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Gabriele D'Annunzio nacque a Pescara il 12 marzo 1863. A sedici anni pubblicò la prima raccolta di versi Primo vere. Nel 1881 si trasferì a Roma dove venne accolto nella società mondana e partecipò alla vita elegante della città, esperienza rispecchiata nelle opere letterarie successive. Nel 1883 si sposò con la duchessa Maria Hardouin del Gallese. Si fece interprete della Roma umbertina e dell'ambiente mondano aristocratico partecipando a imprese sportive, a cacce, balli, fu protagonista chiacchierato di passioni travolgenti e pubblicò i suoi commenti letterari e mondani su riviste e quotidiani quali 'Cronaca bizantina', 'Capitan Fracassa', la 'Tribuna', il 'Mattino'. Nel 1897 fu eletto in parlamento deputato dell'estrema destra, ma dopo tre anni passò clamorosamente all'estrema sinistra. All'inizio del secolo si ritirò a Settignano nella villa della Cappoccina dove, in un'atmosfera di lusso sfrenato, scrisse numerose opere e intrecciò una relazione con Eleonora Duse. L'assillo dei creditori lo costrinse a rifugiarsi in Francia, dove visse fino al 1915 quando fu invitato a Quarto per tenere il discorso celebrativo dell'impresa dei Mille.
Durante il primo conflitto mondiale si schierò a favore degli interventisti, compiendo numerose imprese spettacolari (i voli su Trieste, Trento, Vienna; l'occupazione di Fiume nel 1919). Negli ultimi anni di vita si stabilì nella villa del Vittoriale sul lago di Garda, dove curò l'edizione delle proprie opere e morì nel 1938.
Dopo l'esperienza giovanile di Primo vere, Canto Novo, Intermezzo di rime, opera con la quale si distacca dall'imitazione scolastica classicista per aprirsi al decadentismo europeo D'Annunzio compose nel 1882 le novelle di Terra vergine seguite da quelle de Il libro delle vergini (1884) e di San Pantaleone (1886) raccolte in seguito nelle Novelle della Pescara (1902). Il modello delle prose è il Verismo di Verga, che si traduce tuttavia in un bozzettismo privo della partecipazione umana e morale dei veristi e rivelatore, piuttosto, di una sensualità naturalistica, di un'adesione sensuale alla natura.
Con il primo romanzo Il Piacere, del 1889, D'Annunzio enuncia la sua concezione estetica, tradotta in stile di vita ma anche in uso aristocratico e ornamentale della parola. La prosa risponde a un sorvegliato esercizio di stile e alla cura formale rigorosamente professata contro i seguaci della poetica verista. Il protagonista, Andrea Sperelli, disprezza tutto ciò che è volgare per ricercare il senso estetico delle cose. Egli è il prototipo dell'eroe decadente e, tuttavia, è già superato dai protagonisti dei successivi romanzi Giovanni Episcopo (1891) e L'innocente (1892). Costoro manifestano l'aspirazione a un mondo più sano e semplice, ambizione che rimane velleitaria di fronte all'incapacità di rinunciare all'universo di sensazioni nel quale vivono.
La teoria del superuomo elaborata da Nietzsche inaugura un nuovo filone narrativo che è individuato da Il trionfo della morte (1894), Le vergini delle Rocce (1895), Il Fuoco (1900), Forse che sì, forse che no (1910), romanzi che testimoniano, accanto al culto della bellezza, il gusto per il gesto eroico ed eccezionale.
L'ideale del superuomo è affidato al protagonista de Le vergini delle Rocce, Claudio Cantelmo, convinto che il mondo appartiene agli uomini che, come lui, sanno dominare le masse. Allo stato democratico sostituisce quindi quello oligarchico, strumento per sottomettere la plebe. Ne Il Fuoco il protagonista, Stelio Effrena, incarna il mito dello scrittore-superuomo che mira alla stesura di un'opera d'arte sovrumana, capace di superare il tempo, convinto che l'uomo è padrone assoluto del proprio destino. Sotto il profilo stilistico ed estetico la bellezza sarà conseguita con la mescolanza di varie forme espressive (la parola, la musica, la danza).
L'ideologia del superuomo vive dei miti della razza, della forza, della grandezza, della gloria individuale, del genio, dell'eccellenza, dell'eccezionalità.
Lo stesso tema ricorre nelle numerose tragedie di D'Annunzio: La città morta (1898), Francesca da Rimini (1901), La figlia di Iorio (1904). Il gusto per le tinte forti, per l'entusiasmo vitale e la rappresentazione pittorica che aveva caratterizzato le prime raccolte poetiche lascia poi il posto al simbolismo.
Nel Poema paradisiaco (1893) D'Annunzio accoglie le istanze di una poesia dai toni più dimessi che sembrano preludere al Crepuscolarismo. Sulla base di tale esperienza poetica nasce la lirica delle Laudi (Maia, Elettra, Alcione pubblicate tra il 1903 e il 1904, Merope, 1912). Maia è la simbolica rivelazione di un viaggio in Grecia; Elettra contiene versi di ispirazione civile. Più significativo è comunque il poemetto Alcione, che al meglio esprime la vena sensuale di D'Annunzio e la sua sincera partecipazione alla vita della natura. L'abbandono alle sensazioni suggerite dal tempo e dai luoghi rappresenta una sorta di tregua ideale di fronte alle passioni travolgenti e all'ansia di avventura.
In un'adesione commossa alla natura, tutta pervasa da suggestioni paniche (immedesimazione con la natura) il poeta si confonde con gli alberi, i fiumi, il mare e la parola, resa musicale, diviene lo strumento per esprimere i suoni e le voci della terra (La pioggia nel pineto, La sera fiesolana, L'onda).
Negli ultimi anni della sua stagione creativa D'Annunzio si dedica alle prose autobiografiche. Nella Contemplazione della morte (1912), nei tre volumi delle Faville del maglio (1924-1928), nel Notturno (1916) e nel Libro segreto traspare quell'inquietudine che aveva portato lo scrittore a sperimentare ogni forma di arte e che ora si manifesta in un'analisi della propria coscienza attraverso la memoria. In tali opere l'io dannunziano rivela la segreta aspirazione a una realtà più appartata, pervasa da un'ansia interiore
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