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LETTERATURA TEDESCA
In Germania l'estetismo non nacque come reazione al naturalismo: i due movimenti culturali si svilupparono contemporaneamente e presero sin dall'inizio due cammini diversi. L'estetismo tedesco va sotto il nome di simbolismo. Tra i nomi più significativi di tale corrente vi è senza dubbio Stefan George (1868-1933), che fu iniziato all'arte esoterica a Parigi presso il cenacolo di Mallarmé . Importò in patria proprio quegli ideali della bellezza pura e li diffuse tra alcuni discepoli, mantenendo dapprima un carattere molto riservato. George da giovane condusse una vita da dandy, da esteta indipendente sul piano economico, da "aristocratico dell'anima". La rivoluzione avviata da George sembrava mostrare nuove vie, dato il suo totale rifiuto della realtà impoetica del presente, ma in verità riproponeva il passato stilizzandolo in maniera raffinata, reso perfetto dai suoi versi immobili, ieratici. La parola è, nei suoi lavori, isolata il più possibile, al fine di renderla musicale, densa, pura. La sua poesia non è stata a caso definita "decorativa", poiché è realizzata con la cura di un preciso artigiano, che ritocca le parti della propria opera, non molto significative di per sé, ma ammirevoli nell'insieme. Eliogabalo (1892) è un ciclo di poesie caratterizzato da un'attentissima rielaborazione di una vicenda storica in chiave estetica. Eliogabalo, il giovane imperatore romano, vive tra giardini esotici e stanze lussuose, circondato da pietre preziose, marmi e profumi inebrianti. Si è creato un proprio mondo sotterraneo dove elimina tutto ciò che non si adatta alla sua idea di fredda, ricercata bellezza. La vista del mondo comune affatica troppo il suo occhio, e si ritira dunque in freschi cortili di basalto dove può nutrire i suoi colombi. Bizantineggiante è l'atmosfera piena d'oscuro splendore in cui incede perfido e innocente, sofferente Algabal che non è tanto rievocazione d'Eliogabalo, tiranno e sacerdote entro il quadro della romanità decadente, quanto travestimento e confessione del poeta in un'idealizzata atmosfera di sogno. Se Algabal, l'esteta, potrà, in difesa d'un istante di bellezza, far trafiggere lo schiavo che spaventò le sue colombe - e il sangue del fratello ucciso non gli suggerirà che di sollevare il manto di porpora per non bruttarsi - egli saprà anche respingere la vestale rapita per amore che a un tratto più non risponde alla sua tormentosa richiesta di regalità, poiché ha un neo sulla spalla. Superuomo nell'assenza d'ogni vincolo esteriore, Algabal è però schiavo e vittima della sua stessa legge. Asceta per esigenze di selezione, ozioso per sdegno delle basse faccende umane, inappagato per desiderio di compagnie alla sua altezza, il suo universo è solitudine. Ecco come, in raffinati versi, George narra la vicenda dell'immorale esteta:
"Quando a cupole rogge a guglia e spalto "Wenn um der zinnen kupferglühe hauben
muove ondeggiando il sole e fredda incombe Um alle giebel erst die sonne wallt
l'ombra ancora negli atrii di basalto, Und kühlung noch in höfen von basalt
l'imperatore aspettan le colombe. Dann warten auf den kaiser seine tauben.
L'azzurra veste serica riarde Er trägt ein kleid aus blauer Serer-seide
orlata in giro d'ovuli d'argento, Auf sardern und saffiren übersät
seminata di zaffiri e di sarde: In silberhülsen sümmend aufgenäht
ma splende il braccio nudo d'ornamento. Doch an den armen hat er kein geschmeide
Sorride, e dal bacino d'oro versa Er lächelte, sein weisser finger schenkte
chicchi di miglio la candida mano. Die hirsekörner aus dein goldnen trog
Dalle colonne muto un Lidio emerso Als leis ein Lyder aus den säulen bog
curva la fronte ai piedi del sovrano. Und an des herren fuss die stirne senkte.
Svolano ansiose le colombe al tetto. Die tauben flattern ängstig nach dem dache
"Muoio lieto che Cesare ha tremato." >Ich sterbe gern weil mein gebieter schrak<
Larga una lama gli s'immerge in petto: Ein breiter dolch ihm schon im busen stak:
scherza col marmo verde il rosso lago. Mit grünen flure spielt die rote lache
Si ritraeva con gesto di scherno Der kaiser wich nut höhnender gebärde
l'imperatore ma quel giorno stesso Worauf er doch am selben tag befahl
nel cratere serale di falerno Dass in den abendlichen weinpokal
il nome volle dello schiavo impresso." Des knechtes name eingegraben werde".
"Tenero io sono come fior di melo "Sieh ich bin zart wie eine apfelblüte
e pacifico più di agnella nuova; Und friedenfroher denn ein neues lamm
ma ferro selce esca di vampe cova Doch lieqen eisen stein und feuerschwamm
pericolosa nel mio petto anelo. Gefährlich in erschütternden gemüte.
Io scendo lungo una scalea di marmo, Hernieder steig ich eine marmortreppe
che un cadavere senza capo ingombra Ein leichnam ohne haup inmitten ruht,
- del mio caro fratello il sangue gronda - Dort sickert meines teuren bruders blut,
lieve io raccolgo il mio purpureo manto." Ich raffe leise nur die purpurschleppe."
Ne L'anno dell'anima (1897) si possono rinvenire alcune tra le più brillanti poesie liriche tedesche, esempi del più forte colorismo floreale, in equilibrio tra musicalità e senso. La vicenda delle stagioni ha il pacato ritmo di un respiro umano. Ogni dualismo tra spirito e natura è abolito in un clima in cui paesaggio, umanità e destino sono fusi in un'inscindibile armonia. È una poesia ricca, come poche, di limpidità e di momenti di altissima sensorialità. Le confessioni di un'anima solitaria, che osserva malinconicamente il trascorrere e il mutare delle stagioni rivelano un'intensità di percezione davvero singolare. Dei quattro cicli dedicati alle stagioni probabilmente il migliore è il primo, quello autunnale, intitolato Nach der Lese (Dopo il raccolto).
Qui assistiamo allo sbiancare di colori smorti che preannunciano l'inverno. I cromatismi sbiaditi ricordano le linee curve del più vivo colorismo floreale, di cui si ha un bellissimo esempio nella prima poesia del ciclo:
Vieni nel parco ch'è dato per morto Komm in den totgesangen park und schau:
Guarda: ridono là luci lontane - Der schimmer ferner lächelnder gestade
Di pure nubi l'insperato azzurro Der reinen wolken unverhofftes blau
Rischiara stagni e variopinte vie. Erhellt die weiher und die bunten pfade
Là cogli il giallo intenso. il tenue grigio Dort nimmt das tiefe gelb, das weiche grau
Di betulle e di bossi - il vento è mite - Von birken und von buchs, der wind ist lau
Le tarde rose non ancora sfatte. Die späten rosen welkten noch nicht ganz.
Scegli baciale e intreccia le corone - Erlese küsse sie und flicht den kranz.
Ma non dimenticar gli ultimi asteri - Vergiss auch diese letzten astern nicht:
La porpora tra i grappoli selvatici- Den purpur un die ranken wilder reben
Quello che resta della vita verde Und ouch wos übrig blieb vom grünen leben
Leggero nell'autunno si dissolve. Verwinde leicht im herbstlichen gesicht.
Mai l' accordo tra uomo e natura era stato raggiunto con tanta spontaneità. Si direbbe che vi è una dedizione reciproca delle due parti, egualmente forti, ma che rinunciano alla loro forza per un'inclinazione profonda dell'una verso l'altra. Questi versi non vanno interpretati come simboli, ma esistono come realtà in sé, e non alludono a nessun altro mistero che a quello della propria esistenza. Traspaiono da essi i colori di una passione sincera per l'amata, ma che è condannata a non essere fervida dall'incapacità di entrambi di abbandonarsi alle effusioni del sentimento.
L'ho scritto: che non stia nascosto ancora
Quello che non bandisco dal pensiero-
Se non lo dico non lo senti: sempre
Lunga è la via per la felicità.
La dischiudi sul calice appassito
Di un alto fiore. Sto lontano e penso..
Era quel foglio bianco a te sfuggito.
Intorno alla sua rivista Blätter für die Kunst (Fogli per l'arte, 1892-1919) George raccolse un gran numero di collaboratori fissi, sino a formare col passare degli anni un cosiddetto cenacolo, cioè un gruppo scelto di intellettuali che vedevano in lui un modello e un maestro. I versi di George non di rado danno adito a paragoni con le arti figurative. Sembra quasi che in essi siano intessute le superfici ornamentali dei quadri di Gustav Klimt (1862-1918), celebre pittore dello Jugendstil viennese, oppure che vi si affaccino le linee ondulate con cui Aubrey Beardsley (1872-1898) immortalò in grafica la fin de siècle inglese.
In Hugo von Hofmannsthal (1874-1929) confluiscono nella loro espressione più sottile e più alta tutti i motivi di quest'epoca. Abbracciò ogni genere letterario, dalla poesia al dramma, dai racconti ai saggi e al teatro. Il disfacimento della cultura austriaca s'avverte con particolare evidenza nelle prime opere di Hofmannsthal. Cultura come introspezione, anziché attivo operare nel mondo; l'unitaria e salda umanità frantumata in uno smarrito fluire di sensazioni, in un trepido psicologismo; la fuga dalla realtà nel proprio intimo e l'evasione in un lussureggiante, sensuale e sottile estetismo: questi sono i temi e le caratteristiche spirituali del primo Hofmannsthal, che a diciassette anni compone i suoi melodiosi e perfetti versi. La Ballata della vita apparente (1895), oltre che sulla caducità dell'essere, si sofferma sulla frattura insanabile tra vita attiva e riflessione estetica. La lirica, sfruttando la magia evocata dalla raffinata sonorità di versi, esprime stupore e angoscia dinanzi all'esperienza umana dell'inesauribile bellezza. Allo stesso tempo è un lamento sulla vita, che appare muta ed enigmatica.
BALLATA DELLA VITA APPARENTE BALLADE DES AUSSEREN LEBENS
E fanciulli dai grandi occhi innocenti Und Kinder wachsen auf mit tiefen Augen,
Fioriscono e declinano nel buio Die von nichts wissen, wachsen auf und sterben,
E ognuno corre la sua via nel mondo. Und alle Menschen gehen ihre Wege.
E d'acerbi maturan dolci frutti, Und süße Früchte werden aus den herben
Cadono a notte come morti uccelli, Und fallen nachts wie tote Vögel nieder
Giacciono al suolo in pochi dì corrotti. Und liegen wenig Tage und verderben
E vaga eterno il vento, eternamente Und immer weht der Wind, und immer wieder
S'ascoltano e rispondono parole Vernehmen wir und reden viele Worte
E gioia e noia piegano le membra. Und spüren Lust und Müdigkeit der Glieder.
E strade bianche corrono fra l'erba, Und Straßen laufen durch das Gras, und Orte
Incontro a piazze lumi alberi stagni, Sind da und dort, voll Fackeln Bäumen Teichen
Fra cupo rombo e squallidi deserti. Und drohende, und totenhaft verdorrte
Tante pietre perché, tante contrade, Wozu sind diese aufgebaut? und gleichen
E nome e volto mai non hanno eguali? Einander nie? und sind unzählig viele?
Riso e pianto, che muta, e impallidire? Was wechselt Lachen, Weinen und Erbleichen
E questo a noi che giova e questi giochi, Was frommt das alles uns und diese Spiele,
Che grandi siamo ed in eterno soli Die wir doch groß und ewig einsam sind
E non cerchiamo al nostro andare un fine? Und wandernd nimmer suchen irgend Ziele?
Cose tante, che giova aver vedute? Was frommts, dergleichen viel gesehen haben?
E molto dice chi mai dica « sera », Und dennoch sagt der viel, der » Abend « sagt,
Parola da cui tardo un lutto stilla Ein Wort, daraus Tiefsinn und Trauer rinnt.
Come da l'arnie vuote grave miele. Wie schwerer Honig aus den hohlen Waben.
Siamo di fronte ad un ininterrotto succedersi di impressioni numerose, varie e fugaci che sono la vita medesima, la vita esteriore che, mentre corre incessantemente verso la morte, non riesce a comprendere l'essenza di quella vita più vera, rappresentata dalla parola "sera". Nelle prime quattro strofe domina la fugacità, espressa dalle congiunzioni, mentre nelle restanti tre prevale l'eterna irresolutezza dichiarata dalle continue domande.
L'esteta sembra qui volere rimproverare gli altri, che scherzano con la vita pur essendo adulti. Ma condanna soprattutto se stesso, che continua a giocare con la propria vita e la propria arte, perdendo quella reale grandezza che potrebbe scoprire solo esprimendo la profonda solitudine della sua anima. Al termine dell'esistenza si trova una mesta, ma intensa, dolcezza, che deriva dal vuotare se stessi dalla vita.
La poesia fu pubblicata per la prima volta, non a caso, nei Blätter für die Kunst nel 1895.
La morte di Tiziano (1892) riflette in versi di una magica musicalità l'evasione nell'estetismo e nel regno dell'incontaminata bellezza da una crisi di precoce vecchiezza. La crisi austriaca viene trasposta, qui come in altri suoi drammi, su un piano irreale, metastorico e metafisico.
Sette giovanissimi allievi di Tiziano vivono in una splendida villa circondata da un'alta inferriata, da cui si ammira Venezia. Essi non conoscono la vita reale, all'esterno della cancellata, né la vogliono conoscere: Vogliono unicamente dedicarsi al culto della bellezza. Di ciò che è la vita sanno solo quello che il loro maestro Pan ha ritratto nei suoi dipinti. Il dramma si snoda tutto attorno all'attesa della morte del maestro ammalato. Gli allievi sono convinti che non potranno continuare degnamente la sua opera.
L'età in cui la vicenda è ambientata, la fase decadente del Rinascimento, allude al languido fine secolo viennese. La situazione storica e, allo stesso tempo, la vicenda inseritavi appaiono senza via d'uscita. La grande arte del passato si è estinta, e i giovani artisti raffinati e ipersensibili, dei puri esteti, non la sapranno continuare, perché si sono estraniati dalla vita. Il paradiso in cui vivono i ragazzi e le modelle è intimamente corrotto, sterile, perché manca la spontaneità del sentimento. L'esteta sembra dunque sconfitto, ma come appare dalle ultime battute degli allievi, espresse quasi coralmente, l'illusione di poter trovare ovunque la bellezza, e dunque di sentirsi a proprio agio, rilancia più che mai la precarietà e la falsità integerrima proprie degli animi estetizzanti.
"Lui, però, il bello lo ha veduto sempre, e ogni istante per lui fu una conquista, mentre noi non sappiamo fare e inerti dobbiamo attender la rivelazione E la nostra presenza è cupa, vana, se non siamo iniziati dall'esterno. Se questi non avesse il mal d'amore che in rosso e nero gli colora l'oggi, né quegli avesse il sogno del domani con la fulgente attesa di fortuna, se ognuno non avesse un'ansia arcana di qualche cosa, una segreta brama di qualche cosa, in gran tumulto, e un giuoco di luci interne e di colori vari e qualche cosa che a venire indugia mentre il cuore lo sogna allucinato, e qualcosa che sta per terminare, mentre un rimpianto già lo trasfigura: noi ci consumeremmo in un crepuscolo, la nostra vita non avrebbe senso
Ma per colui che sia pari al maestro, dovunque guardi, c'è bellezza e senso".
Il più compiuto dei drammi di Hofmannsthal è forse Il folle e la morte (1893), nel quale il protagonista Claudio rappresenta una delle figure dell'esteta più mature e più complesse. Claudio si rinchiude spontaneamente nel suo palazzo stile Impero, perché è deluso dalle esperienze del suo passato. Lí contempla le bellezze dell'arte, e ama soprattutto l'enigmaticità della Gioconda. Egli è orgoglioso e sprezzante di tutti gli altri, e continua a comportarsi come un bambino, a cui è permesso fare tutto. Egli si sente ancora infantile, poiché è conscio di non essere mai veramente vissuto, ma di essersi solamente preso gioco dei sentimenti altrui. Gli si presenta dunque l'impersonificazione della Morte, affinché egli impari a venerare la vita. Comprende solo allora quanto male ha arrecato alle persone che in vita lo hanno sinceramente amato. Il violino della Morte evoca una sfilata di spettri. Appare la madre, che egli sempre trascurò, la fanciulla che lo amava e che lui illuse, e l'amico che egli tradì e che morì suicida. Avendo capito di essere vissuto sempre al di fuori della vita, Claudio crede che almeno in fin di vita gli sarà permesso vivere pienamente la vita, ma si tratta di una sicumera. Stramazza a terra proprio quando capisce appieno l'essenza del vivere. La sua reale sconfitta è, tuttavia, una mezza vittoria, poiché infine è riuscito a sconfiggere il caos della sua vita mai vissuta e a trovare la sua via.
"Se l'ultima parola è detta e devo
pieno ancora del fascino dell'ora
passare il varco, nulla più mi accora,
perché morendo so che già vivevo.
Quando si sogna, a volte, troppo forte,
l'immagine sognata può destare;
così salgo in un impeto da questa
vita sognata alla veglia di morte".
Thomas Mann (1875-1955), uno dei maggiori della letteratura tedesca, proveniente da una famiglia della borghesia commerciale, descrive la crisi della classe sociale a cui appartiene e da cui vorrebbe prendere le distanze, senza mai riuscirvi. Mann dà vita ad una poetica degli esclusi, figure che per il loro animo differente, sensibile e colto non sanno inserirsi nella prevedibile e banale società stabilita. Questi individui non hanno il loro posto nella vita perché non riescono ad infrangere la barriera tra la loro anima e l'anima altrui. In Tristano (1903) viene descritto l'isolamento di un esteta, che privilegia il culto della parola, dimenticando di vivere. In quest'opera l'arte e la vita, impersonificate rispettivamente da Spinell, esteta iperraffinato ed abulico e da Klöterjahn, grossolano e vitalissimo commerciante, combattono per il possesso di una fragile donna. Questa perirà e non si saprà mai se perché il commerciante, suo marito, le ha imposto la maternità, o se per colpa del romanziere che con la sue melodiose parole la conduce in un mondo di sogni, di molle e languida bellezza che le sottrae la volontà di guarigione. Il protagonista del Tristano è l'ideale tipo del poeta decadente. Spinell, che è ricoverato presso un sanatorio, non sopporta la realtà e vive unicamente per amore della parola. Egli è autore di un romanzo che tratta di stoffe costosissime, porcellane preziose, gioielli e rari oggetti. Dopo aver incantato la signora e aver potato in superficie la sua più vera natura, quella delicata, artistica, Spinell vive con lei le ore sublimi e tragiche della malattia e sa cogliere la drammaticità della morte nel suo spirito sensibile. La sua collera si riversa contro il grezzo marito, cui scrive una lettera che racchiude accuse infuocate e disprezzo per il suo modo di vita:
"Riceva, signore, questa mia confessione: io L'odio, odio Lei e Suo figlio, così come odio la vita, la stupida, ridicola e pur trionfante vita che Lei rappresenta, opposta eternamente alla bellezza e sua nemica mortale".
Da parte sua Klöterjahn vive nella sua dimensione grottesca, limitata, ma sincera. Ama veramente la moglie. Agli occhi del lettore e dell'autore è ben più rispettabile dell'artista. Anche nel diverbio finale che i due hanno, le parole irruenti e sdegnose del borghese non sono meno efficaci e meno profonde di quelle ampollose dell'esteta.
"Lei è uno spregevole vigliacco, le dico. Mi vede ogni giorno a tavola, e mi saluta e mi sorride, mi porge i piatti e mi sorride, m'augura buon pranzo e mi sorride. E tutt'a un tratto mi scaraventa addosso questo cencio pieno di stupide contumelie. Ah, sì, per iscritto ha molto coraggio! E fosse solo questa ridicola lettera! Ma lei ha intrigato contro di me, ha intrigato dietro le mie spalle contro di me, adesso me ne accorgo bene però non s'immagini che le abbia fruttato qualcosa!. Se ha accarezzato la speranza di mettere dei grilli nella testa di mia moglie, illustrissimo signor mio, lei batte falsa strada: mia moglie è una persona troppo ragionevole! [] Lei è un asino, ha capito?"
Sia l'esteta, sia il commerciante sono trattati con ironia, resi ridicoli, grotteschi, ma sono giustificati dall'autore in quanto entrambi sono umani e sinceri. L'occhio ironico di Mann indugia anche sull'arte, vista talora in certe deformazioni del gusto floreale - simbolista dilagante all'epoca. Appare eccessivo il decorativismo di Klimt, che, nella sua ottica, celebra la ricchezza della vita vissuta per esaltare una mortificante stilizzazione della vita, forse perché la visione del tedesco non si scinde mai dalle posizioni di borghese quale egli è. Concezioni che lo inducono, in un certo senso, a proclamare la sconfitta, sul piano sociale e morale, dell'animo diverso, e, in questo caso, dell'esteta.
"Allora il signor Spinell girò sui tacchi e si allontanò. Seguito dagli scoppi di giubilo del piccolo Klöterjahn, se ne andava camminando sulla ghiaia, atteggiando le braccia in una certa posa circospetta e goffamente aggraziata, col passo fortemente incerto di chi non vuol far capire che sta battendo in ritirata dentro di sé".
Tonio Kröger (1903), l'opera più autobiografica di Mann, è il dramma di un ragazzo condannato ad essere inattivo perché un'eccessiva sensibilità gli mette troppo in luce gli aspetti meschini e ridicoli dell'esistenza.
Tonio è il figlio solitario di un padre austero e severo e di una madre esotica, di temperamento meridionale, affettivo. Le due opposte nature dei genitori convergono nell'animo del giovane, che si trova a dover combattere con la sua incapacità di comunicare i suoi veri sentimenti a Ingeborg e di suggellare una profonda amicizia con il bello Hans Hansen, data la superficialità e l'eccessiva regolarità di quest'ultimo. Tonio aspira a diventare una persona comune, come Hans e Ingeborg, e ad abbracciare i semplici ideali borghesi. Quando riconosce la natura della sua grande sensibilità, che gli procura estasi spirituali, gioia e tristezza, cresce in lui il desiderio di lasciarsi cullare dalla banalità della vita. Non riesce a gestire la dualità del suo essere, né si prospetta in lui una pacificazione di sensi.
"Io mi trovo in mezzo a due mondi, senza sentirmi a casa mia in nessuno di essi, e questo mi procura qualche difficoltà. Voi artisti mi chiamate un borghese, e i borghesi sono tentati di mettermi in prigione non so, fra le due cose, quale mi addolori di più. I borghesi sono stupidi; ma voialtri adoratori della bellezza, voi che mi trovate flemmatico e incapace d'idealità, dovreste ricordarvi che v'è un modo di essere artisti così profondo, primordiale e fatale, che nessuna idealità può apparirgli più dolce e desiderabile di quella avente per oggetto le voluttà della vita mediocre".
Così scrive a Lisaveta Ivanovna, un'artista sua amica, dalla Norvegia, dove si è recato per riflettere in solitudine. Ma proprio lí entra in crisi perché all'alberghetto dove soggiorna giungono, assieme, casualmente, proprio Hans e Ingeborg, che sembrano trascorrere delle giornate felici, da innamorati. Lui di quella felicità misurata non può essere partecipe, poiché su di lui grava la maledizione dell'arte che gli comanda: "Non devi essere, devi contemplare; non devi vivere, devi creare; non devi amare, devi sapere!". La figura di Tonio si delinea, dunque, non propriamente un esteta come inteso dagli altri decadenti, poiché egli è incapace di sacrificare, in virtù della matrice borghese che custodisce, la propria vita in nome dell'arte, dalla quale è tuttavia rapito.
"Che cos'è l'arte? Struggimento che plasma Ah, noi siamo tutti fratelli, noi creature della volontà che soffre senza pace; e non ci riconosciamo. Un altro amore è necessario, un altro amore".
Un amore che non sarà capace di intraprendere, e che si risolverà in contemplazione e meditazione.
La morte a Venezia (1913) sancisce la sconfitta della razionalità in nome dell'insopprimibile e indomabile impulso artistico.
Gustav von Aschenbach , cinquantenne, è un artista affermato, riconosciuto come un esempio per la letteratura. Nella vita si è sempre sottoposto a una rigida autodisciplina, che gli ha permesso di raggiungere i vertici di successo di cui è orgoglioso. Ma la fantasia ch'egli per tanti anni aveva represso un giorno scaturisce e si impone sulla razionalità. Gustav sente che deve partire, allontanarsi da Monaco per cercare nuove esperienze, nonostante consideri il viaggio nell'ottica borghese, con la necessaria diffidenza e timore. Dopo varie peregrinazioni giunge a Venezia, città che offre immagini di morte e decadenza. La città gli ricorda la vita ordinaria, e allora si rifugia in una stazione balneare del Lido, dove si abbandona alla contemplazione estatica di un giovane e delicato ragazzo, Tadzio, che si trasforma in una sorta di amore perverso. Aschenbach rimane legato da misteriosa attrazione all'immagine del ragazzo e della laguna, che gli impedirà di partire anche con l'incombenza del colera che gli sarà esiziale. Anche se nessun particolare dimostra che la morte dell'insolito turista sia dovuta al morbo: egli perisce il giorno della partenza di Tadzio. L'avventura italiana segna l'evoluzione artistica del protagonista, che concepisce finalmente per intero le idee di arte che avevano covato dentro di lui per tutta la vita.
"Giacché, sappilo, noialtri poeti non possiamo percorrere la via della bellezza senza trovarvi Eros, che ben presto c'impone la sua guida[] Così avviene che rinneghiamo la forza dissolvitrice della conoscenza: poiché, mio Fedro, la conoscenza non possiede né dignità né rigore; è consapevole, comprensiva, clemente, priva di riserbo e di forma; ha simpatia per l'abisso, è l'abisso medesimo. Noi dunque la ripudiamo energicamente, e da questo momento ogni nostro studio avrà di mira la bellezza, ossia la semplicità, la grandezza e il nuovo vigore, la rinnovazione, la spontaneità, la forma".
Aschenbach porta a termine , anche se in fin di vita, la sua rivoluzione estetica: nega l'esigenza di dignità di un artista, specialmente se è ispirato, proclama la necessità della finzione e l'amore per l'irreale, in quanto la realtà è tipica della borghesia che egli ora ripudia. Ecco che è nato un nuovo esteta.
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