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L'EPISTEMOLOGIA DEL XX SECOLO: KUHN, POPPER E LAKATOS
Il XX secolo è stato sicuramente, per la storia della filosofia, il secolo della grande 'divisione' in molte ed importanti aree di studio. Questo diversificarsi ha avuto luogo grazie all'affermazione di diverse, numerose, spesso contrapposte, tradizioni di ricerca. Alcuni esempi sono la filosofia del linguaggio, la filosofia della mente, l'epistemologia , l'esistenzialismo. Tra tutte queste correnti, una di quelle che ha goduto il pregio di attraversare con un unico e coerente filone di dibattiti (tuttora molto attivo ) tutto l'arco del secolo, è stata, senz'altro, l'epistemologia. Indubbiamente, il "successo" di questa particolare branca della filosofia è dovuto anche all'impatto considerevole delle importanti scoperte e delle nuove teorizzazioni della fisica e della matematica contemporanea ( basti pensare all'introduzione della teoria della relatività di Einstein datata 1915).
Tuttavia, nel novecento, l'epistemologia ha cambiato se stessa: infatti, ha cessato di essere il centro delle speculazioni inerenti la cosiddetta 'teoria della conoscenza' classica, ed è così diventata il tentativo di analisi di fondamentali problematiche filosofiche che si legano ai dilemmi della fondazione teoretica della ricerca scientifica. Quest'ultima, infatti, viene ora considerata a partire da tre aspetti: il cosiddetto contesto della scoperta (quali sono i meccanismi con cui la scienza 'scopre' nuovi fenomeni o nuove leggi?), la giustificazione della scoperta stessa (come fanno gli scienziati a giustificare il risultato o l'esito teorico di una loro ricerca di laboratorio? Che forme di ragionamento e quali metodologie utilizzano?), e il problema della demarcazione (come distinguere una vera teoria scientifica da un tentativo non riuscito di elaborarne una, o da un approccio metafisico che vuole dimostrazioni empiriche?).
Molti sono gli autori che si sono cimentati in questo tipo di speculazione filosofica ma ciò che accomuna tutti è l'idea che l'elaborazione di una teoria della conoscenza, di qualunque tipo essa sia, deve, in un modo o nell'altro, partire dallo studio dell'attività scientifica, di come essa proceda nella sua attività concreta di ricerca.
THOMAS KUHN:
"i sostenitori di paradigmi opposti praticano i loro affari in mondi differenti. [.] I due gruppi di scienziati vedono cose differenti quando guardano dallo stesso punto nella stessa direzione."
Thomas S. Kuhn (1922-1996) è uno dei più noti epistemologi del XX secolo, le cui teorie della scienza sono caratterizzate da un progressivo avvicinamento alla storia della scienza stessa. Infatti, il centro degli interessi di Kuhn è rappresentato dallo studio della storia della scienza, intesa come il mezzo privilegiato per poter giungere alla comprensione delle strutture che fondano la scienza stessa, cosa che è ben evidente nella sua opera più importante "La struttura delle rivoluzioni scientifiche"(1962). Tale studio necessita di una metodologia specifica ed autonoma, che nulla ha a che fare con le metodologie della storiografia piuttosto che della filosofia della scienza. Uno dei problemi principali per il filosofo, come per molti altri epistemologi a lui contemporanei, è quello della rivoluzione scientifica, la quale avviene attraverso la sostituzione di un paradigma con un altro. Perciò, innanzitutto, è fondamentale capire che cosa è un paradigma: " Con tale termine - dice Kuhn - voglio indicare conquiste scientifiche universalmente riconosciute, le quali, per un certo periodo, forniscono un modello di problemi e soluzioni accettabili a coloro che praticano un certo campo di ricerca". In altre parole, il paradigma è un insieme di principi, concezioni culturali o scientifiche, universalmente accettate, metodologie, da cui parte il lavoro della comunità scientifica in un dato ambito e periodo storico. Tuttavia, esso è strettamente legato a fattori extrascientifici, come ad esempio, particolari condizioni sociali o politiche. Perciò il paradigma, pur essendo un modello, non può essere considerato un modello "puro". Alcuni esempi sono il modello copernicano in astronomia, piuttosto che le geometrie non euclidee, o ancora la dinamica newtoniana.
Lo studio dei paradigmi è fondamentale, infatti " prepara lo studente a diventare membro della particolare comunità scientifica con la quale dovrà collaborare". Come appare evidente in questa citazione, il concetto di paradigma è strettamente legato a quello di comunità scientifica che è, secondo Kuhn, l'insieme di tutti gli individui che, possedendo un paradigma comune, condividono le stesse metodologie e principi, ma anche valori etici e criteri di giudizio. Inoltre, sono individui che sono d'accordo sulla necessità di educare la generazione successiva seguendo gli stessi contenuti e principi che loro stessi approvano. Dunque, una volta accettato un determinato paradigma, si costituirà anche una determinata comunità scientifica, la quale, muovendosi all'interno delle tesi proposte dal paradigma stesso, farà quella che Kuhn chiama scienza normale, cioè " una ricerca stabilmente fondata su uno o più risultati raggiunti dalla scienza del passato, ai quali una particolare comunità scientifica, per un certo periodo di tempo, riconosce la capacità di costituire il fondamento della sua prassi ulteriore". Quindi, il compito da svolgere,o prassi ulteriore, è la realizzazione delle "promesse del paradigma": bisogna, quindi, risolvere i problemi teorici irrisolti, confrontare la teoria con i fatti concreti, sviluppare nuove leggi, che pur rimanendo coerenti con il paradigma, siano in grado di articolarlo ulteriormente. Il lavoro della comunità scientifica è paragonabile alla risoluzione di un puzzle: si tratta, infatti, di "mettere insieme più pezzi possibili" e di trovare quelli ancora mancanti, in modo da ottenere un'immagine, il più possibile soddisfacente e completa del paradigma stesso. La scienza normale è, pertanto, un'attività di tipo conservatrice, in quanto essenzialmente costituita dalla raccolta di nuovi dati e dal loro inserimento in schemi già predisposti.
Tuttavia, la ricerca scientifica è, per sua natura, un continuo progredire e, proprio per questo, scopre continuamente fenomeni nuovi ed inspiegabili. Quando ciò accade, la comunità scientifica è costretta a riconoscere di avere di fronte un'anomalia, cioè qualcosa che esce dagli schemi proposti dal paradigma e, perciò, si trova a dover sostituire il vecchio paradigma con un altro. Questo fenomeno è chiamato da Kuhn rivoluzione scientifica, la quale si concretizza mediante la scienza straordinaria. Infatti, non potendo trovare una spiegazione ai nuovi fenomeni sopra citati, gli scienziati mettono in dubbio i principi, che fino a quel momento avevano accettato come dogmi, e cercano un nuovo paradigma. Tuttavia, come Kuhn stesso afferma, non può esistere un confronto fra i due paradigmi, perché a seconda del quadro teorico in questione cambiano i significati attribuiti alle osservazioni empiriche( i quali dovrebbero confermare o falsificare i modelli presi in considerazione). Fatto il nuovo paradigma, si ha la cosiddetta rivoluzione scientifica, i cui tempi possono anche essere molto lunghi. Infatti, " quando mutano i paradigmi, il mondo stesso cambia con essi." Bisogna, quindi, ripensare tutto da capo, dai problemi alle metodologie per risolverli, ai principi base; bisogna trasformare il proprio modo di vedere le cose. Ciò che rende i tempi di passaggio così lunghi, è l'abisso che si viene a creare fra coloro che hanno accettato la nuova teoria e coloro che, invece, rimangono ancorati a quella vecchia. È un abisso, perché la comprensione e la comunicazione fra le due parti diventa impossibile in quanto è completamente diversa la concezione stessa del mondo che i due gruppi sviluppano. Spesso, i dati che si hanno sono gli stessi, ma la loro interpretazione è profondamente differente. Inoltre, il passaggio può anche avvenire per motivazioni extrascientifiche( come si diceva prima, il paradigma stesso si fonda su principi anche non razionali); ad esempio l'incompatibilità di scienziati aventi formazioni diverse, appartenenti a scuole diverse, o, addirittura, ragioni estetiche (una soluzione può apparire più "elegante" di un'altra e quindi essere preferita). Una volta terminato il periodo di transizione, il nuovo paradigma si afferma in ogni disciplina e ambito, e si verrà a determinare un nuovo momento di scienza normale, che durerà fino alla scoperta di nuove anomalie... Perciò il paradigma costituisce un campo di validità, per le teorie che su di esso si fondano, relativo, in quanto valido solo fino al raggiungimento di un nuovo paradigma. Indubbiamente, il passaggio ad un nuovo paradigma sarà visto dai suoi sostenitori come una forma di progresso.
Ma a cosa conduce questo progresso? Kuhn stesso si è posto questa domanda, poiché, sebbene l'evolversi della scienza ha portato ad un'evoluzione a partire da stadi primitivi, non significa che questo processo possa portare alla scoperta di una Verità, o quantomeno verso qualcosa di definito. Alla fine, però, è veramente necessaria l'esistenza di una spiegazione completa, oggettiva della natura( e della realtà ) e che lo scopo della scienza sia la conquista di questa verità? Essendo impossibile dare una risposta certa a questi quesiti, ed avendo Kuhn stesso affermato e sostenuto il carattere provvisorio delle teorie scientifiche, o paradigmi, è evidente come l'unica concezione possibile della realtà sia la concezione relativistica. Perciò, l'evoluzione della scienza, così come quella biologica teorizzata da Darwin è un processo costante che da stadi primitivi ci ha portato a ciò che siamo oggi, ma che non ha nessuno scopo preciso.
KARL POPPER
"Ogni confutazione dovrebbe essere considerata un grande successo, non soltanto per lo scienziato che ha condotto la critica, ma anche per quello che ha creato la teoria confutata."
Karl Raimund Popper (1902-1994) nasce a Vienna in una famiglia ebrea, cosa che lo spinge ad abbandonare l'Austria nel 1937 prima che Hitler riesca nel suo progetto di annessione del paese. Durante la seconda guerra mondiale vive in Nuova Zelanda e torna in Europa, e precisamente a Londra, solo al termine del conflitto, nel 1946 e qui resterà per tutta la sua vita. Le sue opere più importanti sono "Logica della scoperta scientifica" pubblicata nel 1959 e "La ricerca non ha fine" del 1974. Ed è proprio nella seconda opera qui citata che Popper dichiara quale sia stata la fonte più importante della sua speculazione filosofica: Albert Einstein. Infatti, dopo aver studiato la teoria della relatività, Popper cominciò ad occuparsi dei problemi tipici dell'epistemologia, come ad esempio la demarcazione fra scienza e pseudo scienza, la certezza del sapere scientifico, e a porre le basi per costruire il suo programma di ricerca. Ciò che più lo aveva colpito delle teorie einsteniane fu la formulazione stessa delle teorie che erano state organizzate non prevedendo facili conferme ma in vista di possibili smentite o falsificazioni. Da qui Popper trasse una delle idee che meglio definiscono la sua epistemologia, ovvero l'idea del falsificazionismo: le teorie scientifiche non sono verità assolute ma ipotesi destinate prima o poi ad essere smentite.
Il punto di partenza di Popper è la ricerca di un criterio in grado di distinguere scienza e non scienza. Secondo la tradizione, questo criterio è il verificazionismo ( una teoria è scientifica se verificabile). Tuttavia, il filosofo austriaco sostiene che quest'ultimo sia solamente un'utopia, in quanto è impensabile poter verificare una teoria perché questo significherebbe tenere presenti tutte le implicazioni della stessa. Infatti, le conseguenze di una teoria sono infinite, mentre le verifiche che gli uomini sono in grado di fare sono finite. Ma allora qual è il criterio di demarcazione? Secondo Popper, è il criterio di falsificabilità. Quindi, una teoria è scientifica se essa può venire smentita dall'esperienza e più numerose sono le esperienze falsificanti ( detti falsificatori potenziali) tanto più è grande il contenuto empirico e scientifico di una teoria. Di fatto, Popper, in questo modo, ha anche dimostrato l'asimmetria che esiste fra verificabilità e falsificabiltà di una teoria: mille conferme non la rendono certa, un fatto negativo, invece, basta a confutarla.
Moltissime sono stati i tentativi di interpretazione e i relativi fraintendimenti del falsificazionismo. Perciò, è necessario chiarire che le confutazioni delle teorie, essendo sul medesimo livello delle teorie stesse, non sono certe e definitive, al contrario sono suscettibili di essere falsificate da ulteriori esperienze. Inoltre, una teoria che viene confutata da una o più esperienze non deve essere immediatamente cancellata dal sapere scientifico. Infatti, affinché una teoria venga rifiutata, è necessario averne una migliore da poter sostituire. Tutto ciò è dimostrato dal fatto che Popper, soprattutto nelle fasi finali della sua speculazione, ha affermato la necessità di un modello pluriteoretico, basato sul confronto fra almeno due teorie rivali e l'esperienza. Di fatto, il criterio di falsificabilità non stabilisce la significanza delle teorie scientifiche e la non siginificanza delle altre teorie. Semplicemente, esso distingue all'interno del gruppo delle teorie significanti, quali sono scientifiche e quali non lo sono.
Da ciò risulta evidente la posizione di Popper nei confronti della metafisica, che non essendo falsificabile, non è una scienza. Questo, però, non significa che essa sia priva di senso, anzi. Infatti, le dottrine metafisiche, pur non essendo empiricamente verificabile, sono pur sempre razionalmente e logicamente criticabili e discutibili. Per quanto riguarda il metodo che la scienza deve utilizzare per giungere a nuove teorie, Popper dichiara che non esiste alcun metodo in grado di scoprire una teoria. Infatti, non esistono macchine capaci di scoprire nuove idee, che sono frutto di intuizioni creative. Addirittura, l'origine è spesso extrascientifica ( ad esempio il caso, la metafisica, il mito). Una volta trovata l'idea, questa va provata ed è a questo punto che interviene in principio di falsificabilità citato prima.
Quindi, il metodo della scienza consiste nella verifica di teorie trovate senza una preciso sistema ed esso si applica indistintamente a tutte le branche della scienza moderna. Perciò, riassumendo, si può dire che il processo di creazione di nuove teorie si può sintetizzare così: problemi - teorie - critiche.
Inoltre, Popper sostiene che il processo di induzione non possa funzionare, cioè non si può prendere asserzioni singolari (resoconti ed esperimenti) e farli diventare asserzioni universali, o teorie. Popper, perciò, afferma che le teorie si ricavano tramite uno schema definito ipotetico - deduttivo, per cui presa un'ipotesi, la si verifica tramite l'esperienza. Per meglio spiegare questa sua idea, Popper paragona la mente umana ad un faro che illuminala realtà e ad un deposito di ipotesi ed aspettative. In questo punto, la speculazione del filosofo austriaco sembra riprendere l'idea di Kant per cui è la nostra mente ad imporre i propri schemi alla natura e non viceversa. La differenza sostanziale fra i due sta nel fatto che per Kant gli schemi sono necessariamente veri, mentre Popper li ritiene semplici ipotesi "in attesa di confutazione".
Detto tutto ciò, è evidente, come Popper rifiuti la visione tradizionale della scienza come di un sapere assoluto e definitivo. Egli considera la scienza come l'insieme di tutte quelle ipotesi non ancora falsificate e quindi momentaneamente valide. Inoltre, non potendo essere una teoria vera in assoluto, lo scopo della scienza non deve essere la ricerca della Verità, ma il raggiungimento di teorie sempre più verosimili. In particolare, egli individua dei principi che, razionalmente, fanno preferire una teoria ad un'altra, ovvero le maggiori capacità esplicative, di previsione e di controllo. In definitiva, si può affermare che nell'ottica popperiana, la scienza non è altro che l'arena in cui combattono teorie rivali fino a che le teorie migliori non hanno il sopravvento. Perciò, la sua epistemologia è stata definita darwiniana, in quanto fondata sul principio di selezione naturale.
IMRE LAKATOS :
' Non è lecito far morire una teoria di malattia infantile perché una buona teoria per svilupparsi ha bisogno di tempo .".
Imre Lakatos (1922-1974) è lo pseudonimo di Imre Lipsitz, epistemologo ebreo di origini ungheresi, costretto a cambiar nome durante la seconda guerra mondiale ( sia a causa della sua religione sia a causa della sua partecipazione alla resistenza antinazista). Le sue opere più importanti sono: " La falsificazione e la metodologia dei programmi di ricerca scientifica " (1970), " Dimostrazioni e confutazioni " (pubblicato postumo nel 1976), " Matematica, scienza e epistemologia " (1978). Il contributo maggiore di Lakatos all'epistemologia fu il suo tentativo di porre fine al conflitto che si era venuto a creare fra il falsicazionismo di Popper e la teoria delle rivoluzioni scientifiche di Kuhn, filosofi a lui contemporanei. Le due teorie, infatti, presentano punti discordanti. Secondo Popper, infatti, una teoria deve essere abbandonata dalla comunità scientifica non appena venga trovata una prova che la falsifichi. Il passaggio ad una nuova teoria, "più efficace" della precedente, deve essere, quindi, immediato. Kuhn, invece, come detto precedentemente, sostiene che il passaggio da un paradigma a quello successivo sia un momento molto difficile per tutta la comunità scientifica e, proprio per questo, esso può durare anche molto tempo; inoltre, spesso, un paradigma riesce a resistere lungamente nonostante la scoperta di "anomalie". In mezzo a tutto ciò, il ruolo di Lakatos fu la ricerca di una metodologia che fosse in grado di tenere insieme questi due punti di vista, così diversi fra loro, e che, allo stesso tempo, fosse in grado di fornire una spiegazione razionale e logica del progresso scientifico.
Per fare ciò, il filosofo ha innanzitutto chiarito ciò che si è soliti definire "teoria". Infatti, una teoria non è altro che un insieme di più teorie, parzialmente diverse fra loro, che hanno in comune alcuni principi base definiti nucleo. Questi insiemi sono definiti "programmi di ricerca", e il compito degli scienziati è la difesa del nucleo teoretico che sta alla base del programma stesso da tutti i possibili tentativi di falsificazione tramite la formulazione di ipotesi ausiliarie.
Quando un programma si trova a doversi confrontare con delle osservazioni ad esso incoerenti, non è necessario, secondo Lakatos abbandonare completamente il programma stesso od intervenire sul nucleo teorico. Molto spesso è sufficiente intervenire sulle ipotesi ausiliarie per risolvere l'incoerenza. Tuttavia non tutte le modifiche fatte alle ipotesi ausiliarie, definite "spostamenti del problema", possono essere accettate. Essi, infatti, devono venire valutati a seconda della loro capacità di aprire nuove strade. Se gli spostamenti in questione risultano essere produttivi, essi possono essere dichiarati progressivi, o al contrario, se sono modifiche infeconde verranno definite degenerative. Tuttavia, la creazione piuttosto che la modifica di queste ipotesi a scopo protettivo non sono un male per un programma di ricerca; infatti, sono proprio queste che permettono di distinguere teorie vere da teorie false, o meglio, programmi di ricerca progressivi e degenerativi. I primi sono programmi in continuo sviluppo, caratterizzati dalla scoperta di nuovi fatti e da una costante crescita. I secondi, invece, mancano di novità e sono contraddistinti dalla continua creazione di ipotesi ausiliarie che non portano ad alcuna crescita. Il sistema che si viene a creare quindi è una struttura che permette una ricerca sempre valida se effettuata all'interno dei principi base costituenti il nucleo del sistema stesso. Da questo punto di vista, il programma assume delle caratteristiche molto simili al paradigma di Kuhn.
Inoltre i programmi di ricerca contengono anche la metodologia attraverso cui è possibile fare ricerca scientifica e indica quali percorsi siano da evitare ( euristica negativa) e quali invece siano da intraprendere (euristica positiva). Perciò secondo la teoria di Lakatos, si assiste ad una sostituzione vera e proprio del programma di ricerca solo quando si ha a che fare con un programma degenerativo, cioè senza più possibilità di crescita. Quindi, non basta la presenza di fatti incoerenti rispetto al programma per distruggere il programma stesso. Tuttavia, il passaggio da un programma a quello successivo è, dal punto di vista del filosofo ungherese, un passaggio razionale che avviene con la piena consapevolezza della comunità scientifica, mentre il momento della rivoluzione scientifica di Kuhn poteva avvenire per le motivazioni più varie e spesso, senza l'approvazione della gran parte della comunità scientifica stessa. Lakatos su questo punto è particolarmente polemico con la filosofia di Kuhn; infatti, se per scatenare una rivoluzione fossero sufficienti fattori irrazionali ed emotivi, non avrebbe più alcun senso operare una distinzione fra scienza e non-scienza piuttosto che fra razionalità ed irrazionalità, almeno dal suo punto di vista.
Al di là di tutte le speculazioni inerenti la struttura della ricerca scientifica, l'idea di fondo dell' epistemologia proposta da Lakatos è che la scienza sia una continua competizione fra programmi di ricerca rivali. Perciò, al contrario di Kuhn , il quale sostiene che ciascun periodo storico sia caratterizzato esclusivamente da un paradigma, Lakatos è convinto della convivenza di più programmi nello stesso momento. Anzi, è proprio grazie a questa "convivenza forzata" che spesso e volentieri si trasforma in competizione, che si può parlare di sviluppo della scienza. Ed è proprio questo il maggior contributo di Lakatos all'epistemologia del XX secolo, l'aver teorizzato la possibilità di coesistenza di più teorie, cosa che in un modo o nell'altro Popper e Kuhn avevano negato.
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