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Ludovico Ariosto
Il 1500 fu 1'anno della svolta per la vita del grande autore; muore il padre, lasciando a lui, primo genito di dieci tra fratelli e sorelle, l'intera famiglia a carico e una situazione economica non florida.
I concreti problemi del bilancio familiare si fanno pressanti e la carriera a corte una necessità inevitabile. Nel 1502 ottenne il capitanato di Canossa, primo incarico specifico, nel 1503 entra al servizio del cardinale Ippolito d'Este, presso cui rimarrà fino a quando, nel 1517, si rifiuterà di seguirlo ad Agria, in Ungheria, sede del suo vescovado, troncando ogni rapporto con lui.
Di questa esperienza, durata poco meno di un quindicennio, vi sono i recisi ed aspri giudizi formulati dal grande autore nelle Satire. Egli rappresentava il cardinale come insensibile ad ogni valore e merito artistico, gretto ed avaro, preda dei cortigiani adulatori: qualifica il proprio servizio come quello di un cameriere 'alli usatti, alii spran, perch'io son grande /non mi posso adattar per pome o trame' e di un 'cavallaro' per i continui, faticosi e pericolosi incarichi e spostamenti che gli erano imposti 'non mi lascio fermar molto in un luogo/e di poeta cavallar mi feo'; definisce il servizio nel suo complesso un giogo cioè 1'appressione del cardinale d'Este.
Va anche osservato però d'altro canto che proprio negli anni di servizio presso il cardinale Ippolito, 1'Ariosto concepì, compose e pubblico 1'Orlando furioso, dedicandolo al cardinale e mantenendo poi generosamente la dedica nelle successive edizioni, apparse dopo la rottura del 1517. Anni dunque solo relativamente difficili furono questi, e sul piano dell'arte, non improduttivi.
II cardinale fece poi ottenere all'autore un beneficio ecclesiastico, connesso alle rendite della Cancelleria Arcivescovile di Milano, come lo stesso poeta ricorda nella Satira1, dove però si lamenta che la concessione ripagasse i servizi pratici, non 1'attivita poetica.
Sul piano della letteratura gli anni critici successivi alla rottura con il cardinale sono gli anni delle Satire, tutte composte tra il 1517 e il 1525 appunto, che ben documentano il fondo di amarezza, di pessimismo, di asprezza polemica con cui egli affronta le esperienze e le prove che gli riserva la sorte. Durante questo periodo gli venne affidato un incarico tutt'altro che facile, il commisariato di Garfagna, un territorio di confine, da poco ritornato sotto il dominio estense, politicamente turbolento e infestato di banditi. L'Ariosto accettò questo incarico per la sua situazione economica gravosa, dovette così lasciare la sua amata Ferrara, dove era sentimentalmente legato ad Alessandra Benucci.
Nei tre anni di permanenza a Garfagna (fino al 1525) mise in luce 'rare virtù di amministrazione preciso ed avveduto, abile diplomatico, capace al momento giusto di alternare la forza all'astuzia'.
Le lettere di questo periodo documentano senza veli letterari che anche queste virtù e questi comportamenti furono una conquista faticosa, se in occasione di una pestilenza, nel 1522, 1'Ariosto poteva scrivere ad esempio: 'supplico vostra ex. che sia contenta ch'io, senza scriverne altrimenti, possa levarmi e venirmene a casa, perchè in ogni altro luogo mi daria il core di poter schivar la peste fuor che qui, dove ho sempre villani alle orecchie'. Con la fine dell'esperienza garfagnina ed il ritorno a Ferrara si apre un periodo più sereno per 1' Ariosto, che coincide, dopo il 1528, con un miglioramento della situazione politica ferrarese: il Duca gli affida incarichi di maggior prestigio e soprattutto a lui più congeniali, fra cui quello di organizzatore degli spettacoli di corte. L'Ariosto a questo proposito riscrive in versi due commedie giovanili, la Cassaria e i Suppositi, rielabora il Negromante e scrive ex novo, nel 1528, la Lena. Riprende anche a lavorare al Furioso: dopo 1'edizione del 1521,scartata 1'ipotesi della 'giunta' dei Cinque canti, prepara 1'edizione definitiva aggiungendo nuovi episodi e rivedendo ulteriormente la lingua. L'edizione che vede la luce nel 1532,1'anno precedente la morte del poeta, si mostra, anche negli episodi aggiuntivi e nel lavoro correttivo, sostanzialmente in linea con lo spirito del primo Furioso, segno che, sia pur dolorosamente e faticosamente, l'equilibrio e la saggezza potevano dirsi una conquista realizzata.
Gli ultimi anni segnano anche il raggiungimento di un equilibrio affettivo e familiare: il poeta sposa, segretamente però, e senza convivere con lei, Alessandra Benucci, con cui aveva una relazione dal 1513, si stabilisce nella casetta di Milano, gode finalmente di più tempo per dedicarsi alle sue occupazioni predilette.
La morte lo coglie nella sua amata Ferrara il 6 Luglio del 1533
Il re dei Franchi Carlo, che, cautelato da un patto di alleanza con i Musulmani, guida 1'esercito cristiano contro la città cristiana di Pamplona e 1'imperatore pluricentenario, giusto e saggio, ispirato direttamente dalla parola di Dio e crociato contro gli infedeli, diviene leggenda. L'imboscata tesa dai Baschi ai Franchi si maschera in tradimento e massacro da parte dei Saraceni. E Rolando un funzionario dell'amministrazione reale, caduto nella sfortunata giornata passa da degno e puro eroe della 'doice Francia', a martire della fede cristiana. Il Fauriel, il grande critico francese amico di Manzoni, sostenne che 'la sconfitta di Roncisvalle lasciò nell'immaginazione della popolazione della Gallia meridionale una profonda impressione, di cui la poesia si impadronì ben presto'.
A questo giudizio è sottesa la teoria cara ai romantici, e prima al Vico, di una poesia popolare, originaria e spontanea, diffusa oralmente; di fronte sta la poesia dei letterati, opera d'imitazione e di retorica di una poesia anonima, vera, sorgiva, dotta ed artificiosa.
II furioso poema del secolo
Centocinquantaquattro edizioni italiane ed una quarantina straniere di cui venti francesi ventuno spagnole e una inglese nel giro di un secolo: questo il bilancio dell'Orlando Furioso nel cinquecento, un primato da fare invidia a qualunque autore moderno, un indice di gradimento tra i più alti della storia letteraria: tale da giustificare la definizione di 'poema del secolo più volte assegnata al poema ariostesco. A questo successo di pubblico corrisponde 1'accoglienza favorevole, talora entusiastica, di letterati e uomini di cultura, soprattutto nella prima meta del secolo, quando la fama dell'Ariosto non appare ancora contrastata dalla nuova meteora tassiana. Nel nutrito gruppo di seguaci si trovano anche grossi fautori come :Machiavelli, che trova 1'0rlando 'bello tutto, ed in molti luoghi mirabile '. Meno conosciuto, ma più impegnato, Lodovico Doice, che scrive un'Apolgia, difendendo il poema dalle accuse che, nel consenso generale, pure serpeggiavano: accuse varie, qualcuna invidiosa, che vanno dall'appunto stilistico alla denuncia di plagio. Sul versante dei detrattori dichiarati e da ricordare Gian Giorgio Trissino, autore di un infelice poema epico, '1'Italia liberata dai Goti', rimprovera sdegnosamente al Furioso di 'piacere al volgo': giudizio che, visto il pulpito, si traduce per noi in testimonianza a favore dell'Ariosto. Ma d'un tratto 1'Ariosto è posto fuori legge. La pubblicazione, nel 1536, della Poetica di Aristotele segna una svolta determinante, storica, negli sviluppi della cultura, e della letteratura, rinascimentale.
Nel corso dei decenni successivi, sul fondamento e 1'autorità del filosofo greco nasce tutta una trattatistica intesa a fissare il codice delle norme che dovevano regolare i singoli generi letterari, in particolare la tragedia e 1'epopea. Quasi tutti vi si adeguarono; in ogni caso la Poetica aristotelica restava un punto obbligato di partenza e di discussione per chi fosse mosso da diverse esigenze artistiche o ideologiche.
I riflessi del nuovo canone estetico non tardarono a farsi sentire nei giudizi sul Furioso, che viene bandito. Le motivazioni sono varie: mancanza di unità d'azione, povertà dell'invenzione, ed un eccessivo numero di personaggi. Tra i più animosi accusatori, troviamo il pontefice dell'aristotelismo cinquecentesco, Sperone Speroni: per lui 1'Ariosto 'fu anzi oca che cigno' e quanto di bello c'è nel Furioso è sottratto all'Innamorato del Boiardo. Se si voleva dare all'opera il pieno diritto di cittadinanza letteraria che meritava, occorreva sottrarlo alla spira del regolismo aristotelico. Ed in tale direzione agirono alcuni critici e teorici, in particolare il Giraldi ed il Pigna, sostenendo che 1'opera apparteneva ad un genere nuovo di poema, il romanzo: un genere non conosciuto da Aristotele, e pertanto svincolato da ogni norma fondata sull'autorità della Poetica.
Bernardo Tasso, padre di Torquato, acutamente azzardava 1'ipotesi che Aristotele conoscendo il 'vaghissimo poema dell'Ariosto', potesse mutare opinione, prescrivendo nuove leggi al poema eroico.
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