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L'ERMETISMO
La poesia ermetica sorge intorno agli anni Venti e si sviluppa negli anni compresi tra le due guerre mondiali. L'ermetismo è caratterizzato dalla difficile comprensione dei suoi testi, a causa delle innovazioni apportate al linguaggio tradizionale.
Salvatore Quasimodo è da considerarsi tra i maggiori rappresentanti dell'ermetismo.
Salvatore Quasimodo
Vita
Nacque a Modica in provincia di Ragusa il 20 agosto 1901 da
Gaetano, capostazione delle ferrovie
soggetto a continui trasferimenti per motivi di lavoro, e da Clotilde Ragusa,
di origine greca per parte di madre. Nel 1908 si stabilisce a Messina, due
giorni dopo il terremoto che devastò l'intera città, e vi rimane fino al 1920,
conseguendo il diploma di geometra. Si trasferisce a Roma nel 1921 iscrivendosi
alla facoltà di ingegneria e frequenta l'Accademia dei nobili ecclesiastici,
dove studia il latino e il greco, acquistando una buona conoscenza dei classici,
ma ben presto interrompe gli studi, per mancanza di mezzi. Costretto a lavorare
per vivere, dal 1926 è impiegato a Reggio Calabria presso il Genio Civile ed
inizia a girare l'Italia in lungo e in largo costruendo strade. Nel 1929
durante un soggiorno a Firenze il cognato Elio Vittorini lo presenta ad Eugenio
Montale e ad Alessandro Bonsanti, il quale pubblica le poesie sulla rivista
"Solaria". Nel 1930 comincia a scrivere la prima raccolta di poesie, Acqua e
Terre, che viene pubblicata sulla rivista. Nel 1934 approda a Milano dove si
avvicina ai poeti ermetici e ne condivide le caratteristiche letterarie.
Risentono fortemente dell'Ermetismo le sue prime raccolte di versi, Acque e Terre (1930), Oboe sommerso (1932), Erato e Apollion (1936), Nuove poesie (1942), opere che nel
medesimo anno verranno ripubblicate in un unico volume complessivo intitolato
Ed è subito sera. Nel 1941 viene
nominato "per chiara fama" professore di letteratura italiana al Conservatorio
di musica "G. Verdi" di Milano. Nel secondo dopoguerra Quasimodo si segnala per
un attivo impegno politico e imprime una svolta anche alla sua poesia, che
diventa strumento di testimonianza civile e di polemica sociale. Risalgono a
questo periodo le raccolte Giorno dopo
giorno (1947), La vita non è sogno
(1949), La terra impareggiabile
(1958), Dare e avere (1966). Nel 1959
ottiene il premio Nobel per
Il pensiero
Quasimodo avverte il sentimento tragico e desolato della vita del nostro tempo, derivato dal crollo degli ideali romantici e positivistici. Quasimodo passa dallo sconforto alla denunzia delle responsabilità degli uomini per il dolore del mondo e all'impegno, che spetta soprattutto ai poeti, per la costruzione di un mondo migliore, in nome della fraternità e solidarietà umana.
La poetica
Analizzando le sue poesie cogliamo la visione complessa e conflittuale della vita , scissa tra la sofferenza, il canto mitico-elegiaco e l'impegno.
Il poeta partendo dalla personale esperienza estende il canto al pesante destino di solitudine esistenziale che pesa sugli esseri umani, tesi all'impossibile conquista di un raggio di sole, ma destinati al tragico epilogo della morte (ed è subito sera).Il vivere affonda le radici in un senso sconfinato di pena e nel mistero assunti a momenti di grazia che innescano un pressante agonismo interiore.
Nella sua poetica vi è sempre un richiamo della sua terra natia, la sua amata Sicilia, che coinvolge l'immaginario del poeta in forme totalizzanti e fluttuanti tra recupero mitico-memoriale, simbolismi, eredità greca e amara consapevolezza del presente.
La sua poesia, traendo direttamente dall'esperienza biografica gli spunti e gli stimoli, si è espressa come una "scienza del dolore", trasfigurandolo in canto lirico nel vagheggiamento nostalgico del passato e si è posta come impietosa testimone dei tempi.
Per Quasimodo la funzione della poesia è chiaramente lirico-autobiografica, perché fra elegia, mito ed impegno, ruota sempre attorno all' "Io" lirico del poeta. Egli è convinto che il poeta è in grado di trasformare il mondo, "le sue immagini forti battono sul cuore più della filosofia e della storia" e la sua poesia per la sua bellezza si trasforma in etica.
Nella sua poetica si ripropone il mito rimbaundiano del poeta maledetto che trova la poesia nel disordine dei sensi. Però alle suggestioni simbolistico-metafisiche del ribelle francese Quasimodo sostituisce un ideale di poeta di poeta che possa esprimere se stesso ma che possa farsi nel contempo portavoce dell'universalità umana, elevandosi a "summa delle diverse esperienze dell'uomo del suo tempo", senza con ciò dipendere dalla politica poiché il poeta e il politico appertengono a due categorie diverse, uno si occupa dell'ordinamento interno dell'uomo e l'altro dell'ordinamento dell'uomo.
Quasimodo a differenza di Montale e Ungaretti appare meno avanguardista nelle soluzioni stilistico-formali, ma è più tormentato e sanguigno. E' il poeta dell'assurdo dei contrasti oscuri, delle dissonanze, non della perfezione.
Il "primo" Quasimodo
I primi esperimenti poetici del noviziato di Quasimodo, apparsi dal 1917 su riviste locali denunciavano un incedere farraginoso fra Pascoli, D'annunzio, Corazzino e il Verismo. Mancavano le suggestioni simboliche e avanguardistiche che altra influenza ebbero su Ungareti.
Sradicato dalla famiglia e dalla sua terra per ragioni prima di studio, poi di lavoro, in Quasimodo si forma subito il complesso dell'esule tormentato dalla nostalgia dell'infanzia remota, rimpianta come un'età d'innocenza e di serenità, e della sua Sicilia, rimpianta come una terra favolosa di felicità, un Eden perduto. La solitudine e il rapido morire delle illusioni, il senso del mistero, il rimpianto dell'infanzia e della famiglia e della terra d'origine sono i motivi delle raccolte di poesie di questo periodo (Acque e terre, Oboe sommerso, Erato e Apollion , tutte raccolte nel volume Ed è subito sera del 1942, e Nuove poesie).
In esse quasimodo è alla ricerca di una sua forma espressiva. Prima in Acque e terre, si muove sulle orme del Pascoli e del d'Annunzio; poi in Oboe sommerso e Erato e Apollion si accosta ai simbolisti francesi, a Ungaretti e Montale nella ricerca della parola scarna, essenziale, allusiva e nell'uso di forme ellittiche, di analogie e sinestesie.
Da queste forzature lo salva, però la traduzione dei lirici greci, che Quasimodo conduce con scarso rigore filologico, ma in modo efficace. Sotto l'influsso dei lirici greci la poesia di Quasimodo si fa limpida, più aperta e distesa, più personale e suggestiva. Lo si vede già nell'ultima raccolta di questo periodo, Nuove poesie.
Nella prima raccolta poetica, Acque e terre, Quasimodo ottiene un'immediata risonanza negli ambienti letterari sia per la positiva critica di Vittorini e Montale sia per la sua felice sintesi poetica ottenendo la fusione del classicismo nativo e l'estrazione greco-sicula con una fortissima carica interiore che spinge l'uomo alla lotta per il riscatto etico.
In lui si crea una poesia del dolore e della speranza, dove si determinano con prorompenza autobiografica i motivi dell'intera produzione di Quasimodo: un rapporto intenso con la propri terra, rivissuta nei paesaggi e rimpianta come edenico stato di grazia; l'esigenza di una confessione e di una espiazione attraverso la fede; l'assimilazione della propria vita ai ritmi della natura, l'amara presa di coscienza del disinganno e il senso di solitudine.
Sin da questa raccolta il poeta determina la propria visione antinomia della realtà, basata su una persistente lacerazione interiore che viene espressa tramite l'uso di parole in opposizione, dell'ossimoro e di un linguaggio magico-evocativo.
Nella successiva raccolta, Oboe sommerso, i motivi ispiratori non cambiano ritorna infatti il tema della lacerazione interiore: il tempo mitico della terra promessa e dell'adolescenza perduta si alterna a quello storico della solitudine, dell'esilio e della maturità.
L'intuzione panica dell'Uno-Tutto è di ascendenza romantica ma nuovo è quel suo sentimento di rassegnata resa alle oscure volontà del cosmo. Un'ulteriore cambiamento sta nella figura della donna che da statua neoclassica diventa angelicata e in questa raccolta vengono meno gli eccessi sentimentalistici dovuti all'autobiografismo, la poesia si apre alla parola pura ed essenziale.
Nella raccolta Erato e Apollion si ripropongono gli stessi temi delle altre due ma con in più altri nuovi. Il verso diventa oscuro e si radicalizzano in lui le suggestioni ermetiche la sua poesia oscilla fra un misticismo pagano e il panteismo.
Nella raccolta Poesie ritornano con punte sempre più drammatiche le antinomie delle opere precedenti, poste fra la trasfigurazione del reale nel mito e la consapevole persistenza del dolore.
Alle Poesie seguivano Nuove Poesie, inserite nella raccolta Ed è subito sera ove confluivano le precenti opere in versi revisionate. Questa raccolta (Nuove Poesie) risente del suo raccostamento ai testi classici la cui presenza è avvertibile nel lessico e nel gusto neoclassico. Con lui il mito greco si spoglia di ogni componente cantiquata e si fa depositario di contenuti eterni e si trasfigura in zona incontaminata dello spirito con cui aspirare con animo struggente.
Quasimodo fa poggiare questo contenuto mitico-idillico-contemplativo su una nuova struttura stilistica: crea una nuova fusione stilistica fondendo il classicismo e l'ermetismo per creare una nuova musicalità.
Nella raccolta Ed è subito sera si nota e si impone con forza il tema dominate di tutte le sue raccolte: il senso di una lacerazione irreparabile e la struggente nostalgia delle origini perdute. E' l'eterno riproporsi dell'irrisolto dissidio ontologico fra cruda realtà e mitizzazione del passato.
Il "secondo" periodo
Qui - Giorno dopo giorno, La vita non è sogno, Il falso e vero verde - la poesia di Quasimodo assume carattere civile umanitario e sociale nel contenuto, e oratorio nella forma.
Il passaggio alla nuova lirica "impegnata" è certamente determinato dalle tragiche vicende della seconda Guerra Mondiale. La follia omicida del conflitto apre il cuore di Quasimodo alla realtà storica e alla cronaca del proprio tempo.
Egli ora non è più il nostalgico ricercatore di età e terre lontane, ma il giudice severo della sua epoca
Nel 1947 usciva Giorno dopo giorno, una silloge poetica che si discostava dalle precedente ispirazione contemplativa e faceva pensare a un "tradimento". In realtà queste nuove forme "denunciano la vitalità della sua presenza, il suo modo di resistere nella propria verità contro le suggestioni del tempo"( Carlo Bo).
Non esiste in realtà un primo e un secondo Quasimodo, ma una stessa personalità artistica che ha vissuto il dramma dei suoi tempi, la guerra, nei cui confronti non poteva trincerarsi dietro una poesia assunta a risarcimento consolatorio, o scegliendo l'isolamento come forma di opposizione al regime. Era necessaria una poesia meno oscura ove il gusto analogico delle precedenti raccolte si tingesse delle tonalità del dolore per le barbarie della guerra e per i mostri umani che hanno seppellito la pietà.
Si assiste alla silenziosa festa della morte e la notte perde il suo significato iniziatici-consolatorio, la luna si spoglia di ogni valenza idilliaca e illumina freddamente "le tombe ignote" e "deleritti resti". La stessa Sicilia non è più quella mitica di Nuove Poesie, è una Sicilia immiserita da una classe dirigente incapace a capire i veri problemi dell'isola.
Nostante ciò non è il messaggio di morte che risolve il contenuto di questa raccolta, perché, seppur raro, si nota qualche filo di speranza per l'umanità, speranza che risiede nella natura, espressione di saggezza di fronte al delirio degli uomini.
Con La vita non è
sogno si ripropone il contrasto tra la realtà della vita e la
trasfigurazione nel mito.
L'ultimo Quasimodo
Ne La terra
impareggiabile si esasperano le contraddizioni e le antinomie della poesia
quasimodiana. Ritorna
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.
Struttura metrica: brevissima, ma intensa strofa in versi liberi. Nota la cadenza anapestica del settenario finale, con le sillabe in arsi in sede terza e sesta, ad esprimere l'incalzante rapidità della morte.
E' questa una delle liriche più significative ed espressive di Quasimodo, tanto che ha dato il titolo alla raccolta che costituisce la sintesi di tutto il primo tempo della sua poesia. Originariamente faceva parte di un componimento più ampio, del quale costituiva la strofa finale. Ma il progressivo avvicinamento all'Ermetismo indusse il poeta ad operare un taglio davvero drastico, riducendo il primitivo componimento agli ultimi tre versi che, così isolati, assumono il valore di una varietà universale e si presentano come una riflessione fulminea sulla solitudine dell'uomo e sulla brevità della sua vita.
In essa il poeta ha racchiuso il destino dell'uomo, la solitudine, il disperato bisogno di comunicare con gli altri uomini. Questa poesia esprime, con estrema efficacia, nella sua brevità ed essenzialità, la condizione dell'uomo: egli è solo nel mondo, con tutti i suoi desideri, le speranze e le gioie, ma poi, subito, lo aspettava la morte.
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull'erba dura di ghiaccio, al lamento
d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento. 10
Struttura metrica: comprende dieci endecasillabi sciolti.
E' la prima poesia della raccolta Giorno dopo giorno. In questa poesia il poeta esprime le ragioni per cui i poeti durante la guerra hanno taciuto. La ragione è che essi, giorno dopo giorno, hanno dovuto assistere a tali atti di crudeltà e di barbarie da restare impietriti, confusi e muti, per l'orrore. Tacendo per voto, per auspicare la fine dell'odio e delle stragi, essi appesero idealmente le loro cetre alle fronde dei salici, come avevano fatto i poeti d'Israele durante la schiavitù babilonese.
Uomo del mio tempo
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga
con le ali maligne, le meridiane di morte,
- t'ho visto - dentro il carro di fuoco, alle forche
alle ruote di tortura. T'ho visto: eri tu,
Con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all'altro fratello:
"Andiamo ai campi". E quell'eco fredda, tenace,
è giunta fino te dentro la tua giornata.
salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.
Struttura metrica: sono posti 17 versi liberi, di varia lunghezza, raccolti in un'unica strofa che sembra non avere mai fine.
E' la poesia che chiude la raccolta Giorno dopo giorno.
Nella prima parte il poeta si rivolge all'uomo contemporaneo e lo accusa di essere portatore di morte e violenza; di essere ancora primitivo e selvaggio, ancora quello che con la fionda lanciava le pietre contro gli animali e gli uomini per ucciderli. L'uomo di oggi è pronto ad uccidere dalla carlinga di un aereo, a torturare e giustiziare senza pietà i suoi simili. Queste parole rievocano le guerre di tutti i tempi, ma richiamano più direttamente gli eventi della seconda guerra mondiale. Nella seconda parte il poeta si rivolge alle nuove generazioni, ai figli di quelli che hanno combattuto l'ultima guerra, invitandoli a dimenticare le nuvole di sangue e i loro padri. Alla fine della lirica vi è una successione di immagini metaforiche: "le nuvole di sangue" simboleggiano le stragi della storia. Nei versi 10-12 il poeta riprende il passo delle sacre scritture in cui Caino uccide il fratello Abele. L'espressione "meridiane di morte" è riferita alle "ali maligne": come l'ombra proiettata dalla meridiana colpita dal sole segna le ore del giorno, così le ali affusolate dell'aereo, proiettando la loro ombra, segnano le ore della morte.
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