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L'Età del Positivismo (o del Realismo)




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L'Età del Positivismo (o del Realismo)





1 Caratteri generali dell'Età del Positivismo



Per comprendere lo smarrimento e la delusione seguiti all'infausto esito della guerra d'indipendenza nazionale occorre far riferimento agli ideali e all'entusiasmo eroico che contraddistinguono il periodo finora trattato, vale a dire quello precedente il 1848.

La speranza di Mazzini che gli Italiani insorgessero simultaneamente dalle Alpi alla Sicilia contro lo straniero; la strenua difesa di Roma e di Venezia ad opera di un piccolo gruppo di uomini, armati soltanto della fede le future sorti della patria; la fraterna concordia del papato, dei prìncipi del popolo auspicata dal Gioberti, erano miseramente naufragate; ci si accorgeva ora amaramente che era più facile morire per l'Italia, che restituirla alla sua indipendenza; che il problema nazionale era più un problema di  riflessione e di accortezza politica, che di vagheggiamenti e di sogni.

La crisi dell'esaltazione patriottica coincideva con la realizzazione, in Inghilterra, e con la susseguente diffusione in molti paesi europei occidentali, della Rivoluzione industriale, le cui dirette conseguenze furono la nascita del quarto stato, il proletariato, l'avvio delle lotte di classe contro il capitalismo, dell'urbanesimo: sorge l'idea di una società socialista di eguali, prima in forma utopistica con i vari Saint-Simon e Proudhon, poi  in forma scientifica con Kar Marx il cui Manifesto del partito comunista apparve agli inizi del 1848 ed offrì un'analisi della società capitalistica borghese condotta con un tale senso di concretezza da costituire una significativa anti­cipazione dei tempi moderni (si nota quindi un passaggio dall'idealismo romantico al materialismo che contraddistinguerà l'età del positivismo).


Si aggiunga che il fallimento dei moti nazi­onal popolari del Quarantotto ed il successivo trionfo della restaurazione segnarono in Europa il passaggio dell'iniziativa politica dai popoli ai governi i quali imboccarono la via della politica realistica, fondata sui rapporti di forza, politica che ebbe il suo antesignano ne cancelliere prussiano Bismarck e che in Italia trovò riscontro nell'azione concreta del conte di Cavour.

A tutto ciò fa riscontro, verso la metà del secolo, un prodigioso sviluppo delle scienze e della tecnologia che, non solo propizió l'ulteriore espansione industriale, ma suscitò negli intellettuali un acuto bisogno di concre­tezza; dalla più attenta osservazione della realtà derivarono le nuove correnti del pensiero e della cultura che prendono il nome di:

positivismo in filosofia,

realismo in letteratura

metodo filologico nelle scienze storiche.






Il positivismo, che ebbe come rappresentanti di rilievo il francese AUGUSTE COMTE e l'italiano ROBERTO ARDIGÒ dà il bando all'idealismo romantico, applica il metodo scientifico     (o "scientismo") alla filosofia ed interessandosi solo ai «fatti », cioè a quanto appare certo e tan­gibile, studia l'uomo ed il suo spirito alla stregua dei fenomeni fisici: collegata ad esso è la nascita di nuove scienze, come la sociologia, la quale si pro­poneva di codificare le leggi che regolano, al pari di quella della natura, l'evo­luzione della società, e la psicologia sperimentale, che spiegava empirica­mente i moti dell'animo.


Il realismo si oppone a tutto ciò che è fantastico e sentimentale, mira ad una letteratura ispirata alla obiettiva osservazione del cuore umano e della vita sociale, e si volge alla rappresentazione distaccata delle forze e delle leggi della vita quali si manifestano in tutte le classi sociali, specie nelle più umili e diseredate.



Il metodo filologico pone a suo fondamento l'ordinata esposizione dei fatti attraverso accurate ricerche d'archivio e fa sua preminente aspirazione l'imparzialità di giudizio.


Una reazione di così vasta portata interessò tutto il mondo occidentale: per limitarci al campo letterario, si assiste ovunque al declino della poesia come genere letterario, alla soggettività lirica fa seguito una impersonalità narrativa e filosofica, all'immaginazione la conoscenza, all'intuizione l'esplorazione, alla sintesi l'analisi, atteggiamenti tutti che trovano il loro migliore mezzo di espressione nella prosa.

Lo scrittore si preoccupa ora del « vero » inteso come inchiesta sui costumi e sulle condizioni. sociali del tempo; indaga ogni manifestazione dello spirito per scoprire la « legge » di ogni fenomeno psicologico al fine di e eliminare, con l'aiuto della scienza, il vizio e l'er­rore; denunzia pregiudizi e convenzioni, sia d'ordine morale che sociale.


Tale reazione fu più accentuata nei paesi che avevano conosciuto le punte estreme dell'accesa sentimentalità romantica; fu meno pronunziata in Italia, dove, scomparsi Manzoni ed Leopardi ed instauratosi per breve tempo quel vago sentimentalismo che è all'origine del secondo Romanticismo, diede vita all'età del realismo: questa si apre con la Scapigliatura, acquista consa­pevolezza con De Sanctis, esprime il meglio di se stessa con il verismo di Verga, si allontana dai temi esangui del romanticismo nostrano col vigoroso ritorno al classicismo di Carducci.

Sono le linee entro le quali si sviluppa la letteratura italiana del secondo Ottocento, che si chiude con la ripresa delle vuote forme della tradizione aulica rappresentata dal dannunzianesimo.
















2 La Scapigliatura



Con il nome di Scapigliatura, termine equivalente al francese bohème (vita da zingari) e derivato dal titolo di un romanzo di Cletto Arrighi (La scapiglia­tura e il 6 febbraio, Milano 1862), si è soliti designare un gruppo di artisti lombardi o, più largamente, settentrionali, i quali amavano riunirsi a Milano, tra il 1860 e il 1870 attorno a Giuseppe Rovani, da essi considerato capo del movimento.

Erano poeti, pittori, scultori, che avevano in comune una profonda esigenza di rivolta, tanto alle ultime manifestazioni di un ormai stanco Romanticismo (Secondo Romanticismo di Prati e Aleardi in particolare), quanto al desolato imborghesimento della vita civile in seguito al continuo attenuarsi delle idealità risorgimentali.

Essi propugna­vano, in letteratura:

metri inconsueti ed antitradizionali,

l'avvicinamento del linguaggio poetico al linguaggio della prosa,

soggetti spregiudicati, quando non cinici o volgari o immorali;


nella vita, una condotta svincolata dalle an­gustie borghesi o piccolo-borghesi, intonata a bizzarria e stravaganza, non aliena dallo scandalo.


All'origine del loro atteggiamento iconoclasta (in senso lato, inteso come dissacratorio nei confronti dell'arte e della tradizione) c'erano, sia un concetto desolato dell'esistenza terrena, sia un riflesso delle correnti prede cade predecadentistiche d'oltr'alpe, ma l'esacerbata sofferenza si trasformò, in essi, in disordinato impulso agli stravizi od in propositi suicidi, tanto che Camerana ed Pinchetti si spararono, Cremona morì giovane intossicato dai colori che si spalmava liberamente sul braccio ignudo; giovane morì Ranzoni, e miseramente finirono i loro giorni Rovani e Praga.


Mentre la poesia francese, sulle orme di Baudelaire ed in ossequio alle esigenze del Naturalismo, si muoveva a penetrare nell'abisso dell'inconscio, cioè di quella realtà misteriosa ed indistinta che lievita nelle parti più intime dello spirito umano, l'esigenza di novità degli scapigliati rimane alla superficie, finisce anzi  per esaurirsi in se stessa, ed unico elemento positivo che presenta nella sua generale negatività è quello di aver preparato un terreno nuovo ed inesplorato ai narratori realistici e veristi, quali De Marchi ed Verga, che faranno le loro prime espe­rienze letterarie proprio in quell'ambiente milanese.


Ad osservarli da vicino, gli scapigliati, che combattono la morale «borghese» ed ogni residuo sentimentalismo; che per l'arte patiscono magari la fame e conducono una vita spensierata in  poveri studioli, in fredde soffitte, in rumorose trattorie; che annegano nell'alcool i propri disinganni ed affidano al verso, alla tela, alla nota musicale, la propria scontentezza ed il proprio disagio spirituale, nell'atto stesso in cui protestavano contro il secondo Ro­manticismo, al Romanticismo si richiamavano per l'ostentata originalità ad ogni costo, che altro non è se non esasperato in individualismo; per la proclamata autonomia dell'arte che rientra nei canoni della dottrina romantica, per l'ossessiva ricerca dell'immediatezza espressiva che li avvicina ai primi romantici italiani e stranieri.

Non a caso, e non senza ragione, essi sono considerati i « soli autentici romantici» nostri, ed il loro fu definito, per distinguerlo dai precedenti, terzo Romanticismo.


All'audacia dei propositi, non corrispose però l'effettiva conquista di un mondo nuovo, e la loro rivolta rimase in gran parte allo stato di atteggiamento intellettuale; sul piano artistico, la più valida, fra le proposte innovatrici di natura contenutistica e  formale, rimane quella di un'arte assoluta, cioè, di un'arte che sia parola, musica e pittura al tempo stesso.

Alla scapigliatura  mancò il grande poeta.

Ne fu capo incontrastato GIUSEPPE ROVANI l'autore del romanzo ciclico I cento anni: attorno a lui si strinsero TRANQUILLO CREMONA il più alto genio pittorico gruppo; GIUSEPPE GRANDI che nel monumento delle Cinque giornate diede mirabile prova della sua tendenza a conferire alle masse plastiche sfumature musicali e sinfoniche; IGINO UGO TARCHETTI prosatore tetro e morboso, che molto derivò da Poe e da Hoffmann; CLETTO ARRIGHI anagramma di Carlo Righetti, che con il sopraccitato romanzo diede nome al movimento e fondò un teatro dialettale milanese; GIUSEPPE GHISLANZONI librettista e baritono; GIOVANNI CAMERANA poeta e pittore, che più di ogni altro interpretò la tendenza a trasferire dall'una all'altra la sensibilità delle varie arti; CARLO DOSSI che si impegnò soprattutto in sperimentazioni stilistiche; ARRIGO BOITO poeta e musicista, il più noto fra tutti; EMILIO PRAGA poeta e pittore, che con la tavolozza vagò per tutta Europa.

L'opera più significativa di Boito in ordine al movimento cui appartiene, è la fiaba Re Orso, nella quale il grottesco, il macabro, il parodistico si alternano in un parossismo ritmico di metri vivacissimi. In Dualismo, lirica che apre il Libro dei versi, composto nella giovinezza, è rappresenta il tragico dissidio dell'anima umana, divisa tra il bene ed il male, tra Dio Satana.

Più tardi, ed è questa la sua gloria maggiore, scrisse e musicò il Mefistofele ed il Nerone, e compose il libretto della Gioconda di Ponchielli, dell'Otello e del Falstaff per Verdi.


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