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Linguaggio e relazione sociale
1. APPRENDIMENTO DEL LINGUAGGIO: il cervello basta?
Il linguaggio è senz'altro un tratto naturale dell'uomo, un tratto che ne definisce l'essenza. Non si confonda però "naturale" con "spontaneo": l'uomo apprende una lingua solo all'interno di una relazione personale; dove troviamo una comunità di uomini là troviamo anche una lingua con la quale essi comunicano tra loro.
I wild children e l'origine del linguaggio
Il parlare è di natura relazionale: è un parlare ad altri, acquisito in virtù del fatto che un altro ci ha parlato per primo. Tale è la lezione che ci insegna in maniera emblematica il crudele esperimento di Federico II (1194-1250), narrato da Salimbene da Parma (1221-1288) nella sua Chronica. Volendo conoscere quale fosse la lingua primitiva, vale a dire la lingua nella quale l'uomo si esprimerebbe se non fosse condizionato dall'idioma di chi lo accoglie nel suo ingresso nel mondo, Federico II ordinò che alcuni neonati fossero accuditi e nutriti con ogni cura da balie e nutrici, senza però che si rivolgesse loro la parola. I bambini non presero spontaneamente ad esprimersi né in ebraico, né in latino greco o arabo (come invece l'imperatore si aspettava), ma morirono tutti in breve tempo.
Una sorprendente prova dell'origine relazionale del linguaggio umano è offerta dal caso dei bambini ferini, i cosiddetti wild children. Si tratta di bambini cresciuti lontano dal consesso civile, spesso allevati da animali, che una volta rinvenuti in ambienti selvaggi sono stati reinseriti nella società degli uomini. Questi bambini, pur avendo le capacità fisiche che permettono di articolare parole, non riescono ad imparare a parlare. Nella storia sono stati attestati circa una settantina di casi di wild children: uno dei più noti e meglio documentati è quello di Victor, bambino che nel 1798 fu trovato nell'Aveyron all'apparente età di undici anni. Fu il medico ed educatore francese Jean Marc Gaspard Itard a tentare di insegnargli a parlare. Ecco la sua testimonianza:
"Fu più lo spirito della curiosità che non della speranza di riuscire che mi suggerì la seguente esperienza. Una mattina che aspettava con impazienza il latte che prendeva ogni giorno a colazione, presi dalla sua tavola e disposi su un piano che avevo espressamente preparato queste quattro lettere: L A I T. La signora Guèrin, che avevo avvertita, si avvicina, guarda i caratteri e mi dà subito una tazza piena di latte, di cui faccio finta di volermi servire per me stesso. Un momento dopo mi avvicino a Victor: gli do le quattro lettere che avevo preso dal piano, gliele indico con una mano mentre con l'altra gli porgo la tazza piena di latte. Le lettere furono subito ricollocate sul piano, ma in ordine completamente invertito, in modo che diedero la parola Tial invece di Lait. Indicai allora le correzioni da fare, designando col dito le lettre da trasportare e il posto che occorreva a ciascuna di loro. Quando questi mutamenti ebbero prodotto il segno della cosa, non gliela feci più aspettare.[.]Notai che Victor, invece di riprodurre determinate parole con cui l'avevo familiarizzato per domandare gli oggetti che esprimevano e per manifestare il desiderio o il bisogno che provava,non vi ricorreva che in determinati momenti, e sempre in presenza dell'oggetto desiderato. Così ad esempio,per quanto vivo fosse il suo amore per il latte, egli emetteva, o piuttosto formava nel modo opportuno la parola designante questo alimento soltanto nel momento in cui era abituato a riceverne, e anzi nell'istante in cui vedeva che stavamo per darglielo. [.]Conclusi che la formazione di questo segno, invece di essere per il mio allievo l'espressione dei suoi bisogni,era soltanto una sorta di esercizio preliminare che faceva macchinalmente precedere al soddisfacimento dei suoi appetiti. (Itard 1971: 184, 209-210)
J.M.G. Itard, a quel tempo laureando in medicina, non accolse Victor come un bambino bisognoso di cure ed affetto, ma piuttosto come un soggetto per esperimenti. Fra gli obiettivi che Itard si proponeva rispetto al suo "allievo" vi era quello, come constatato dalla lettura del testo, di "condurlo all'uso della parola determinando l'esercizio dell'imitazione con la legge imperiosa della necessità" (Itard 1971: 139-140). A questo scopo l'educatore insegnò al ragazzo a comporre le lettere della parola "lait" (latte), la cui correttezza era condizione per ottenere l'alimento; Victor riuscì di fatto ad apprendere questo "piccolo esercizio", come lo chiamava Itard, ma solo in presenza del latte, in maniera meccanica. I tentativi di insegnare l'uso della parola, concluse lo sperimentatore, furono vani: sebbene riuscisse ad esprimersi attraverso una comunicazione pantomimica, Victor non riuscì mai veramente ad assegnare significato ai segni linguistici, per quanto fosse in grado talvolta d'imitarne il suono.
È interessante a quello di Victor il caso di Amala e Kamala, due bambine allevate dai lupi e ritrovate nel 1920 a Midnapore, in India. A differenza di quanto accadde a Victor, Amala e Kamala furono accolte con molto affetto dai coniugi Singh, rettori dell'orfanotrofio in cui vennero ricoverate. Amala morì undici mesi dopo il ritrovamento, ma Kamala (rinvenuta all'apparente età di otto anni e mezzo) sopravvisse per otto anni. L'educazione di Kamala si basò sul tentativo di instaurare con lei un legame affettivo; questa via si rivelò assai più feconda di risultati del trattamento "scientifico" di Itard nei confronti del suo "allievo", anche per quanto riguarda il linguaggio: al termine della sua vita Kamala riusciva a padroneggiare correttamente una cinquantina di vocaboli, pur continuando a preferire la comunicazione gestuale.
Le singolari vicende dei wild children insegnano dunque che "non parliamo se qualcuno non ci parla per primo"; l'essere chiamato, che il piccolo uomo sperimenta fin dal suo venire al mondo, lo colloca immediatamente in un contesto relazionale personale, che è anche il luogo d'insegnamento, di trasmissione di una tradizione attraverso il linguaggio, tradizione di cui il linguaggio stesso è parte.
2 LE TAPPE DELL'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO
In un tempo relativamente breve, dalla nascita ai 5-6 anni, cioè durante l'età prescolare,tutti i bambini, salvo rare eccezioni, arrivano ad impadronirsi sufficientemente della loro lingua. Per acquisire la capacità di partecipare ai discorsi, il bambino deve impadronirsi del linguaggio su due versanti: sul piano della comprensione e sul piano della produzione. Lo sviluppo della comprensione e della produzione non vanno di pari passo e per lo più la comprensione precede la produzione. Sono ben identificabili tappe o stadi di acquisizione del linguaggio, la cui successione è caratteristica e si ripete allo stesso modo nei bambini di tutto il mondo, a qualunque popolazione essi appartengano. Esamineremo prima le tappe dello sviluppo della produzione e poi quelle della comprensione.
Sviluppo della produzione linguistica
verso le prime parole: da 0 a 12 mesi. Veri suoni linguistici non vengono prodotti prima dei 4-5 mesi poiché l'apparato fonatorio del bambino è impossibilitato a farlo. I neonati, infatti, hanno la laringe in posizione alta nel collo (la struttura di questa parte del corpo somiglia più a quella degli scimpanzé che a quella di un uomo adulto), la quale gli consente di respirare e deglutire contemporaneamente ma non di parlare.
Fin dalla nascita però i bambini sono in grado di emettere dei suoni, i cosiddetti suoni vegetativi e suoni vocali. I primi sono soltanto conseguenze sonore di attività fisiologiche come respirare e nutrirsi; i secondi, invece, vengono prodotti con la voce e sono di due tipi: gridi e gemiti. Il gemito è meno insistente e più discreto ed è fatto di versi brevi che si ripetono poche volte mentre il grido può durare anche per vari minuti.
Intorno ai due mesi i bambini cominciano ad emettere suoni che somigliano a consonanti e lo fanno abitualmente per rispondere alla madre o ad un adulto che parla amichevolmente o gli sorride. Nel complesso è facilmente intuibile che essi intendano esprimere una sensazione di piacere. Questa caratteristica produzione vocale prende il nome di cooing sound (verso del tubare).
A 5-6 mesi inizia il balbettio ripetuto: il bambino costruisce una sillaba fatta di una consonante e seguita da una vocale e va avanti a ripeterla; per lo più la serie parte dalla vocale, non dalla consonante ( "ababababa", "anananana", "adadadada"). Molto spesso il balbettio suona come un discorso, poiché ha le caratteristiche musicali del parlato.
Gradatamente, in genere intorno agli 8-9 mesi, il balbettio viene sostituito dalla lallazione: il bambino non ripete la stessa sillaba ma varia. Quando verso la fine del primo anno vengono pronunciate le prime parole,le lallazioni non scompaiono subito: per un po' il bambino continua ad esercitarsi nella sua lingua privata.
le olofrasi: da 12 a 18 mesi. Le prime parole non vengono fuori all'improvviso. La loro comparsa è preceduta da una fase in cui il bambino comincia ad associare ad un dato gruppo di fonemi un significato. Dice "da", "mm", "br" con l'intento di esprimere qualcosa di preciso.
Generalmente, quando i bambini cominciano a pronunciare vere e proprie parole, è come se facessero degli esperimenti: dicono la parola per impadronirsene, per verificare che sia esatta o per controllare cosa significhi. Molte volte però l'intento è comunicare qualcosa, trasmettere un messaggio. In questi casi la parola sta al posto di una frase intera o di un periodo: si dice che è una olofrase; gli interlocutori tentano di capire ciò che il bambino vuol dire prestando attenzione alle circostanze e ai messaggi non verbali. Il vocabolario delle olofrasi è fatto di termini a portata semantica intermedia. Non sono parole assai generali, che indicano categorie molto vaste, né parole specifiche, che si riferiscono a gruppi ristretti. Ad esempio,il bambino non dirà "animale" né "alano", ma dirà "cane". Spesso con una stessa parola il bambino indica impropriamente più cose: è il fenomeno dell'iperestensione. Può dire "cane" davanti a qualsiasi animale a quattro zampe: un gatto, una mucca, un cavallo.
le frasi telegrafiche: da 18 a 30 mesi. Tra i 18 e i 24 mesi i bambini cominciano a mettere insieme due parole, formano cioè frasi binarie. Vengono usate solo le parole indispensabili per farsi capire, perciò si dice che il bambino produce frasi telegrafiche. Una stessa frase telegrafica può essere usata per dire cose diverse: ad un'unica struttura di superficie possono corrispondere più strutture di senso.
Quando si esprime con frasi telegrafiche, di solito il bambino comincia a porre quesiti polari, cioè che prevedono come risposta un sì o un no. Sono comuni anche le domande che cominciano con "che cosa" o con "dove".
dalle frasi telegrafiche ai discorsi: da 2 a 6 anni. Già tra il primo e il secondo anno i bambini cominciano a far uso di frasi più lunghe, con più parole. Esse acquistano anche una struttura formale più complessa, fino ad assumere la caratteristiche delle frasi ben formate e corrette. Ciò dipende dalla disponibilità di un lessico più ricco, dall'accresciuta capacità cognitiva e dall'apprendimento delle regole di grammatica (nonostante errori di iperregolarizzazione).
Nel terzo anno compaiono di solito anche le forme interrogative che cominciano con "perché", "come", "quando".
CURIOSITA'!!!
IL BALBETTIO NEI BAMBINI SORDI
I bambini sordi cominciano il balbettio a 5-6 mesi allo stesso modo di quelli normali. Anch'essi ripetono sillabe partendo da vocali. Tuttavia si può sospettare la sordità perché il loro balbettio è monotono, manca della espressività musicale che nel bambino udente dà l'impressione di un discorso vivace. Il fatto che compaia nei sordi come negli udenti fa pesare che il balbettio non dipenda dall'imitazione. I bambini non cominciano a ripetere sillabe perché le hanno ascoltate dai grandi. E' come se seguissero un programma prestabilito dalla natura. Mentre i bambini normali proseguono con il balbettio, fino a che questo non viene sostituito dalle lallazioni o dalle parole, i sordi piano piano smettono. Evidentemente l'attività di balbettio viene mantenuta in vita dal fatto che il bambino ascolta se stesso e che gli altri gli rispondono. Il sordo non può udire il proprio balbettio, né le risposte degli altri, di conseguenza smette.
Sviluppo della comprensione linguistica
I bambini sono in grado di riconoscere i suoni linguistici precocemente, quando non possono ancora produrli. Poco dopo la nascita distinguono la voce umana da altri tipi di suono dell'ambiente. Già alla fine del primo mese sanno riconoscere alcuni fonemi e le loro capacità di discriminazione crescono dal primo al quarto mese. Quando arrivano a pronunciare suoni linguistici, già posseggono una buona esperienza passiva di ascolto. Due fattori concorrono a determinare questo fenomeno: l'esposizione alla voce umana e le predisposizioni biologiche. Nello sviluppo la formazione del vocabolario passivo precede quella del vocabolario attivo. Ce ne possiamo rendere conto facilmente per il bambino con la CNV (comunicazione non verbale) e le azioni risponde adeguatamente a domande. Se gli chiediamo "dov'è il cane?", ce lo indicherà oppure si guarderà intorno per cercarlo. Evidentemente comprende la parola cane, sebbene non sappia ancora dirla. I bambini capiscono le domande assai presto, prima di saperle porre, anzi prima ancora di arrivare a pronunciare le prime parole. Riconoscono la forma e il tono interrogativo e afferrano che a loro tocca rispondere. Tuttavia, fino ai tre anni circa comprendono appieno solo le domande polari e quelle che iniziano con "dove","c hi", "che cosa"; solo più tardi, tre i tre e i cinque anni, i bambini imparano a capire gli altri tipi di domande. Le forme verbali passive si arrivano a comprendere verso la fine dell'età prescolare.
3. LA FUNZIONE DEL LINGUAGGIO E I TEORICI
All'inizio degli anni cinquanta del Novecento, nell'ambito della psicopedagogia, diversi autori si occuparono dello sviluppo del linguaggio e del suo funzionamento. Qui di seguito sono presentate le teorie di Skinner, psicologo statunitense comportamentista, di Vygotskij, psicologo sovietico e di Piaget, psicologo e pedagogista svizzero:
Secondo Skinner, una persona apprende a parlare in modo molto simile a quello con cui apprende ogni altro comportamento: attraverso le sue interazioni con l'ambiente, cioè attraverso rinforzi e punizioni. Quando i bambini i primi suoni simili a quelli del linguaggio adulto, oppure le prime parole, essi ottengono una grande quantità di rinforzi da parte dei genitori e smettono man mano di utilizzare le espressioni che gli adulti non accettano. Inoltre il riuscire ad esprimere i propri desideri e bisogni è, di per sé, un forte rinforzo per il bambino. L'esperienza e l'apprendimento hanno un ruolo determinante nell'acquisizione del linguaggio.
Per Vygotskij la funzione del linguaggio, sia nei bambini che negli adulti, è la comunicazione e quindi anche il linguaggio del bambino è sociale. Linguaggio e pensiero sono in origine indipendenti, ma poi si integrano in un processo di reciproco influenzamento, e allora il pensiero diventa verbale e il linguaggio razionale.
All'inizio il linguaggio assolve solo una funzione sociale, ma progressivamente viene sviluppata anche una funzione intrapersonale: esso viene acquisito attraverso i rapporti sociali e a poco a poco interiorizzato. Questo processo di interiorizzazione si verifica dai tre agli otto anni. Il linguaggio interiorizzato è una forma di pensiero che si struttura utilizzando le regole della lingua, le parole e i loro significati: è un pensiero verbale al quale viene conferita una forma logica, analitica e sequenziale.
Piaget, al contrario,sostiene che nel linguaggio del bambino non si avverte alcuna esigenza comunicativa e che il linguaggio stesso sia originariamente egocentrico. Piaget lo considera una delle componenti di un più generale egocentrismo, che ritiene condizione tipica del bambino allo stadio preoperatorio (2-7 anni). Il linguaggio egocentrico consiste in una specie di monologo che il bambino rivolge a se stesso, senza preoccuparsi che gli altri lo comprendano, né che gli rispondano. Il bambino è incapace di vedere le cose dal punto di vista di un altro. L'egocentrismo linguistico viene considerato come un prodotto dell'egocentrismo intellettuale e col tempo si atrofizza. Il linguaggio segue l'evoluzione del pensiero ed ha una funzione ausiliaria in questo sviluppo. La condizione necessaria per passare dal linguaggio egocentrico a quello socializzato è costituita da un mutamento qualitativo del pensiero, che nasce dall'azione e che si realizza come interiorizzazione di essa nelle operazioni intellettuali.
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