la «Storia di Amore e Psiche».

Un altro pittore romano, Vincenzo Camuccini (1771-1844), visse in gioventù la fase del neoclassicismo proponendo quadri di derivazione davidiana quali la «Morte di Giulio Cesare».

Il neoclassicismo, come fatto stilistico, è sopravvissuto nell'arte italiana per buona parte dell'Ottocento. Anche pittori, che per i soggetti vengono considerati romantici, quali Hayez o Bezzuoli, continuano a praticare una pittura con quei connotati stilistici neoclassici che tenderanno a scomparire solo dopo la metà del secolo.


Jacques-Louis David        

Jacques-Louis David (1748-1825), dopo un apprendistato presso il pittore tardo-rococò Vien, si recò a Roma nel 1775 avendo vinto il Prix de Rome. Il Prix de Rome era una borsa di studio che l'Accademia di Francia assegnava ai giovani artisti più promettenti per consentire loro un periodo di soggiorno e di studio nella città eterna. Il David si trattenne a Roma fino al 1780. Qui ebbe modo sia di conoscere le teorie artistiche del Winckelmann, sia di studiare l'arte antica e rinascimentale. Predilesse le pitture di storia, utilizzando episodi classici da proporre come «esempi di virtù» al mondo contemporaneo. Infatti il suo fu un neoclassicismo di grossi contenuti etici e virili che egli opponeva alle mollezze ed effeminatezze del mondo rococò.

In un suo secondo soggiorno romano, nel 1784, dipinse «Il giuramento degli Orazi» che gli diede notevoli successi. Per le sue idee e temperamento partecipò attivamente alla Rivoluzione Francese e al periodo napoleonico, producendo sempre quadri storici (anche quando raffiguravano eventi a lui coevi) ma dai contenuti di stringente appello civile. Quadri come «Il giuramento della pallacorda» (1790-91), rimasto incompiuto, la «Morte di Marat» (1793), «Le Sabine» (1799), «Bonaparte valica il Gran San Bernardo» (1800), «Incoronazione di Napoleone» (1805-07). Dopo la Restaurazione, David concluse la sua vita a Bruxelles dedicandosi alla pittura di soggetti mitologici, allineandosi a quel gusto di accademismo neoclassico che proseguì per tutto l'Ottocento, ma che nella storia classica e nella mitologia non cercava più alcuna finalità etica.


Antonio Canova

Antonio Canova (1757-1822), è il maggior artista italiano ad aver partecipato alla vicenda del neoclassicismo ed è anche l'ultimo grande artista italiano di livello europeo. Dopo di lui, per tutto il corso del XIX secolo, l'Italia ha svolto un ruolo molto marginale e periferico nell'ambito della formulazione delle nuove teorie e pratiche artistiche.

Formatosi in ambiente veneziano, le sue prime opere rivelano la influenza dello scultore barocco del Seicento Gian Lorenzo Bernini. Trasferitosi a Roma, partecipò al clima cosmopolita della capitale in cui si incontravano i maggiori protagonisti dell'arte neoclassica. A Roma svolse la maggior parte della sua attività, raggiungendo una fama immensa. Fu anche pittore, ma produsse opere di livello decisamente inferiore rispetto alle sue opere scultoree. Nelle sue sculture Canova, più di ogni altro, fece rivivere la bellezza delle antiche statue greche secondo i canoni che insegnava Winckelmann: «la nobile semplicità e la quieta grandezza».

Le sculture di Canova sono realizzate in marmo bianco e con un modellato armonioso ed estremamente levigato. Si presentano come oggetti puri ed incontaminati secondo i princìpi del classicismo più puro: oggetti di una bellezza ideale, universale ed eterna. I soggetti delle sue sculture si dividono in due tipologie principali: le allegorie mitologiche e i monumenti funebri. Al primo gruppo appartengono: «Teseo sul Minotauro», «Amore e Psiche», «Ercole e Lica», «Le tre Grazie»; al secondo gruppo appartengono i monumenti funebri a Clemente XIV, a Clemente XIII, a Maria Cristina d'Austria.

Nei monumenti di soggetto mitologico i riferimenti alle sculture greche classiche è scoperto ed immediato: le anatomie sono perfette, i gesti misurati, le psicologie sono assenti o silenziose, le composizioni molto equilibrate e statiche. Il momento scelto per la rappresentazione è quello classico del «momento pregnante», evidente ad esempio nel gruppo di «Teseo sul Minotauro». Canova, invece di rappresentare la lotta tra Teseo e l'essere metà uomo e metà toro, sceglie di rappresentare il momento in cui Teseo, dopo aver sconfitto il Minotauro, ha scaricato tutte le sue energie offensive per lasciar posto ad un vago senso di pietà per l'avversario ucciso. È un momento di quiete assoluta in cui il tempo si congela per sempre. È quello il momento in cui la storia diventa mito universale ed eterno.

Nei monumenti funebri Canova parte dallo schema classico a tre piani sovrapposti. Nei monumenti dei due papa Clemente XIII e XIV al primo livello ci sono le immagini allegoriche che rappresentano il senso della morte; al secondo livello vi è il sarcofago; al terzo livello vi è la figura del papa. Questo schema, che dal Trecento aveva caratterizzato tutta la produzione di monumenti funebri, venne dal Canova variata con il monumento a Maria Cristina d'Austria - in esso un corteo funebre si accinge a varcare la soglia dell'oltretomba raffigurata come una piramide - e nei monumenti a stele in cui è evidente il ricordo delle tante stele funerarie provenienti dall'antica Roma.

I monumenti funerari rappresentano un tema molto sentito dagli artisti neoclassici. Da ricordare che, negli stessi anni, l'importanza dei «sepocri» veniva affermata anche dal poeta Ugo Foscolo. Per il Foscolo il sepolcro doveva conservarci la memoria dei grandi personaggi della storia esaltandone il valore quali esempi di virtù. La morte, che nella precedente stagione barocca veniva visto come qualcosa di orrido e di macabro, dall'arte neoclassica era vista come il «momento pregnate» per eccellenza. Il momento in cui si scaricano tutte le contingenze terrene per entrare nel silenzio assoluto ed eterno.

Il Canova nel periodo napoleonico divenne il ritrattista ufficiale di Napoleone producendo per l'imperatore diversi ritratti, tra cui quello in bronzo, ora collocato a Brera, che fu rifiutato dall'imperatore perché Canova lo aveva ritratto nudo. Tra i ritratti eseguiti per la famiglia imperiale famoso rimane quello di Paolina Borghese semidistesa su un triclino, seminuda e con una mela in mano, secondo una iconografia di chiara derivazione tizianesca, pur se caricata di significati mitologici.

Oltre all'attività di scultore, Canova fu anche impegnato nella tutela e valorizzazione del patrimonio artistico. Nel 1802 ebbe l'incarico di Ispettore Generale delle Antichità e Belle Arti dello Stato della Chiesa. Nel 1815, dopo la caduta di Napoleone, ottenne di riportare in Italia le tante opere d'arte che l'imperatore aveva trasportato illegalmente in Francia. Morto nel 1822, il suo sepolcro è a Possagno, il paesino in provincia di Treviso dove era nato, e dove egli, a sue spese, fece erigere un tempio dove nel 1830 furono traslate le sue spoglie.

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