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La scrittura autoanalitica come metodo formativo
1.1 La scrittura autoanalitica
Prima di cominciare a riflettere sulle potenzialità curative e formative della scrittura autoanalitica, è bene chiarire le principali componenti in gioco. Non si parlerà di autobiografia perché, pur nella sua ricchezza e articolazione, questo termine circoscrive un campo della produzione scritta troppo limitato per le finalità di questo lavoro. Vogliamo soffermarci su come qualsiasi tipo di scrittura autoanalitica, dal più strutturato lavoro autobiografico alla semplice riflessione scritta impulsivamente su un foglio possano curare l'individuo, la sua inquietudine e l'affermazione della sua individualità.
Inizieremo chiarendo cosa intendiamo per autoanalisi, successivamente vedremo come questa intervenga su quella che Demetrio definisce inquietudine per poi terminare con la scrittura autoanalitica e le sue forti potenzialità pedagogiche.
1.2 L'Autoanalisi
Con il termine Autoanalisi intendiamo un lavoro dell'individuo su di sé, nel quale si guarda alla propria vita cercando di scomporla in tutte le sue componenti, facendo dialogare e narrare queste tra loro per arrivare a ricomporre la propria identità e per ritrovare in questa un nuovo senso. Ci si osserva dentro, cercando di rispondere a se stessi di quel che si pensa o si fa agendo, senza fermarsi alle frasi fatte, alle etichette, ai luoghi comuni, ma mettendo tutto in discussione, consapevoli che alla fine di questo processo si scoprirà qualcosa di nuovo a se stessi.
Demetrio afferma: "L'autoanalisi è una conquista della specie, innanzi tutto, è l'affievolirsi dei legami assoluti, divoranti, famigliari e tribali; è il poter sperimentare la parola io pur collegandola al divino, alla politica, allo spettacolo."[1]
Ci si appella al diritto ad avere un io, ci si incammina in un viaggio dalla durata indeterminata nel quale possiamo percepirci dotati di una individualità, di una indipendenza, di una solitudine che non fa male.
In questo processo possiamo individuare una dialettica tra l'io che cerca e l'io che vuole celare, entrambi in tale conflitto hanno bisogno di attingere al passato, attuano una ricostruzione dove uno si fa assistente critico dell'altro, sapendo che la coscienza di ricordare può arrivare solo fino ad un certo punto. L'autoanalisi è inevitabilmente una mnemotecnica[2] anche quando inventa i ricordi per trovare i nessi tra loro e tentarne una ricomposizione.
Vengono quindi analizzati tutti i vari frammenti recuperati per giungere ad un nuovo sapere di sé che da ancora più potere all'io.
Giunti a questo punto è così possibile pensarsi nel proprio futuro, consci delle nostre forze e delle nostre debolezze, lasciando libero il nostro pensiero nelle regioni del possibile e dei nostri desideri.
Per chiarire meglio ciò di cui ci stiamo occupando, seguendo le riflessioni di Demetrio, vediamo cosa l'Autoanalisi non è:
non è terapia, poiché la terapia ha bisogno di una persona che ci aiuti a metterla in atto, mentre ciò che stiamo analizzando è frutto del solo lavoro del singolo;
non è ginnastica mentale fine a se stessa, poiché serve a dischiuderci alle relazioni, ad avvicinarci alle consapevolezze, ha in sé una potenzialità curativa;
non è autocompiacimento, poiché la sua natura è troppo disciplinata e dura.
E' stata la psicanalisi ad introdurre questo nuovo modo di guardare a sé, lo stesso Freud propone di "recuperare la biografia, proprio perché i fili del passato prefigurano una traiettoria del futuro". L'autoanalisi clinica nasce con il suo inventore, che sdoppiandosi, si indagò e vagliò, rispecchiandosi in chi voleva curare, pensando a se stesso per capire chi aveva di fronte.
Proprio nella prefazione alla seconda edizione di L'interpretazione dei sogni afferma: "Esso mi è apparso come un brano della mia autoanalisi, come la mia reazione alla morte di mio padre, dunque all'avvenimento più importante, alla perdita più straziante nella vita di un uomo"[3].
È perciò all'interno della teoria psicanalitica che troviamo le radici dell'autoanalisi, senza quest'ultima non sarebbe possibile una buona analisi Freudiana. Dagli analisti viene anche chiamata "autosservazione"[4], in essa il paziente viene invitato ad assumere una "attenzione concentrata" attraverso "una posizione di riposo ad occhi chiusi", "gli si dice che il successo della psicanalisi dipende dal fatto che egli osservi e comunichi tutto ciò che gli passa per la mente e non sia tentato di sopprimere un'idea perché gli sembra insignificante o non pertinente, un'altra perché gli sembra assurda." .
Ma il fatto che sia questa l'origine dell'autoanalisi non deve condurci nell'errore di far coincidere ciò che stiamo trattando con l'analisi terapeutica; abbiamo già detto perché non è terapia, aggiungiamo che differenti sono il setting e la motivazione che porta ad essa. Nell'autoanalisi il setting è destrutturato, o meglio, è nella mente di chi la mette in atto, ovunque esso sia, non è legato né a lettini da ambulatorio, né a professori esperti. L'unica cosa indispensabile è la capacità e la volontà di iniziare a mettersi in discussione e di pensarsi Altra caratteristica peculiare è la motivazione che porta ad iniziare un processo autoanalitico, non siamo in presenza di un dolore lacerante o di una patologia che conduce a chiedere aiuto a qualcuno, ma siamo nel bisogno dell'individuo di ripensare a se stesso, di "sentire che ha vissuto e sta ancora vivendo"[6]. Questa necessità può nascere in vari contesti e in varie tipologie di persona, quello che c'è sempre alle fondamenta è il desiderio di trovare un senso alla propria esistenza e l'urgenza di farlo con le proprie forze, perché solo così si arriva alla consapevolezza piena di noi stessi.
1.3 Autoanalisi e inquietudine
Nella nostra cultura l'inquietudine non ha mai avuto una connotazione positiva. I greci la chiamavano taraxia, i filosofi stoici spiegavano che era necessario liberarsi di essa, nel raggiungimento di una a-tarassia in lotta con le passioni.
Gli uomini, in particolar modo nella cultura occidentale, si sono sempre sforzati di reprimerla, mostrandosi sempre solidi e forti di fronte agli affanni della mente. All'inquietudine si finisce per attribuire la colpa di ogni cosa: è la causa di ogni malessere, esistenziale o psicologico. Soprattutto nella nostra società non trova più posto: la carriera, la mancanza di tempo, l'immagine pubblica, non danno spazio a queste cose, sono una perdita di tempo e un segno di fragilità.
Ma c'è chi questo non riesce a farlo, chi non riesce a negarla, a causa delle prove che la vita gli mette di fronte, o per una particolare sensibilità caratteriale, o perché le domande urlano così forte nella mente che non si può non cercare loro una risposta. Pensare di liberare il mondo dalle anime inquiete sarebbe un danno impensabile per l'umanità, non esisterebbero il pensiero filosofico,la ricerca scientifica, la ricerca di Dio, le opere d'arte, le grandi utopie.
Con il termine inquietudine della coscienza intendiamo: "sentimento pieno, superamento di una sofferenza guardata negli occhi. È tutto quanto si rende fonte di un instancabile, sempre più denso e serrato, perseguimento di un senso."[7]
L'individuo non può sperare nella sua totale scomparsa, poiché una volta arrivati in fondo ad essa ci sarà sempre un'altra domanda, un altro dubbio da risolvere, un altro senso da trovare, ma può tendere ad un suo lenimento, che consiste nell'andare a fondo, con passione di vivere, in ogni cosa e impresa, nel desiderio di conoscere, ma in particolar modo di volgere lo sguardo verso di sé.
È proprio questa sua caratteristica che ben lega l'inquietudine all'autoanalisi, è questo guardare verso se stessi, tormentarsi per trovare un senso a quello che facciamo e a quello che siamo. L'inquietudine è il motore che mette in movimento l'autoanalisi, l'individuo per placare la sua voglia di risposte, la sua ricerca di senso utilizza l'autoanalisi, perché solo in noi stessi, nella nostra storia, nei nostri incontri possiamo trovare un senso al nostro vivere, e possiamo dire "io".
Per mettere in atto questo processo l'individuo prende aiuto da quelle che Demetrio definisce tre muse autoanalitiche[8]:
la coscienza; ciò che Edgar Morin ha definito "un'emergenza riflessiva che permette il ritorno in circolo della mente su se stessa"[9], viene intesa non come coscienza morale ma come consapevolezza data dalla presenza del soggetto a se stesso. Essa è preziosa e fragile, spesso può ingannarsi, anche se ispirata dalla ragione. Continuamente veniamo ingannati da noi stessi, ci conducono a questa illusione l'egocentrismo autogiustificatore, il fare degli altri dei capri espiatori, le selezioni della memoria che elimina ciò che ci disturba abbellendo ciò che conviene ;
il racconto interiore; un incessante dialogare con ciò che incontra e con ciò che pensa segretamente di sé, che traduce ciò che per gli altri è intraducibile con parole che restano celate.
In questo narrarsi troviamo inoltre uno sguardo verso il passato poiché l'individuo per pensarsi nel suo presente e per proiettarsi nel suo futuro ha bisogno di ripensare anche a ciò che è stato il suo passato.
Questo è stato definito da Demetrio pensiero autobiografico: "quell'insieme di ricordi della propria vita trascorsa, di ciò che si è stati e si è fatto.presenza segreta e meditativa"
la scrittura; di essa si serve per esprimere tutto ciò che il suo sentire interno non può o non vuole dire. Si avvale dello scrivere per dar corpo a ciò che solo la mano può far emergere in espressioni poco prima insospettabili e inespresse.[12]
Perciò la coscienza inquieta è composta da queste tre componenti: la coscienza vigile, il racconto celato e la scrittura imprevedibile (consci dell'esistenza di altre forme espressive utilizzabili oltre alla scrittura, ma fuori dal nostro campo di studio).
Quando diventa autoanalitica, assistiamo ad un cambiamento, queste tre componenti si trasformano in: coscienza di sé e coscienza di essere al mondo, racconto di sé e scrittura di sé come interminabile progetto verso il futuro.
Ed è proprio questo il passaggio che ci interessa sottolineare, perché è qui che l'autoanalisi ci dimostra la sua forza educativa e autoeducativa, in quanto si rivela la riflessione sempre più profonda di come io penso, io racconto, io scrivo; è la dimostrazione di una libertà interiore che permette all'individuo anche di sbagliare, poiché lascia aperta la possibilità di ricominciare, di correggersi, grazie al controllo della mente che continuamente sperimenta su di sé.
Questa con il passare del tempo e dell'attività autoanalitica impara a cogliere i segnali e gli indizi del corpo, le domande solo accennate degli altri, i presagi dall'esterno, per poi farsi le giuste domande e cercare sempre più in profondità le risposte.
1.4 Lo scrivere autoanalitico
Il termine scrittura, preso singolarmente, può aprirci ad innumerevoli riflessioni, poiché tanti sono i contesti in cui può essere riferito, e tante le sfumature che possiamo attribuirgli, in questa sede vogliamo andare a riflettere su una particolare forma di testo scritto che è la scrittura autoanalitica.
Ciò che intendiamo per autoanalisi lo abbiamo già esposto nei precedenti paragrafi, vediamo ora come il processo autoanalitico può passare da flusso di pensieri a parola scritta.
Metodologicamente il passaggio è molto meccanico, le riflessioni, le domande, tutto ciò che il processo autoanalitico ha messo in atto nella mente dell'individuo passa alla sua penna, per poi imprimersi in inchiostro sul foglio. Apparentemente sembra una cosa da poco, ma i risvolti di questo semplice gesto possono essere incisivi per il percorso di crescita di chi lo compie.
La prima cosa che si manifesta immediatamente dopo aver scritto è lo stupore nello scoprire come il testo porti alla luce qualcosa d'altro, che non assomiglia all'autore, e nemmeno a ciò che egli pensava di aver prodotto. Non perché la scrittura sia un processo nel quale l'individuo non partecipa in modo conscio all'azione che compie, ma perché i pensieri passano velocemente alle mani, senza troppe razionalizzazioni e censure, senza che vengano cancellate le frasi scomode e le parole che fanno male. La cancellatura di queste può avvenire, ma dopo.
Quando chi ha scritto prende in mano il foglio, o lo schermo del computer, o il pezzetto di carta utilizzato e rilegge, avviene un altro fenomeno caratteristico di questo tipo di scrittura, lo sdoppiamento tra l'io e quello descrivo di me.
Poiché vi è sempre nell'uomo e nella sua scrittura un intento dialogico, la scrittura incarna e produce qualcuno che non c'è, finché non nasce dalla penna e che non c'è del tutto finché non leggiamo di lui. Come se chi scrive lo facesse rivolto a un qualcuno di sconosciuto, e successivamente rileggesse ciò che ha scritto come qualcosa a lui estraneo.
Viene così innescata un'ulteriore scissione tra io, quello che scrivo di me e l'insoddisfazione[13], nata dalla consapevolezza che ciò che si è scritto non corrisponde pienamente a noi stessi. Demetrio a questo proposito scrive: "la scrittura di sé non è mai immediatamente chiara e chiarificatrice, non subito semina concordia tra chi scrive e ciò che scrive.lo scrittore è assai di rado soddisfatto di quel che produce"
Così viene innescato un circolo virtuoso in cui l'individuo rileggendo farà scaturire altre domande, altre riflessioni, che porteranno ancora ad altra scrittura.
In questo processo gioca un ruolo fondamentale la parola, essa spesso è l'origine di una nuova scrittura, l'inciampo che porta a riflettere, lo spunto per ragionare su ciò che questa prima adombrava. Questo perché essa è molto di più che una serie di lettere messe in fila, e anche più del significato che una data cultura gli ha assegnato, perché "ogni parola del soggetto istituisce un mondo, dissemina un senso e destina all'altro, e nel far questo essa è sempre espressione di un modo d'essere e affermazione di un certo stile"[15].
Perciò dobbiamo riconoscere le grandi potenzialità della parola, e considerarla tra i principali motori dell'autoanalisi. Occorre essere abili nello scovare le parole giuste, quelle che provochino nell'individuo un effetto problematizzante e generativo, proprio perché essenziali, piene di vita.
1.4.1 Elementi strutturali
Prima cosa necessaria perchè una scrittura sia autoanalitica è che lo scopo di essa non sia la pubblicazione, il voler vendere la propria autoanalisi agli altri. Vi è la possibilità che in determinati contesti, come per esempio il carcere, la pubblicazione abbia anch'essa una valenza comunicativa-curativa, ma in generale chi scrive autoanalisi non è uno scrittore nel senso professionale del termine, diversa è la metodologia compositiva e diverso è lo scopo.
Demetrio quasi in modo provocatorio afferma che scrivere di sé in senso autoanalitico vuol dire:
accettare di accartocciare il foglio, di farne cento pezzetti;
premere "cancel" dopo aver scritto pensieri e righe anche ritenute geniali,
distribuire nei punti più impensati della casa, dell'ufficio, dell'auto tracce di scarabocchi e intuizioni;
comprare non uno ma decine di notes e quaderni colorati un po' ovunque;
munirsi di penne e matite ora qui ora là ecc.[16]
Questo elenco vuole andare a sottolineare come la scrittura autoanalitica sia necessariamente spontanea, senza schemi da seguire o canoni a cui ispirarsi.
Il principio temporale del racconto interiore poggia su una concezione sua di intreccio, non sulla cronologia dei fatti, ma sul sentire in divenire, su un mutare degli umori, anche in rapporto a eventi e incontri, nella tenuta del filo del discorso[17] affidato all'individuo narrante.
Uno sguardo critico alla struttura del testo autoanalitico può essere comunque dato da noi studiosi, andando ad individuare il tono prevalente della narrazione, il quale può essere:
Retrospettivo; quando è il passato soprattutto a rappresentare l'oggetto cercato e voluto della propria scrittura e successiva lettura. L'io narrante viene tenuto sullo sfondo, mentre maggior rilievo hanno i ricordi, i personaggi, gli ambienti e i fatti.
Introspettivo; quando l'io narrante si concentra nel lavoro su di sé, spesso utilizzando autodomande, confrontando le proprie scelte, i propri errori con i valori, i precetti e i punti di vista possibili, anche di carattere religioso e filosofico. Ci si interroga giudicandosi.
Contemplativo; quando l'andamento narrativo appare disteso, distaccato, distante dalla drammaticità del vivere, dando poca attenzione elle esperienze vissute o in atto, e alla loro critica. L'inquietudine si distende e appare l'effetto curativo della scrittura;
Proiettivo; l'attenzione si sposta verso le regioni del possibile, si cerca di intravedere o immaginare il futuro, il pensiero viaggia verso la ricerca di un sé auspicabile, verso la speranza di un cambiamento, di una rinascita, di un nuovo volto da assumere.[18]
Queste modalità narrative e di pensiero ci consentono di orientare il nostro scrivere autoanalitico, ma anche di rileggere, autoanaliticamente, quel che appare alla memoria del passato, del presente e del futuro.
All'interno di questo quadrangolo della scrittura si possono inserire anche una serie di andamenti, o meglio, processi mentali che possono essere riscontrati attraverso la lettura dei testi:
L'andamento attentivo: il racconto si concentra su particolari, frammenti, apparenti inezie, come cercando delle divagazioni impreviste;
L'andamento costruttivo: il racconto è caratterizzato dal bisogno di darsi un'architettura narrativa in prosa, fatta di premesse, antefatti, argomentazioni, conclusioni. Vi è il prevalere della categoria di storia di sé;
L'andamento riflessivo: si analizzano situazioni vissute riferendo giudizi, opinioni, comportamenti morali, con una tensione critica verso il mondo, gli altri, le idee non proprie;
L'andamento cronologico per sequenze: il racconto si delinea evidenziando fasi, passaggi, svolte, periodi;
L'andamento acronologico: lo scritto è senza sequenzialità, procede per salti, con aperture di finestre retrospettive;
L'andamento erratico: quando si riscontrano rapide transizioni tra vari metodi di scrittura, per esempio si passa da un scrittura in prosa, a lirismi, a citazioni ecc.
L'andamento metariflessivo: il racconto è ricco di pensieri, ci si interroga sul senso e sulle emozioni che si stanno provando durante la scrittura, sull'opinione che qualcuno potrebbe avere leggendo;
L'andamento evocativo-contestuale: dove sono presenti lunghe e dettagliate descrizioni di paesaggi, case, città, luoghi diversi, ecc.
L'andamento evocativo figurale: quando ci si sofferma sulla descrizione dei volti, o anche degli animali e piante colte nella loro specificità;
L'andamento auto-descrittivo: si insiste sui propri tratti temperamentali, sul proprio carattere, sulla immagine di sé nel tempo, su alcuni comportamenti ricorsivi nel tempo, per lasciare tracce di una presenza individuale connotata anche dai racconti che altri ci restituiscono a questo proposito;
L'andamento drammaturgico: se il racconto procede in una evidente tensione e torsione drammaturgia, dal ritmo incalzante di attese e sorprese impreviste. In una dinamicità di scene che lasciano un segno emotivo sia in chi scrive che in chi legge;
L'andamento meditativo: è una articolazione dell'autoanalisi di tipo contemplativo, lo scrivente mira ad una quasi totale dissociazione, sembrando una voce fuori campo, attenta più che altro alla narrazione dei sentimenti, dei loro esiti pacificanti, adombrando la problematicità del vivere a vantaggio di un effetto rasserenante;
L'andamento metaforico e simbolico: il racconto appare ricco di metafore e di artifici retorici, si scoprono frequenti rinvii a simboli.
L'analisi della scrittura autoanalitica esplora, dunque, non stili letterari ma processi mentali che guidano l'individuo nella scrittura e nella lettura della propria vita.
1.4.2 Funzione pedagogica della scrittura autoanalitica
Avendo chiarito cosa intendiamo con il termine autoanalisi e scrittura autoanalitica abbiamo già a grandi linee anticipato quelle che possono essere le potenzialità pedagogiche di tali processi, ma vogliamo in questo paragrafo soffermarci maggiormente su di esse.
Ad avvalorare la nostra tesi è il fatto che non esista ambito della formazione, lavoro sociale, clinico e persino scolastico che disconosca l'utilità e l'importanza delle pratiche narrative e in particolare quelle auto-riferite.
Come prima cosa va chiarito il perché si sceglie lo scrivere al più diffuso parlare. In questi tempi il parlare ha assunto un ruolo dominante rispetto alla parola scritta, viene valorizzato il dialogo, i colloqui, il saper conversare, mentre la scrittura è diventata breve, essenziale, spesso lasciata nelle mani dell'informatica e non più ai tradizionali fogli di carta.
Pur riconoscendo l'importanza relazionale e sociale del parlare, all'interno del processo autoanalitico vediamo che la scrittura possiede una capacità particolare, cioè quella di trattenere i pensieri, di non farli cadere nell'oblio, tenendoli impressi in qualcosa di tangibile, esperibile attraverso i sensi ogni volta che lo si ritiene opportuno, con la possibilità di consegnare il tutto agli altri.
Quasi a confermare la massima latina "Verba volant scripta manent" Demetrio afferma: "l'oralità non svolge una funzione di rispecchiamento potente come la scrittura: possiamo parlare per ore e non accorgerci di ciò che andiamo dicendo, ma basta una riga scritta per rinviarci il senso ora del nostro limite, ora delle nostre capacità con un'evidenza straordinaria."[19]
Certo è indiscutibilmente più semplice dimenticare, non fermare i pensieri e le domande che ci affiorano dalla mente, vivere nel qui ed ora, accontentandoci di quel che non lascerà traccia se non nel ricordo sbiadito di chi ci ha ascoltato. Ma proprio per le peculiarità dell'autoanalisi lo scrivere deve essere lo strumento privilegiato, poiché "c'è nello scrivere un trattenere le parole come nel parlare c'è un liberarle.si trova liberazione e durevolezza - si trova liberazione solo quando approdiamo a qualcosa di durevole."[20]
Legandoci a questa durevolezza, introduciamo un altro aspetto importante della scrittura: la sicurezza. Il semplice fatto di doversi appoggiare ad una superficie fornisce sicurezza, costringe a fermarsi, restituendo la sensazione di non galleggiare nel vuoto. Le dita stringono una penna, si muovono su una tastiera trovando un'opposizione, non ci si sente più liquidi e privi di forma come lo si è pensando.
Questa è una importante componente pedagogica, poiché in numerosi contesti educativi la scrittura può andarsi ad inserire proprio portando questa sua caratteristica, offrendo la possibilità a chi la mette in atto di vedere i propri pensieri fermi, nella loro fisicità e nel loro esserci, obbligando ad affrontarli e riconoscerli.
Ma il principale risvolto della scrittura autoanalitica è nel momento in cui l'individuo, dopo aver impresso sulla carta i propri pensieri autoanalitici, dopo averli riletti, viene travolto da una consapevolezza che non ha confronti: la consapevolezza di esistere più che mai. La scrittura impedisce a chi la compie di dimenticare di essere esistito, di essere ancora in vita e di avere infinite possibilità di fronte a sé.
Attraverso un processo simile allo straneamento, si ha la possibilità di guardarsi dal di fuori, di rileggere la propria vita o le proprie inquietudini come fossero quelle di un altro a noi estraneo, rendendoci conto che quella persona e la sua vita ci sono, che hanno lasciato una traccia.
A livello metodologico possiamo quindi, come educatori professionali, ma anche in qualità di qualsiasi professione eserciti nel campo del sociale e della cura, utilizzare le opportunità che ci vengono offerte da questo strumento formativo, sia per noi e l'equipe con cui lavoriamo, sia per gli utenti che ci troviamo di fronte.
La scrittura autoanalitica, specie se in contesti di povertà culturale o di forte disagio avrà bisogno di essere stimolata, provocata, sempre mantenendo la giusta distanza in modo da non togliere al processo autoanalitico la sua autenticità.
Un metodo da considerare è quello dei gruppi di scrittura, nei quali la solitudine di ognuno fa spazio alla solitudine degli altri in un tragitto nel quale è indispensabile una progettualità che rispetti la libera espressioni degli individui ma anche un loro progressivo avvicinamento a tale pratica, in un clima disteso e amicale, nel quale ognuno si senta libero di svelare cosa difficili da accettare anche per se stessi.
Si crea così una comunità nella quale si scopre che "gli altri, e noi per loro, sono maieuti indispensabili, ci aiutano a mettere a fuoco che cosa significhi "vivere" in una certa stagione della vita adulta, a scoprire che i momenti di solidarietà naturale possono svolgere una funzione di autoaiuto."[21]
Tutto questo perché le parole da sole, raccolte e analizzate, fecondano più di ogni educatore o maestro, il mondo interno di ciascuno dischiuso dallo scrivere.
Tutto quello che abbiamo sinora trattato però si tratta di potenzialità educative che per essere rilevanti devono prendere atto in concreti "benefici pedagogici". Va specificato, quindi, che il lavoro educativo è presente laddove sia osservabile nel breve o lungo periodo, un salto cognitivo, una variazione di mentalità, l'emergere di una immagine diversa della realtà, un cambiamento. Quindi guardiamo alla scrittura autoanalitica con fiducia, sicuri delle grandi risorse che ci offre, con un'attenzione particolare ai mutamenti che innesca nel vivere di chi la esercita.
E.Morin , La testa ben fatta. Riforma dell'insegnamento e riforma del pensiero, Raffaello Cortina, Milano 2000, p. 135
Cfr. D.Demetrio, Autoanalisi per non pazienti inquietudine scrittura di sé, Raffaello Cortina, Milano 2003, p. 152
S. Pertosino, L'esperienza della parola: testo, moralità e scrittura, Vita e pensiero, Milano 1999, p. 297
D. Demetrio, Autoanalisi per non pazienti inquietudine e scrittura di sé, Raffaello Cortina, Milano 2003, p. 156
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