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LA STAGIONE DEI TEATRI SPERIMENTALI
Radicali proposte di rinnovamento drammaturgico non potevano avere come sede edifici teatrali tradizionali, cosicché al monopolio dei trusts che gestivano la distribuzione teatrale si contrapposero alcune iniziative private con l'ispirazione che proveniva da modelli stranieri come l'Everyman londinese o il già celebre Vieux Colombier parigino240. È all'interno dei teatri sperimentali che fanno la loro comparsa alcuni esempi di scrittura scenica emergenti rispetto alla programmazione "regolare".
Vero è che una stagione di teatri minimi, ospitanti formazioni stabili residenti, c'era già stata, nata come reazione alle compagnie di giro e prematuramente terminata a causa delle modeste possibilità economiche, dei mezzi inadeguati e delle scarse concessioni al gusto corrente per quanto riguardava il repertorio e gli interpreti. A questa prima fase appartengono il Teatro d'Arte di Torino promosso dal critico drammatico Domenico Lanza nel
1898, insieme con lo scultore Leonardo Bistolfi e il costumista-scenografo Caramba (Luigi Sapelli); la "Casa di Goldoni" dell'attore Ermete Novelli, di stanza presso il Teatro Valle di Roma dal 1900; lo Stabile romano di Edoardo
Boutet e Ferruccio Garavaglia (1905), che in una decina d'anni collezionò un gran numero di successi241; e la compagnia stabile del Teatro Manzoni formata da Tina Di Lorenzo e Dino Falconi, che agì a Milano dal 1912 al 1914242.
Tuttavia, nel 1918, come afferma Andrea Camilleri, questa fase può dirsi terminata, giacché «uno spirito nuovo»243 anima gli autori drammatici, rendendo insufficiente la concezione tradizionale dello spettacolo: «Era necessario che le eventuali compagnie stabili "sperimentassero" testi nuovi con nuovi mezzi scenici ed era condizione indispensabile che alla testa di questi teatri andassero uomini di teatro di tipo nuovo»244. All'emergere di un inedito repertorio occorrono cioè forze nuove in campo, in grado di sostenere una mutata considerazione del dispositivo scenico e del potenziale scenotecnico. L'attività dei teatri d'arte (o teatri d'eccezione, come spesso sono chiamati) può garantire che le scelte estetiche siano assecondate (e non ostacolate o addirittura boicottate) da quelle organizzative, e altresì assicurare che i disegni
drammaturgici non abbiano a scontrarsi con i divieti, gli scacchi, i respingimenti dovuti alla politica gestionale dei teatri, spesso sorda agli appelli delle avanguardie italiane ed europee.
Come si può immaginare questa forma di autonomia avallata e sostenuta dal mecenatismo si lascia spesso lambire da interessi privatistici o autarchie intellettuali. Cosa che non manca di provocare il vieto conformismo di uomini pure avvertiti della situazione corrente, come Chiarelli, Praga e D'Amico, frequentemente ironici o sprezzanti avversari dei piccoli teatri, ai quali imputano in primo luogo l'ingenuità di certe scelte programmatiche e la pochezza della recitazione.
In questa sede il fenomeno, che non sfiora semplicemente ma penetra nel profondo di questioni economiche e sociali, interessa in quanto l'attività dei nuovi teatri, sia pure diseguale e discontinua, accorcia la distanza tra le sollecitazioni drammaturgiche e la loro realizzazione pratica, incentivando le une e le altre in una direzione pragmatica di sperimentazione, di ricerca, d'avanguardia se si vuole, in ogni caso esterna, alternativa e moderna rispetto alla consuetudine dei testi drammatici e dei loro allestimenti sino a quel
momento; nella fattispecie per il modo con cui la "scrittura scenica" muove incontro alla proposta scenico-spaziale245. In definitiva, come vedremo, grazie alla relativa libertà tecnica e organizzativa, i nuovi ambienti si muovono in complicità con i nuovi autori, favorendo opzioni drammaturgiche radicalmente innovative.
Ad imporsi l'allestimento di opere inedite di autori contemporanei è lo Sperimentale di Bologna, ospitato nello storico Teatro Comunale della città e fondato dal narratore e commediografo Lorenzo Ruggi assieme a Gherardo Gherardi246. Si tratta di una sorta di club riservato, in cui un pubblico selezionato deve scegliere tra i testi inediti di giovani autori, presentati in forma anonima: i testi preferiti sarebbero poi stati affidati alle principali compagnie di giro attive in quel periodo247.
Caso esemplare di mecenatismo è il Teatrino di Villa Gualino, fatto costruire dall'imprenditore Riccardo Gualino in un'ala della sua abitazione torinese: progettato dall'architetto Alberto Sartoris su idea di Felice Casorati, è destinato a ospitare amici e collaboratori e ad affiancarsi alla ricca pinacoteca di famiglia248. Il successo del teatrino privato convince Gualino a inaugurare nel 1925 il Teatro di Torino, sulle ceneri dell'antico e oramai decadente Teatro Scribe di via Verdi: coadiuvato dal critico d'arte Lionello Venturi e dal pittore Gigi Chessa (uno dei Sei di Torino), ne finanzia il totale rifacimento, inaugurandolo con il nuovo nome il 26 novembre249, con un cartellone che presenta non solo opere musicali di autori classici, ma anche testi drammatici
d'avanguardia e rappresentazioni di danza di notevole valore etnomusicografico250. L'iniziativa, pur guadagnandosi il plauso degli ambienti intellettuali cittadini, ha breve durata: dopo soli cinque anni, il teatro, disertato dal grande pubblico, è costretto a sospendere l'attività, finendo per essere ceduto all'Eiar251.
Nel giro di pochissimi mesi, tra il 1924 e il 1925, sorgono a Milano tre teatri sperimentali, il più interessante dei quali è il Teatro del Convegno252. Animatore e promotore ne è il regista e critico Enzo Ferrieri, che agisce sommando le iniziative promosse negli anni precedenti: una rivista, una biblioteca e un circolo letterario (situato nello storico e centralissimo palazzo Gallarati Scotti); sicché, come sintetizza Doglio, il teatro di Ferrieri nasce
«come espressione di quel Circolo del Convegno che, accogliendo le più significative personalità della cultura milanese del tempo aveva già un suo prestigioso strumento di comunicazione culturale a livello europeo nella rivista letteraria»253; con ciò rendendosi approdo della vasta flotta culturale facente capo al promotore e ai suoi più diretti collaboratori. Limitato a duecentocinquanta posti e mobiliato secondo una rivisitazione del gusto liberty
ad opera dell'architetto e scenografo catalano Manuel Fontanals, che ne è anche il direttore artistico, il teatrino trova sede in un garage abbandonato tra corso Magenta e via Carducci. Vi lavorano come scenografi anche artisti della Milano "novecentista", come Carlo Carrà e Mario Sironi, e nella sua
compagnia figurano attori come Esperia Sperani254, Nino Besozzi255, Tina Bondi e Corrado Racca256. Con salda volontà di aggiornarsi allo spessore europeo, Ferrieri apre a un repertorio di suggestione letteraria che comprendeva Joyce, Renaud, Giraudoux, Vildrac. Pirandello, amico del fondatore, ne sponsorizza le qualità:
Il Convegno si presenta come un organismo costituito secondo un disegno logico e preciso. Ha una compagnia composta di buoni elementi, bene affiatati, sottoposti a lunga scuola, senza preconcetti di ruolo. Ha nel Ferrieri e nel Levi due direttori artistici di grande intelligenza e attività e intellettualmente preparati. Ha nel Fontanals, già direttore scenografo del teatro Eslava di Madrid, un direttore tecnico molto esperto di allestimenti scenici moderni e dotato di ingegno quanto mai versatile257.
Il coinvolgimento diretto di Pirandello nella genesi del progetto e la sua affinità con il pensiero teatrale del fondatore sono dimostrati dallo spettacolo d'apertura del Teatro del Convegno. Per aprire il cartellone si pensa infatti a La Sagra del Signore della Nave, salvo poi, per ragioni che vedremo più avanti, ripiegare sull'atto unico All'uscita (8 novembre 1924), tratto da una novella del
1916, asciugata e rimodellata per il teatro. Chiamato dall'autore "mistero profano", il dramma è ambientato sulla soglia di un cimitero e ha per protagoniste le "apparenze" di defunti, ovvero le ombre del Filosofo, dell'Uomo Grasso, della Donna Uccisa, del Bambino258. Pur trattandosi di un testo che sovrappone due registri diversi, quello narrativo e quello teatrale,
senza che il secondo riesca a prevalere nettamente259, grazie alla vitalità euristica della didascalia lo spazio «perde via via la sua referenza realistica e diventa il correlato fisico di uno spazio psichico, acquista astrattezza»260. E da questa rarefazione puntellata di particolari realistici Fontanals trae una scenografia sui toni del grigio, nebulosa e carica di mistero, dominata da un alto cipresso, capace di rievocare in pochi tratti il silenzio e l'immobilità cimiteriale suggeriti dalla prima didascalia:
Un muro, una porta. Di qua, campagna, all'uscita posteriore d'un cimitero. Di là dal muro - grezzo, bianco - s'intravedono, in una trasparenza scolorata d'umido barlume crepuscolare, alti cipressi notturni.
I morti, lasciato il corpo inutile nelle fosse, escono lievi dalla porta con quelle apparenze vane che si diedero in vita261.
Curiosamente, ma significativamente, affiancato a Gli innamorati di Carlo Goldoni, l'atto unico pirandelliano annuncia la linea programmatica del nuovo teatro, debitrice delle teorie di Appia come del modello copoviano262.
A Roma, nel 1923, Lucio D'Ambra fonda il Teatro degli Italiani, nella sede del Teatro Eliseo, bissando il tentativo fatto un decennio prima con il Teatro per tutti263. Affiancato da Mario Fumagalli (all'epoca direttore della
scuola di recitazione di Santa Cecilia), Raffaele Ferro come scenografo 'ufficiale', e con una compagnia di ottimo livello (che comprende Teresa Franchini, Jole Morino, Tullio Carminati), D'Ambra fece rappresentare lavori di Giannino Antona-Traversi, Bracco, Rosso di San Secondo. All'Eliseo viene realizzata, forse per la prima volta nei teatri italiani, una gradinata di legno per mettere in comunicazione la ribalta e la platea264.
Nella capitale fanno notizia anche altri tentativi, tra cui è d'obbligo menzionare il teatro e la compagnia di Olga De Dieterichs Ferrari (attivi nel
1926 con la direzione di Lamberto Picasso), la cui impavida e fallimentare impresa è adombrata nei Giganti della montagna di Pirandello; il Teatro Moderno di Mario Cortese; il Teatro italiano delle novità di Carlo Basile; il Teatro del 2000 (ubicato in via Santo Stefano del Cacco), fondato e diretto da Marcello Gallian con la collaborazione del pittore Alfredo Gaudenzi265, dove si ha la prima rappresentazione italiana di Re Baldoria di Marinetti (regista e protagonista Renato Borraccetti, musiche di Franco Casavola266) e dove torna alle scene La guardia alla luna di Massimo Bontempelli.
Poste a fianco di questi tentativi di effimera durata, le esperienze di gran lunga più significative sono il Teatro degli Indipendenti di Bragaglia e il Teatro d'Arte di Luigi Pirandello. Entrambe, sebbene inevitabilmente soggette a compromessi e sterzate, riescono a guadagnarsi notevoli riconoscimenti; attraverso la loro programmazione è ora possibile recuperare molti dei testi e degli autori che, anche solo per un episodio o una breve stagione, sanno darsi come eccezioni alla regola, come deroghe ai modelli drammaturgici tradizionali.
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