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LE IDEE POLITICHE DI DANTE
Durante il suo viaggio Dante incontra molti personaggi famosi, tra cui alcune personalità politiche attraverso le quali espone le proprie idee sull'argomento. Il primo di questi personaggi è Ciacco, nel VI canto dell'Inferno. Egli si trova nel primo regno poiché era stato condannato per il peccato, frutto dell'ingordigia che chiude l'uomo nell'individualismo e corrompe le sue qualità. Questo peccato si rivela essere affine alla cupidigia che distrugge la società civile, di cui l'esempio più vicino a Dante è senza dubbio la situazione di Firenze. Ciacco è molto significativo perché visse nella Firenze antica, che il poeta sogna di veder rinascere. Dante pone a questo personaggio tre domande: quale sarà la sorte di Firenze; se c'è speranza in qualcuno; qual è la ragione della discordia civile. Nella sua risposta Ciacco mette in evidenza le cause dei problemi sociali della città:la superbia degli aristocratici, che vogliono conservare i loro poteri e privilegi, l'avidità della classe borghese, l'invidia del popolo, che si inserisce in un modo molto violento tra le due parti. Egli svela anche il futuro che coinvolgerà Firenze: la città sarà, ancora per molto tempo, dilaniata dalle lotte interne tra le varie fazioni.
Continuando il suo viaggio, Dante, nel VI canto del Purgatorio, assiste all'incontro dei due mantovani (Virgilio e Sordello). A questo punto egli fa una digressione che scaturisce dal contrasto che c'è tra l'affetto dei due compatrioti morti e l'odio tra gli italiani vivi, non solo tra le città, ma anche all'interno di una stessa città. Alla base troviamo il tema della discordia e del male e non l'amore per la patria. Sordello definisce l'Italia non come "donna di province, ma bordello". Egli prosegue con una denuncia verso l'origine del male che coinvolge rutta l'Italia: la padrona del mondo è vista ora come un cavallo che ha sia briglie che freno (le leggi), ma è senza cavaliere, poiché i papi impediscono agli imperatori di salire in sella per poter guidare essi stessi il cavallo, che, non protetto dagli sproni, si imbizzarrisce. Questa teoria richiama alla teoria dei due soli, che viene esposta nel De Monarchia. Essi separati l'uno dall'altro, rappresentano la chiesa e l'impero, che devono guidare gli uomini verso la beatitudine, il primo eterna, il secondo terrena. Difatti la società deve essere guidata da due figure: il Papa, che conduce l'uomo alla salvezza attraverso le Sacre Scritture; e l'imperatore che guida gli uomini nella vita terrena attraverso la filosofia.
Il VI canto del Paradiso accoglie interamente il discorso di Giustiniano, del quale colpisce immediatamente l'invettiva contro i guelfi e i ghibellini, i primi colpevoli di aver travisato il significato del potere imperiale a proprio vantaggio essendone i sostenitori; i secondi, invece, colpevoli di averlo addirittura contrastato. Giustiniano celebra l'impero romano considerandolo uno strumento provvidenziale dell'organizzazione politica della cristianità, essendo stato l'autore del Corpus Iuris Civilis. L'impero è quindi necessario per garantire un futuro di pace, attraverso la riunificazione religiosa di esso. Bisogna perciò dare grande merito a Dante per la sua capacità di rendere la politica vera storia.
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