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Con il nome di Scapigliatura, termine equivalente al francese bohème (vita da zingari) e derivato dal titolo di un romanzo di Cletto Arrighi (La scapigliatura e il 6 febbraio, Milano 1862), si è soliti designare un gruppo di artisti lombardi o, più largamente, settentrionali, i quali amavano riunirsi a Milano, tra il 1860 e il 1870 attorno a Giuseppe Rovani, da essi considerato capo del movimento.
Erano poeti, pittori, scultori, che avevano in comune una profonda esigenza di rivolta, tanto alle ultime manifestazioni di un ormai stanco Romanticismo (Secondo Romanticismo di Prati e Aleardi in particolare), quanto al desolato imborghesimento della vita civile in seguito al continuo attenuarsi delle idealità risorgimentali.
Essi propugnavano, in letteratura:
metri inconsueti ed antitradizionali,
l'avvicinamento del linguaggio poetico al linguaggio della prosa,
soggetti spregiudicati, quando non cinici o volgari o immorali;
nella vita, una condotta svincolata dalle angustie borghesi o piccolo-borghesi, intonata a bizzarria e stravaganza, non aliena dallo scandalo.
All'origine del loro atteggiamento iconoclasta (in senso lato, inteso come dissacratorio nei confronti dell'arte e della tradizione) c'erano, sia un concetto desolato dell'esistenza terrena, sia un riflesso delle correnti prede cade predecadentistiche d'oltr'alpe, ma l'esacerbata sofferenza si trasformò, in essi, in disordinato impulso agli stravizi od in propositi suicidi, tanto che Camerana ed Pinchetti si spararono, Cremona morì giovane intossicato dai colori che si spalmava liberamente sul braccio ignudo; giovane morì Ranzoni, e miseramente finirono i loro giorni Rovani e Praga.
Mentre la poesia francese, sulle orme di Baudelaire ed in ossequio alle esigenze del Naturalismo, si muoveva a penetrare nell'abisso dell'inconscio, cioè di quella realtà misteriosa ed indistinta che lievita nelle parti più intime dello spirito umano, l'esigenza di novità degli scapigliati rimane alla superficie, finisce anzi per esaurirsi in se stessa, ed unico elemento positivo che presenta nella sua generale negatività è quello di aver preparato un terreno nuovo ed inesplorato ai narratori realistici e veristi, quali De Marchi ed Verga, che faranno le loro prime esperienze letterarie proprio in quell'ambiente milanese.
Ad osservarli da vicino, gli scapigliati, che combattono la morale «borghese» ed ogni residuo sentimentalismo; che per l'arte patiscono magari la fame e conducono una vita spensierata in poveri studioli, in fredde soffitte, in rumorose trattorie; che annegano nell'alcool i propri disinganni ed affidano al verso, alla tela, alla nota musicale, la propria scontentezza ed il proprio disagio spirituale, nell'atto stesso in cui protestavano contro il secondo Romanticismo, al Romanticismo si richiamavano per l'ostentata originalità ad ogni costo, che altro non è se non esasperato in individualismo; per la proclamata autonomia dell'arte che rientra nei canoni della dottrina romantica, per l'ossessiva ricerca dell'immediatezza espressiva che li avvicina ai primi romantici italiani e stranieri.
Non a caso, e non senza ragione, essi sono considerati i « soli autentici romantici» nostri, ed il loro fu definito, per distinguerlo dai precedenti, terzo Romanticismo.
Alla scapigliatura mancò il grande poeta.
Ne fu capo incontrastato GIUSEPPE ROVANI l'autore del romanzo ciclico I cento anni: attorno a lui si strinsero TRANQUILLO CREMONA il più alto genio pittorico gruppo; GIUSEPPE GRANDI che nel monumento delle Cinque giornate diede mirabile prova della sua tendenza a conferire alle masse plastiche sfumature musicali e sinfoniche; IGINO UGO TARCHETTI prosatore tetro e morboso, che molto derivò da Poe e da Hoffmann; CLETTO ARRIGHI anagramma di Carlo Righetti, che con il sopraccitato romanzo diede nome al movimento e fondò un teatro dialettale milanese; GIUSEPPE GHISLANZONI librettista e baritono; GIOVANNI CAMERANA poeta e pittore, che più di ogni altro interpretò la tendenza a trasferire dall'una all'altra la sensibilità delle varie arti; CARLO DOSSI che si impegnò soprattutto in sperimentazioni stilistiche; ARRIGO BOITO poeta e musicista, il più noto fra tutti; EMILIO PRAGA poeta e pittore, che con la tavolozza vagò per tutta Europa.
L'opera più significativa di Boito in ordine al movimento cui appartiene, è la fiaba Re Orso, nella quale il grottesco, il macabro, il parodistico si alternano in un parossismo ritmico di metri vivacissimi. In Dualismo, lirica che apre il Libro dei versi, composto nella giovinezza, è rappresenta il tragico dissidio dell'anima umana, divisa tra il bene ed il male, tra Dio Satana.
Più tardi, ed è questa la sua gloria maggiore, scrisse e musicò il Mefistofele ed il Nerone, e compose il libretto della Gioconda di Ponchielli, dell'Otello e del Falstaff per Verdi.
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