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Narrazione/visione




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NARRAZIONE/VISIONE


CINEMA: narrazione per immagini: - immagini che si danno a vedere

che raccontano una storia

Non c'è storia senza immagini che si danno a vedere.

Immagini che si danno a vedere comportano sempre una narrazione.

POSIZIONE GREIMASIANA: ogni forma testuale ha necessariamente una dimensione narrativa.

Ruolo dell'immagine cinematografica è quello di apparire, di darsi a vedere e la sua funzione specifica risiede nel creare uno spettacolo della visione prenarrativo.

Il rapporto di implicazione tra visione e narrazione si pone come risultato di un percorso interno alla semiotica del cinema.

SAUSSURE: semiologia= scienza generale dei segni o dei sistemi dei segni.

Anni 60 si sviluppa il primo nucleo di semiologia del cinema grazie ai lavori di Metz.

Elementi di semiologia di Barthes ha esercitato un grande influsso sulla disciplina.

Oggetti, immagini e comportamenti significano ampiamente, ma MAI in modo autonomo, ogni sistema semiologico ha a che fare con il linguaggio, il quale ha come unità i frammenti del discorso  che rinviano a episodi i quali significano sotto il linguaggio, ma mai senza di esso.

Barthes distingue tra:

SIGNIFICATI ISOLOGICI: il significante corrisponde esattamente al suo significato

SISTEMI NON ISOLOGICI: al significante è attribuito un significato attraverso la mediazione della lingua.

ISOLOGIA:fenomeno in virtù del quale la lingua fa aderire in modo indissociabile i suoi significanti e significati.

Immagine cinematografica: oggetto bifronte dotato di 2 regimi

- Non isologico che ristruttura secondo modalità omologhe a quelle della lingua

- Regime isologico in cui il senso si pone nell'immagine e fuori dalla lingua, come significazione immediata, non mediata dal linguaggio.

Metz: gli elementi del linguaggio cinematografico rimangono più grandi rispetto alle piccole unità del linguaggio verbale, è un approccio narrativo.

Linguaggio e cinema: la narratività viene posta fuori dal cinematografico in quanto fatto specifico.

La definizione dei modi e dei limiti di specificità del cinematografico si fonda sulla nozione di codice. 

La codicalità specifica del cinema riguarda innanzitutto forma e materia dell'espressione: partendo dal presupposto che esiste un'unica materia del contenuto, il senso è manifestabile in linguaggi diversi. Nel processo di significazione esiste un momento primo di apprensione del senso. Il senso, espulso dal cinematografico, è suscettibile di investire nel testo le morfologie o le figure individuate sul piano del significante, ma tale investimento può avvenire, sia pure implicitamente, e senza che a questo procedimento si dia necessariamente attuazione pratica. L'unico significato possibile del film è quello che si può attribuire attraverso i discorsi sui film, socialmente e culturalmente attestati.

Categoria della persona che è in riferimento al modello linguistico. Già Aumont ha distinto il punto di vista ottico dal punto di vista predicativo. Il PDVO è costitutivo di ciò che viene visto, ma non implica direttamente alcuna soggettività; mentre il PDVP, che implica gerarchicamente il punto di vista ottico non è omologabile con esso, sembra correlarsi alla soggettività dell'enunciante.

La relazione io/tu viene installata attraverso un débrayage enunciazionale, mentre la terza persona viene installata attraverso un débrayage enunciativo. Tali débrayage sono di natura categoriale.








2: PER UNA TEORIA FOTOGENICA

Per la parola fotogenia si pongono 2 serie di questioni diverse: la prima riguarda il significato e l'uso dei una parola, la seconda riguarda che cosa è cambiato dal 1920 ad oggi, cioè quale sia il rilievo e l'interesse della nozione di fotogenia rivista rispetto ai problemi cui cerca oggi di rispondere la teoria del cinema.

La parola fotogenia ha una diffusione vastissima in tutta la prima metà degli anni 20. può indicare le qualità compositive, plastiche o luministiche delle immagini cinematografiche, ma anche quegli attributi che un'attrice deve possedere per ben figurare sullo schermo, serve a dire ciò che il cinema deve essere, ma anche per indicare il potere d'illuminazione di una lampada.

Ha uno spettro assai ampio di significati.

Epstein definì fotogenico ogni aspetto delle cose, degli esseri e delle coscienze che accresca la sua qualità morale attraverso la riproduzione cinematografica. È un termine ombrello, una parola alla moda, che fa riferimento a un universo discorsivo, quello della specificità del cinema.

Esiste una qualità specificamente del cinema, che nella sua accezione più ampia è quella di produrre immagini in movimento, suscettibile di un accordo con le qualità del materiale riprodotto. Esse sono proprio quelle qualità morali degli oggetti e delle persone che ne definiscono il carattere. La fotogenia non perviene agli oggetti del mondo più di quanto non sia propria del dispositivo cinematografico: essa è una qualità immanente dell'immagine cinematografica.

Per Delluc la fotogenia esprime essenzialmente  l'accordo tra un soggetto e un oggetto della visione. La natura di questo accordo oscilla tra la casualità e la capacità di saper vedere che deve caratterizzare il cineasta.

Per Delluc il cinema deve essere naturale, deve svelare la natura perduta delle cose, per Epstein la verità del cinema è un costrutto, un effetto di senso che ha ben poco di naturale. Lo stesso accade per il paesaggio: per Delluc il plein air ha valore in sé, per Epstein rappresenta invece una sorta di grado zero della fotogenia: è fotogenico non di per sé, ma in quanto può essere uno stato d'animo.

Per noi il tutto è l'individuo e la parte non ha vita propria, il cinematografo rappresenta altrimenti gli esseri: per cui la mano è spesso un individuo più caratterizzato dell'uomo a cui diciamo che appartiene. Ma non solamente le parti del tutto umano sono elevate dal cinema al rango gli individui, succede lo stesso per le parti o l'intero di animali ,vegetali o oggetti qualsiasi.

L'analogia tra l'amore e il cinema si fonda su 2 qualità che entrambi sembrano possedere: la capacità sinestetica e l'immediatezza. Anche se al cinema, arte monosenso, è la vista ad essere sollecitata, attraverso essa è in realtà, come nell'amore, l'intera sfera del sensibile ad essere mobilitata; il cinema, come l'amore, non è mediato attraverso il linguaggio.

La fotogenia, in quanto accordo tra la mobilità del mondo e quella del cinema, è essa stessa un aspetto mobile delle immagini, essa è variabile e discontinua. Dalla mobilità discende l'autonomia delle immagini: esse non preesistono al cinema, sono il risultato continuamente mutevole dell'incrociarsi di una doppia mobilità, del cinema e del mondo. In quanto oggetti, le immagini del mondo sono create dal cinema, esistono per se stesse e sono in grado di veicolare alcuni aspetti del mondo, i sentimenti.

L'immagine necessita di un soggetto, in quanto solo il permanere di una forma soggettiva che regge l'immagine garantisce la possibilità di integrare il punto di vista all'interno di una sintassi narrativa. Si deve trasformare l'immagine in un enunciato del tipo soggetto vede oggetto. Le immagini vengono trasformate in tal modo in enunciati narrativi e il problema della coordinazione tra forme soggettive diverse si pone nei termini della sintassi narrativa.

Deleuze introduce l'immagine movimento; essa non è né una lingua né un linguaggio. È una massa plastica, una materia a-significante e a-sintattica. È una condizione virtualmente anteriore a ciò che condiziona. Non è un'enunciazione, non sono enunciati. È un enunciabile. Quando il linguaggio si impadronisce di questa materia allora essa dà luogo a enunciati che domineranno o persino sostituiranno le immagini e i segni e che rinviano per loro conto a tratti pertinenti della lingua, sintagmi e paradigmi, del tutto diversi da quelli di partenza.

L'immagine movimento è enunciabile, perché un enunciabile si trasformi in un enunciato occorre un soggetto operatore di tale trasformazione,che l'analisi ritroverà come traccia all'interno dell'enunciato o anche porrà come presupposto più o meno empirico fuori di esso.


3: L'ANIMA AL RALLENTATORE. NOTE SULLA "CHUTE DE LA MAISON USHER".

Epstein non è un autore, egli è uno sperimentatore, in senso proprio un realizzatore di cinema. È il cinema che si deve fare, che deve essere fatto, e rispetto alle potenzialità del cinema egli fa un passo indietro, ponendosi in un certo senso al suo servizio, come realizzatore, appunto, piuttosto che pensare ad un cinema che esprima le suo potenzialità come autore. Per Epstein fare cinema non significava soltanto ottenere dei risultati come autore, ma anche e soprattutto cambiare il cinema stesso, afferrarne la storia per la coda.

Il film non è pensabile semplicemente in una relazione opera-autore, e dunque è assai parziale vederlo come un momento di svolta radicale nella poetica di Epstein.

La Maison Usher per Epstein rappresentava il tentativo di rendere attraverso il film della impressioni intorno all'opera di Poe nel suo complesso, in una sorta di variazioni sul tema. La struttura narrativa è semplice:il film è quello che si vede, e il motore di tutto è un puro automatismo, che non ha né causa né ragione. L'aspetto iconografico è caratterizzato da molti dipinti, spesso con forme bizzarre, forma tondeggianti vagamente biomorfe, è fortemente privilegiata la dimensione frontale e quella orizzontale. È uno spazio scenico fortemente disarticolato e molto sviluppato in ampiezza.

Il film si può definire astratto, realizzato però NON con i materiali della pittura, che danno luogo ad un cinema caleidoscopio, ma con quelli del cinema, le immagini fotogeniche.


4. IL PARADOSSO DELL'AUTORE

L'autore rappresenta nel discorso sul cinema un oggetto di dubbia consistenza teorica. Si usa l'autore come etichetta di comodo per identificare oggetti che non necessariamente ad esso fanno riferimento. È un uso strumentale di un nome che ha la mera funzione di indice.

In Epstein si trova correntemente l'affermazione che il cinema è una lingua, attribuisce un'apparenza di vita a tutti gli oggetti che designa. La questione della lingua è legata a quella della "reinvenzione del reale": è la forza animista della lingua cinema che permette di dare vita al mondo. Perché ci sia un autore poi bisogna che questi possa usufruire di un linguaggio, o quantomeno di un mezzo espressivo.

Per Epstein la lingua cinema è il senso stesso, ed è un soggetto terzo rispetto all'interlocuzione. È un sistema significativo più che un sistema significativo. Da un lato la lingua cinema di Epstein male si presta ad essere piegata alle necessità espressive di un autore, essa rimane fondamentalmente altra, a anzi trova il suo spazio proprio nel momento in cui il soggetto vacilla, perde la propria capacità d'espressione, sovrastato dai sentimenti, dall'altro al cinema non esiste presa di parola. Fare cinema è in qualche modo una deroga alla propria capacità di parlare.


5. LA GRANA DEL CINEMA. CINEMA E PITTURA.

Negli anni 20 l'idea che prende forma è che il cinema organizzi un sistema di percezione altro dalla percezione normale, che ne costituisce il principio di verità. La verità del cinema rimanda a ciò che il cinema rimane, come residuo, come grana, al di sotto della rappresentazione. Essa è fatta di inquadrature, movimento, montaggio e soprattutto di primo piano. Del cinema allora si può dire che è autentico, vero, come si può dirlo di un quadro.

La Ricotta è un'opera importante di Pasolini. Narra la storia e l'agonia di Stracci, un borgataro che partecipa come figurante, nella parte del buon ladrone, alla realizzazione di un film dedicato alla passione di Cristo. Qui c'è l'espediente del cinema nel cinema che permette al regista di evidenziare le due sequenze dedicate alla ricostruzione dei dipinti. Le uniche due scene a colori si aprono con un totale che costituisce la replica vivente, fedele, dei dipinti a cui esse si riferiscono: univoca differenza lo sviluppo verticale delle due Deposizioni, che contrasta con lo sviluppo orizzontale, determinato dal formato fotografico, delle scene filmate.

Il cinema è inevitabilmente in contatto con le fasi iniziali della pittura: come se si riproducesse nuovamente sulla tela dello schermo la forma della prima pittura su rotolo, ma questa volta come movimento effettivo di un nastro che scorre realmente. Il rapporto con la pittura si configura nel cinema di Epstein più che come occasionale ripresa iconografica, come riorganizzazione di procedure formali attuate nelle arti figurative, che il cinema può utilizzare al di là dello specifico contenuto iconografico.

DA QUI IO FACCIO SUL TESTO, TANTO SONO POCHE COSE E FACILI A IMPARARE..

----- ----- ---- TESTO ------------ ------------- ------------ ------------ ------


6. UN TRENO ARRIVA

L'analisi de l'arrivée d'un train rifiuta l'idea di origine e considera il testo nella sua complessità; si pone dunque un duplice obiettivo: la chiarificazione teorica di alcuni problemi connessi con l'utilizzazione de categorie enunciative in un testo visivo, ma anche l'analisi funzionale di un testo  il cui rilievo storico sembra oltrepassare il puro interesse cronologico,

permane invariato il punto di vista ottico.

Il punto di vista prospettico (ottico) non necessariamente rende omogeneo lo spazio inquadrato. L'individuazione di due spazi disomogenei sul piano sintagmatico consente una segmentazione che prescinda dall'unicità del punto di vista prospettico.

Il movimento del treno provoca un mutamento della direzione tra lo sfondo e l'attore figurativo inquadrato. Il treno muovendosi sullo sfondo, finisce per sostituire quest'ultimo  e diventare a sua volta lo sfondo su cui nuovi attori focalizzati si trovano ad agire. Si tratta in questo caso di un soggetto narrativo (il treno) che perde la sua identità, ossia la sua capacità di permanere come tale attante all'interno del discorso nel quale si inseriva.

Si può posizionare nello spazio il punto di vista ottico che costituisce l'inquadratura ed indicarne la posizione.

Il punto di vista ottico è all'incirca ad un paio di metri di distanza dal marciapiede, ad altezza d'uomo, orizzontale e spostato a sinistra rispetto all'asse parallelo al binario. Lo spettatore, per il suo fare e per il suo essere, si trova ad appartenere virtualmente al gruppo di persone che aspettano il treno, e può essere quindi narrativamente omologato ad esse.

Abbiamo un'aspettualità spaziale che si affianca ad una aspettualità temporale inglobante. La terminatività inglobante è resa attraverso procedure temporali: l'omologazione dell'osservatore al gruppo di persone in attesa del treno istalla una configurazione discorsiva inglobante che è quella dell'attesa. Ma tale procedimento qualifica immediatamente uno spazio, lo spazio occupato dallo spettatore, come spazio dell'attesa, a partire da esso lo sguardo dell'osservatore, attraverso la categoria della distanza, costruisce una struttura aspettuale percorribile e percorsa dal treno che si avvicina e che determina col movimento una variazione di piani che va dal totale al primissimo piano.

Si ritiene in genere che una variazione di piano, sia essa continua o discreta, implichi uno spostamento della macchina da presa m.d.p.

La scena de l'Arrive d'un train si articola secondo due assi spaziali diversi: un asse prospettico e un asse diagonale. Il primo costituisce lo spettatore come punto di riferimento; il secondo, determinato dalle linee dei binari e dei marciapiedi, costituisce come punto di fuga il treno, che si trova a ricoprire anche la posizione attanziale di informatore, attore sincretico dunque. Il sistema aspettuale dello spazio è il risultato dell'incrociarsi di una struttura prossemica costituita a partire dallo spettatore secondo la categoria della distanza, che ci permette di definire astratto una scala dei piani, e un fare informativo, il movimento in quanto rendersi visibile dell'informatore, che tali piani concretamente produce.

Il sistema spaziale dello spettatore si costituisce come sistema pragmatico o più propriamente ottico, facendo riferimento alla visione e ai suoi limiti naturali, mentre quello dell'informatore si costituisce come sistema cognitivo, in cui il movimento rimanda ad un saper fare.

A livello discorsivo esiste un sincretismo tra soggetto narrativo e informatore, entrambi figurativizzati dal treno, sincretismo per cui il movimento del treno costituisce sia l'oggetto della narrazione, sia il fare informativo che la rende riconoscibile.

IN PILLOLINE: l'autore si trova parzialmente debrayato all'interno dell'enunciato, assumendo lo statuto di osservatore virtuale. Questo tipo di osservatore è lo spettatore. Lo spettatore si trova omologato agli attori figurativi presenti nel testo, sia per le sue caratteristiche antropomorfe che posizionali. Lo spettatore pare ritrovarsi essenzialmente sulla dimensione pragmatica, lo spazio dello spettatore è anch'esso pragmatico, al contrario l'informatore si situa sulla dimensione cognitiva, costituendo la propria competenza come far sapere; lo spazio dell'informatore ha anch'esso una forte valenza cognitiva e appare come luogo di una trasformazione di sapere. L'omologazione tra informatore e soggetto performante ci sembra caratterizzare il reale come autoevidente.

Nel secondo sintagma viene annullata ogni possibile omologazione fra spettatore ed attori: le persone in attesa del treno, confondendosi con i passeggeri, perdono ogni caratteristica di osservatori, trasformandosi esse stesse con i passeggeri, in soggetti performanti. Nel testo viene a crearsi una forte opposizione tra attori e spettatore, strutturata secondo la categoria movimento vs immobilità. In questo sintagma non è possibile individuare alcuna figurativizzazione dell'informatore all'interno dell'enunciato. È possibile notare l'assenza di un'organizzazione dei piani per ordina scalare: piani diversi appaiono compresenti o in successioni prive di regolarità. È lo spazio occupato dalla macchina da presa, spazio costantemente aggirato, spazio che si costituisce come punto vuoto all'interno di un reticolo di percorsi.

L'opposizione realismo/de-realismo presente nell'opera presuppone un livello isotopico comune su cui essa si attua. Questo livello è rappresentato dal termine "ottico" presente in entrambi i poli dell'opposizione: esiste dunque un isotopia ottica che percorre tutto il testo, alla quale le strategie enunciative fanno riferimento. Le immagini del film costituiscono il programma d'uso per un programma di base che, situandosi sull'isotopia ottica, ha per oggetto la natura stessa del processo riproduttivo, della macchina da presa. In che modo la dinamica realismo/de-realismo si riferisce alla riproduzione ottica? Essa è costitutiva dell'immagine cinematografica stessa: si presenta come la forma figurativa di un contratto veridittivo particolare. L'opera però non si limita però ad esibire passivamente lo statuto ontologico dell'immagine cinematografica: lo replica come isotopia. L'enunciatore indica al proprio enunciatario il funzionamento dell'apparato ottico, assegnandoli una posizione percettiva che si rivela nel contempo realmente illusoria. L'enunciatario è così invitato a indirizzare la sua attenzione sul dispositivo ottico capace di operare un tale prodigio.


7. LA POSIZIONE DELL'ENUNCIATORE NEL FILM UN MERCOLEDI' DA LEONI.

L'opera parla di un rito di passaggio, un rito che comporta un cambiamento di stato ed in questo senso riguarda da vicino il problema della qualificazione del soggetto in vista della sua realizzazione. Nel caso di un filmato antropologico ci troveremmo di fronte ad una narrazione che si astine dal partecipare alla rappresentazione del rito, nel nostro film il rito rappresentato è reso invece in termini forici. La presenza ad esempio della prima persona verbale, la qualificazione dei personaggi come tre amici e il tono musicale, fanno dell'enunciatore una presenza partecipativa, solidale con l'enunciato. Si può ipotizzare la presenza dell'enunciatore nel testo, secondo modalità da individuare sulle deissi, che vengono valorizzate positivamente o negativamente dalla categoria timica /euforia/vs/disforia/.

Il racconto mette in gioco due universi semantici, due mondi, uno che definiremo canonico e uno idiolettale. Attraverso la ripetizione e la ridondanza di certe categorie figurative lungo tutto il percorso del film, possiamo definirne le caratteristiche. Jack, Mat e Leroy sono i tre amici, ricoprono il ruolo di soggetto in 2 universi:

Il primo universo a essere definito è "quel regno particolare" citato all'inizio dalla voce off. Il mondo che i protagonisti si lasciano alle spalle, entrando in spiaggia, ritorna più volte nel film ed è sempre situato al di là della scala di accesso alla spiaggia stessa, mentre quest'ultima individua uno spazio a cui corrisponde un mondo e una situazione completamente differenti.

Oltre la scala, l'oceano, è il luogo delle mareggiate, direttamente correlate alla trasformazione euforica dei "giorni" in grandi giornate. Ed è il luogo delle onde, che graduano il valore delle diverse mareggiate e allo stesso tempo valutano la competenza dei soggetti rispetto al loro poter fare (il surf). Mat, soprattutto, ma anche Leroy e Jack, sono i re di questo ambiente e il surf viene da loro praticato con destrezza fin dall'inizio. Il punto centrale dell'isotopia del surf è costituito dall'attesa della mitica mareggiata, gigantesco evento naturale che modula intorno a sé tutto l'andamento del racconto.

Struttura assiologia: i termini contrari /vita/-/morte/ rappresentano l'isotopia della vita, mentre i termini contraddittori proiettati a partire da questi /non morte/-/ non vita/ rappresentano l'isotopia del surf. Il racconto euforizza l'asse neutro (dei contradditori) mentre disforizza quello complesso (quello dei contrari) con una particolare predominanza per il termine /morte/.

Assiologia figurativa: nell'isotopia della vita, la categoria /vita/ può essere omologata con la categoria figurativa /terra/ e rappresenta i luoghi sociali: il bar, il cimitero e il negozio di Bear. La categoria /morte/ può essere a sua volta omologata con /fuoco/: con la rissa in Messico, il fucile mostrato da Leroy nel viaggio verso il Messico, gli incendi mostrati in televisione. L'isotopia del surf, caratterizzata dalle due categorie /non morte/-/non vita/, può essere omologata nel modo seguente: la categoria /non vita/ ad /acqua/, figurativizzata dalla enorme presenza del mare; mentre la categoria /non morte/ viene omologata ad /aria/, manifestata dalla presenza del vento, delle nuvole e dai mutamenti stagionali.

La scala di accesso al mare, punto di connessione alle 2 isotopie su cui si modula la narrazione, ricopre anche da un punto di vista spaziale il ruolo di frontiera fra gli spazi morfologicamente chiusi dall'asse /vita/-/morte/ e quelli aperti dell'asse /non morte/-/non vita/. Questo spazio è articolato in spazio utopico, o spazio della prova principale, e spazio paratopico: il mare, la spiaggia, il pontile, luoghi verso i quali si era realizzato lo spostamento che inaugura il racconto. Dall'altra parte uno spazio eteropico, luogo in cui si manifesta lo stato iniziale e lo stato terminale, luogo da cui si è mosso l'eroe per la sua azione e dove si ritrova una volta portata al termine la sua missione.

Dal punto di vista della programmazione temporale, la caratterizzazione consiste nella individuazione di due temporalità differenti, correlate direttamente alle due isotopie. Una lineare, continuamente evocata dall'isotopia della vita. È l'andamento lineare del tempo dalla vita alla morte, è la consecuzione causa-effetto. Si contrappone ad una temporalità ciclica costituita dall'isotopia opposta. Si configura così un tempo del mito riproposto in modo particolare dalla struttura temporale delle quattro mareggiate, che mettono in scena come effetto di senso una ritualizzazione della difficoltà tipica del rito di passaggio. Come spesso accade  nel racconto mitico, si assiste qui ad una omologazione delle strutture temporali e spaziali, per cui la temporalità ciclica viene resa, oltre che dalla disposizione stagionale, attraverso il sistema dei punti cardinali.

Il rapporto centrale della narrazione, in generale è costituito dall'opposizione soggetto-oggetto, come termini di una relazione che struttura l'andamento del racconto che intorno a queste forze si organizza. Tutte le trasformazioni narrative appaiono come iscritte nel discorso sotto la forma di modificazioni dei rapporti attribuiti a questi due poli. Il rapporto di desiderio mette in luce un attante soggetto e un attante oggetto. Oggettivo perché marca una distanza fra soggetto e oggetto, soggettivo perché è l'espressione di un valore che il soggetto attribuisce all'oggetto attraverso il suo orientamento. Questa tensione è espressa nel film dalla ricerca del grande mercoledì da parte di Jack, Mat e Leroy, soggetti in relazione ad un oggetto-valore che è costituito dalla possibilità di cavalcare la cresta di onde di sei o più metri da soli. L'oggetto di valore nel momento della prova si vedrà modificato, o meglio integrato, in un oggetto modale che chiameremo /fierezza/. Il soggetto del fare presuppone con la sua apparizione un destinatore. Nel nostro caso questa istanza originante è rappresentata dal vento.

Bear è la memoria del mito costruito intorno all'esistenza del grande mercoledì, lui stesso ex campione di surf è reduce dalla grande impresa. Mat, Jack e Leroy rappresentano il soggetto del programma narrativo individuato. Essi sono però allo stesso tempo il soggetto e l'antisoggetto, poiché mettono in scena la fluttuazione fra le due isotopie rappresentative dei due programmi narrativi antagonisti.

Il soggetto legato all'isotopia del surf si scontra con un simulacro di sé (l'antisoggetto), legato in qualche modo all'isotopia della vita.

Greimas propone un'articolazione del "codice dell'onore", risultante dalla reiezione sul quadrato semiotico della modalità del poter-fare, che permette di ottenere un codice assiologico modale.

La narrazione si sviluppa intorno ad una contraddizione fino alla ricerca della sua soluzione. Possiamo dividere il testo filmico in 4 segmenti fondamentali che possono essere messi in rapporto con altrettanti movimenti rappresentabili all'interno del quadrato semiotico.

  1. Il primo movimento si effettua tramite una negazione dell'isotopia della vita in favore dell'isotopia del surf che viene attualizzata. Il passaggio da /vita/ a /non vita/ viene realizzato discorsivamente attraverso tutto il segmento che corrisponde alla prima grande mareggiata. L'isotopia del surf rimane attuale durante tutto il primo segmento in cui si assiste al tentativo, che si rivela ben presto fallimentare, di trasferire l'isotopia del surf, con il tipo di investimento assiologico e di codice etico che essa comporta, all'interno dell'universo narrativo del racconto.
  2. Il segmento corrispondente alla seconda mareggiata discorsivizza un passaggio di nuovo dall'isotopia del surf all'isotopia della vita. Tutto il segmento è dominato dalla partenza per il Vietnam. Questa presenza viene vissuta con una continua oscillazione in cui sembra che i valori del surf possono prevalere.
  3. Il terzo segmento, negazione della categoria /morte/ alla categoria /non morte/, inizia mettendo in scena proprio il polo /morte/ (funerale di Waxer) ma procede mediante una negazione di tale polarità. Marca un momento forte della contraddizione censi instaura a partire dalla compresenza delle due isotopie.
  4. Il quarto segmento corrisponde alla gigantesca mareggiata e realizza il ritorno dei protagonisti alla /vita/. Esso si manifesta, tuttavia, in modo anomalo rispetto agli altri.

Ciò che i protagonisti cercano durante tutto il racconto è la possibilità di accedere alla vita sociale senza rimpianti. Il grande mercoledì dovrebbe rappresentare per loro la coscienza di essere stati grandi.

L'isotopia della vita si costruisce intorno ad una temporalità di tipo lineare, mentre l'isotopia del surf si costruisce intorno a una di tipo ciclico. Se è vero che la posizione finale dell'eroe del racconto non coincide con nessuna di queste due isotopie, occorrerà rendere un terzo modello di temporalità. Possiamo ipotizzare che al codice fierezza corrisponda una temporalità localmente ciclica inserita in una temporalità globalmente lineare. Per contro al codice dell'umiltà corrisponde una temporalità globalmente lineare inserita in una globalmente ciclica. Alla prima corrisponderà  la temporalità del mito, in cui avremo un "io" ciclico che prevale sulla temporalità della parabola, in cui un "io" lineare sarà inglobato in un tempo che non conosce mutamenti.

L'enunciatore non risulta situato né nell'isotopia del surf né in quella della vita: egli ricopre fin dall'inizio la posizione manifestata dal codice della fierezza sulla quale avrà luogo al termine del film la congiunzione con i soggetti della narrazione. La macchina da presa si posiziona sempre avanti o dietro rispetto ai protagonisti, sceglie una posizione e la mantiene, non li segue. Da un punto di vista narrativo questa gerarchia, che manifesta un rapporto di superiorità neiu confronti dei personaggi da parte dell'enunciatore, viene a riproporsi nella sequenza della rissa in casa di Jack. Bear e i suoi amici manifestano la stessa autonomia nei confronti del racconto.

A un punto dell'opera si ha una drastica trasformazione. Si tratta della sequenza che, all'interno del segmento del "grande mercoledì", introduce la scena vera e propria della prova principale. L'enunciatore cambia il tipo di inquadratura e così sottolinea l'avvenuta ricongiunzione con gli eroi del film attraverso un'adesione esplicita alla performance che essi stanno per compiere. Questa posizione viene manifestata tramite l'opposizione all'immobilità della macchina da presa e la mobilità che questa viene ad assumere in questo frangente. Il suo punto di vista diventa il punto di vista dei protagonisti.

La manipolazione effettuata dall'enunciatore con la proposta di un terzo universo assiologico, quello della fierezza, come soluzione del conflitto interiore, è presa in carico dagli attanti della narrazione che aderiscono così al suo progetto.

Due differenti mitologie vengono messe in campo. Quella dell'enunciato, costituita dall'evento mitico, il "grande mercoledì", da una parte; quella dell'enunciazione, che simmetricamente all'enunciato enfatizza la sua posizione, dall'altra. Il mito viene reso citando il mito del cinema classico.

Sequenza della grande prova: dal momento in cui i tre personaggi entrano in acqua la sequenza è messa in scena attraverso un vero e proprio "spettacolo dell'immagine". La percezione visiva viene enfatizzata con una moltiplicazione incredibile dei punti di vista. Le reciproche posizioni gerarchiche perdono di senso.

La manipolazione ha così avuto luogo; alla percezione in sé delle immagini fa riscontro l'azzeramento del fare interpretativo dell'enunciatore per tutta la durata della grande prova.

Ai fini della narrazione è necessario che la prova abbia luogo, affinché possa esservi la sanzione che valuta l'operato del soggetto. In questo caso l'enunciatore anticipa la sanzione con questa manifesta adesione. Dopo la prova, il ragazzo, esplica la sanzione della prova dicendo "hai fatto la cosa più eccezionale che io abbia mai visto".

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