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La Satira




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La Satira





Le Origini

Unica tra i generi presenti nella letteratura latina, la satira non trova il suo corrispondente nella letteratura greca. Questa situazione, da un lato la rende una creazione originale della cultura romana, dall'altro provoca una certa difficoltà nell'inquadrare correttamente le origini e il carattere di questa forma di poesia. Gli studiosi moderni hanno tentato di connetterla con la satura, una manifestazione preletteraria latina di cui poco sappiamo, e, sul versante greco, con la produzione giambica callimachea, caratterizzata da una grande varietà di contenuti, di toni e di metri. Tali ascendenti non furono presi in considerazione dai dotti latini che si occuparono della questione, ma si dedicarono a una ricerca etimologica, che, come avveniva nell'antichità, tendeva a chiarire non solo il significato del termine, ma anche l'essenza dell'oggetto designato.

Le serie di etimologie che ci sono state tramandate, si muovono in due direzioni differenti. Da una parte la satura è correlata con l'aggettivo saturus e riportata a un gruppo di referenti caratterizzati tutti dalla molteplicità dei loro elementi costitutivi (la satura lanx, un vassoio di primizie varie offerte agli dei; la satura, un tipo di ripieno fatto con diversi ingredienti; la lex satura, una proposta di legge comprendente numerosi provvedimenti non collegati fra loro); dall'altra viene connessa con i Satyri, esseri mitici famosi per il loro carattere burlesco e scurrile. Tale indagine pone quindi in evidenza due caratteristiche principali: da un lato la complessità e la varietà dei temi, dall'altro la spiritosa mordacità.

Gli schemi di Diomede e Quintiliano

Dal grammatico Diomede (IV secolo d.C.), ci è stato tramandato un tentativo di sistemazione cronologica che distingue nel genere satirico due diverse fasi: una prima fase praticata da Ennio e Pacuvio, che ha il suo elemento distintivo nella gran varietà dei componimenti; una seconda fase che inizia con Lucilio e che ha invece il suo aspetto peculiare nell'aggressività.

Accanto a questo schema ne troviamo un altro, attestato da Quintiliano verso la seconda metà del I secolo d.C., che colloca accanto alla satira in esametri un'altra forma: la satira menippea, mista di prosa e versi, che si richiama al filosofo greco Menippo di Gàdara, vissuto nel II secolo a.C., iniziata a Roma da Varrone Reatino, che intitola le sue composizioni satiriche Satire Menippee.

Ennio e Pacuvio

Per Ennio, conserviamo un esiguo numero di frammenti e di testimonianze, che bastano tuttavia per documentare una notevole gamma di motivi, di toni e di metri: per esempio, troviamo versi in stile elevato accanto a spunti vicini alla commedia, favole, giochi di parole; non mancano neppure elementi autobiografici e moraleggianti. Dell'attività satirica di Pacuvio, nipote di Ennio, non ci sono giunti frammenti, ma solo testimonianze indirette, che sembrano confermare la tesi della varietà e della polimetria di questa prima fase della produzione satirica latina.


Lucilio

Anche l'opera di Lucilio presenta una notevole complessità di temi, che vanno dall'invettiva allo scherzo, dall'attacco politico alla trattazione di questioni grammaticali e critico-letterarie. Ad un vasto spettro di argomenti si accompagna una variabilità di atteggiamenti che oscillano fra un impegnato moralismo e un più bonario e leggero gusto per l'intrattenimento. Come quella di Ennio, anche la produzione luciliana si pone sotto il segno della varietà, pur presentando notevoli innovazioni. Dal punto di vista formale si assiste ad un progressivo abbandono della polimetria a favore dell'esametro, che da questo momento diventa il verso tipico della satira. Da un punto di vista più sostanziale, assumono particolare importanza la tendenza all'attacco personale, motivato da ragioni morali; il carattere soggettivo di taluni componimenti in cui l'autore compare in prima persona; e l'impiego diffuso dello spirito, che diviene non solo l'arma del moralismo aggressivo che distrugge gli avversari col ridicolo, ma anche un importante sostegno e incentivo all'intrattenimento letterario. Ne nasce un'arte sostanzialmente nuova, caratterizzata da una dimensione privata e personale, stilisticamente distesa e disinvolta.

Orazio

Orazio, famoso poeta dell'età di Augusto, si pone nella scia della satira luciliana, individuando nell'aggressivo moralismo e nell'impostazione autobiografica i caratteri essenziali di questo tipo di poesia.  Non esita comunque a criticarne la forma, che gli appare rozza ed approssimativa. Crea quindi uno stile medio fine e urbano, distante allo stesso modo dall'altezza artefatta della letteratura sublime e dall'immediatezza trasandata della lingua parlata. Per quanto riguarda i contenuti e l'intonazione, nei Sermones oraziani sulla foga dell'attacco personale e sulla corposa adesione alla quotidianità prevalgono la tendenza ad una sorridente riflessione morale, il gusto dell'intrattenimento fine e spiritoso, la propensione a considerazioni personali che possano assumere validità universale. Le Satire di Orazio sono dunque lontane dalla crudezza e dalla mordacità, e si presentano come amabili e colte conversazioni di varia umanità.

Persio

Nell'età di Nerone si assiste ad una notevole fioritura del genere satirico. La satira in esametri viene coltivata da Persio che, ponendosi dichiaratamente nel solco di Lucilio e di Orazio, elabora una sua poesia aspra e originale.  Egli attinge i suoi contenuti al patrimonio di temi e luoghi comuni diatribici, ossia alla tradizione di quei discorsi di propaganda tenuti in piazza dai filosofi cinici, violentemente anticonformisti e provocatori, che interpellavano il pubblico con battute aggressive e taglienti, scagliandosi contro i vizi, i pregiudizi, le passioni e ricorrendo ad un linguaggio realisticamente crudo e triviale. Il suo Libro delle Satire ha un carattere quasi pedagogico, e l'autore si investe di un ruolo ammonitore, caratterizzato da un'accentuata intonazione moralistica di ispirazione stoica.

A livello formale l'utilizzo di immagini ed associazioni verbali difficili e acute, con frequenti ellissi dei nessi logici, fa sì che la lingua quotidiana di cui l'autore si serve, appare deformata in uno stile personalissimo e talora oscuro.



La satira menippea: Seneca e Petronio

Nel campo della satira menippea abbiamo invece due opere interessanti e per certi versi singolari.
Seneca si serve, infatti, della commistione di prosa e poesia tipica di questa forma per sfogare il suo odio per il defunto Claudio, dando vita nell'Apokolokyntosis (che in greco significa "deificazione di una zucca, di uno zuccone"), a un libello che presenta la parodia del processo di deificazione dell'imperatore. La composizione, nota anche come Ludus de morte Claudii, conserva della satira menippea il carattere prosimetrico, ma non il tono di ridente canzonatura e di satira sociale, essendo animato da uno spirito caustico ed aggressivo, che si avvicina piuttosto alla satira di Lucilio e a quella di Giovenale.           
Della stessa mescolanza di prosa e di versi si serve invece Petronio per creare, nel Satyricon, una vasta narrazione in cui l'autore trasfonde in termini antitetici le tematiche tipiche del romanzo greco. Il titolo stesso dell'opera vuole alludere, da un lato al carattere licenzioso del racconto e, dall'altro, al genere latino della satura (nell'età imperiale la grafia era anche satyra o satira). Oltre alla forma prosimetrica il romanzo deriva dalla satira menippea anche la critica verso la società contemporanea e il forte realismo, efficacemente espresso dalla varietà dei registri linguistici. Il realismo petroniano non va tuttavia inteso in senso moderno, ossia come un'analisi criticamente fondata della società neroniana, poiché l'arte antica prevedeva, sulla base della regola della separazione degli stili, che la vita degli umili e le situazioni "basse" potessero essere rappresentate solo in modi caricaturali e grotteschi, nelle forme appunto del realismo comico. Allo stesso tempo, quello petroniano è anche un "realismo del distacco", nel senso che l'autore, a differenza della tradizionale satira latina, dove il realismo si sofferma su tipi sociali ben precisi su cui si costruisce un commento morale continuo, invece di imboccare la via dell'invettiva, sceglie di porsi nei confronti del mondo rappresentato in un atteggiamento imparziale, e di divertita ironia, non offrendo ai suoi lettori nessuno strumento di giudizio; il romanzo esprime dunque una vocazione satirica "incompleta", mentre è interamente dominato da una vocazione alla parodia.

E' appunto in nome di questo intento realistico che Petronio apre le pagine della sua narrazione al mondo delle classi emergenti, dei liberti arricchitisi a dismisura durante il regno di Claudio, specie nella sequenza più nota dell'opera, ossia la Cena Trimalchionis, in cui si descrive il pantagruelico banchetto che, tra trovate illusionistiche e un lusso sfarzosamente ostentato, il rozzo ma ricchissimo liberto Trimalchione offre ai suoi ospiti. In questo episodio, Petronio rappresenta così un intero mondo, raffigurato "dall'interno", attraverso una serie di monologhi e dialoghi, nei suoi valori e nelle sue parole. In questo mondo, i valori tradizionali sono totalmente sovvertiti. A dominare su tutto è la celebrazione del denaro e della ricchezza, del cibo e del sesso, opposta a quella nobiltà di nascita che ai liberti è negata, ma che resta sempre meta di ambizioni inappagate, accanto alla quale si affaccia spesso il motivo della morte, ossessivamente presente nei discorsi dei liberti.

Il Satyricon dunque, nella forma di una narrazione cinica e amorale, presenta in realtà una profonda ambiguità, rivelando a tratti un senso amaro della realtà del proprio tempo, e una presentazione della materia che si fa a tratti denuncia implicita, e perciò più efficace.

Giovenale

Con Giovenale, sotto Traiano e Adriano, la satira ha il suo ultimo grande rappresentante. Anch'egli si pone dichiaratamente sulla linea che discende da Lucilio, ma a differenza dei suoi predecessori Orazio e Persio, in cui la riflessione e l'argomentazione prevalgono sulla foga e sull'aggressività, fa dell'indignazione il motivo propulsore della sua opera. Egli dunque si avvicina ad un combattivo ed anche violento moralismo, e le sue satire (soprattutto le prime sette), sono un attacco spietato contro la corruzione del presente, guardando come punto di riferimento ai valori di un passato ideale. In questi componimenti il poeta non propone nulla di costruttivo, ma si preoccupa soltanto di demolire con impeto il vizio che lo circonda.  La prima satira, che rappresenta il suo manifesto programmatico, si apre con un rabbioso attacco contro la letteratura dei suoi tempi, imbevuta di mitologia e dedita al puro intrattenimento, rimproverando ai racconti mitologici il fatto di essere inverosimili e troppo lontani dalla vita reale. Secondo Giovenale basta osservare la vita del proprio tempo, per trovare avvenimenti straordinari e inverosimili, che non ha nulla da invidiare agli orrori della mitologia. Nella società da lui descritta, dove il vizio non ha alcun limite, ogni cosa appare stravolta, come in una sorta di mondo rovesciato. Ed è proprio la scoperta di questo rovesciamento che provoca l'indignatio del poeta: non ci può più essere il sorriso che caratterizzava la satira di Orazio e neppure il desiderio, proprio di Persio, di educare o di correggere i comportamenti umani mettendone in luce i difetti, ma vi è posto solo per la denuncia e per il rifiuto di ogni compromesso. Questo sdegno sincero si trasforma in un'ira sempre più violenta, che il poeta cerca di trasmettere ai suoi lettori, concentrandosi in maniera quasi ossessiva solo su alcuni temi, che ritiene fondamentali. In primo luogo la condanna dell'eccessiva ricchezza e del denaro, ritenuti fonte di ogni corruzione; il disprezzo per gli stranieri, gli Orientali in particolare, che arriva a sfociare nella xenofobia e nel razzismo; la requisitoria contro le donne, che avevano conquistato una maggiore libertà e autonomia, comportando un'inevitabile rottura con i modelli tradizionali del comportamento femminile. L'unico rimedio per risanare una società tanto degenerata è identificato da Giovenale in un generico e nostalgico richiamo ai valori di un passato fortemente idealizzato. Parallelamente alla sua maggior violenza, la satira di Giovenale presenta un innalzamento del tono e dello stile, che si stacca dal livello medio voluto da Orazio, per avvicinarsi all'elevatezza dei generi alti; è indubbia comunque l'abilità dell'autore nel porre in risalto situazioni degradanti e paradossali, conferendo loro, grazie al tono aulico, una tragica enfasi.

Cenni sulla continuazione del genere

Se Giovenale è l'ultimo grande poeta satirico, il genere non cessò tuttavia di essere coltivato: ancora nel IV e V secolo abbiamo notizie di satire scritte da Tetradio e da Lucillo.

L'interesse per questo tipo di poesia travalica del resto i limiti del tardo antico per continuare nel Medioevo e nell'età moderna. Basta ricordare le satire di Ludovico Ariosto e di Vittorio Alfieri, ad esempio, che attestano il persistere, attraverso i secoli di una tradizione poetica direttamente collegata ai classici latini. Accanto a questa specifica forma letteraria è inoltre possibile cogliere l'affermarsi di quello che potrebbe chiamarsi un atteggiamento satirico e che spesso viene definito senz'altro satira in senso lato. Si tratta di un piglio mordace, con cui si biasimano persone, fatti ed atteggiamenti mettendoli in ridicolo; esso si può manifestare in qualsiasi attività artistica.

Tale atteggiamento o modo satirico, pur non essendo collegato direttamente con il genere letterario classico, è erede dello spirito che animò taluni degli scrittori latini, e particolarmente Giovenale.








Lottavano così come si gioca
i cuccioli del maggio era normale
loro avevano il tempo anche per la galera
ad aspettarli fuori rimaneva
la stessa rabbia, la stessa primavera"

(F. De Andrè, Introduzione, 1973)

L'opera fornisce una lettura del Sessantotto e delle origini del terrorismo seguendo la parabola di un impiegato trentenne che, dopo aver mancato l'appuntamento con la grande contestazione per paura o per pigrizia, decide di recuperare il tempo perduto inseguendo un progetto più individualista: combattere da solo i nemici di  classe, abbracciando la "filosofia" del tritolo. Ma l'attentato dinamitardo al parlamento da lui progettato fallisce goffamente e l'impiegato, divenuto ormai un mostro da prima pagina, si ritrova a imparare dal carcere il senso dell'azione collettiva, nel rapporto con gli altri carcerati.



"Gli adulti non comprendono soprattutto la nobilissima ansia di tradurre in pratica i grandi principi della libertà, dell'uguaglianza e della giustizia, che la nostra generazione, quella dei nati dopo la guerra, ha respirato, mangiato e bevuto da quando è venuta al mondo. Sono principi nei quali crediamo e dunque vogliamo vederli realizzati. Il mondo delle persone adulte non possiede nulla da opporre all'ondata di energia giovanile, nutrita di alti ideali; non ha alcuna risposta, se non quella repressiva.[.]"

(dalle parole di Marta Bonecchi, una sessantottina)


"Anche se il nostro maggio, ha fatto a meno del vostro coraggio
se la paura di guardare, vi ha fatto chinare il mento
se il fuoco ha risparmiato, le vostre Millecento
anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti."

(F. De Andrè, Canzone del Maggio, 1973)

Maggio 1968, Parigi. Nella notte tra il venerdì 10 e il sabato 11 maggio nelle strade del quartiere latino compaiono, per la prima volta dalla fine della guerra, delle barricate; innalzate dagli studenti della Sorbona per protesta contro la chiusura dell'università avvenuta una settimana prima (il 3 maggio) e l'arresto di alcuni loro colleghi, manifestazione di una volontà di sfida frontale e di forme di protesta che infrangevano clamorosamente le modalità della politica istituzionale, oltre che della determinazione dei manifestanti nel sostenere le proprie rivendicazioni, cioè la riapertura della Sorbona, l'immediata scarcerazione degli studenti arrestati e l'abbandono del quartiere latino da parte della polizia.

Le reazioni delle forze dell'ordine nei confronti dei barricadieri furono fortemente repressive, e gli eventi di quella notte si svolsero in un contesto decisamente caotico e incoerente. Le trattative in corso tra il rettore dell'università e una delegazione di docenti e studenti vennero bruscamente interrotte all'1.50 dell'11 maggio. Alle 2.12 le forze dell'ordine ricevettero l'ordine di intervenire e di procedere alla repressione di quella che venne definita una "sommossa". Il bilancio degli scontri di quella notte fu particolarmente pesante: 367 feriti gravi, 460 arresti, 188 auto date alle fiamme.

Ciò che rappresentò indubbiamente l'elemento di maggior sorpresa e novità fu l'imponente mobilitazione operaia a partire dal giorno successivo alle barricate. In misura di ora in ora crescente i lavoratori delle principali industrie francesi si mobilitarono in solidarietà con il movimento studentesco in uno sciopero generale contro il governo. Per la quantità di adesioni ottenute esso non solo risultava il più imponente sciopero della storia nazionale, ma gettava il paese in uno stato di paralisi generale. Era così iniziato il Joli Mai, uno degli eventi più marcanti della storia francese del secondo dopoguerra.




Nella primavera 1968 i centri urbani delle società industriali erano teatro di un importante movimento di protesta sociale. Mentre in Europa si innalzavano le barricate e le strade dovevano fare spazio a cortei, manifestazioni e scontri con le forze dell'ordine, negli USA le rivolte si estendevano dalle università ai ghetti e si sparavano colpi mortali. Le università furono gli epicentri fondamentali del movimento, ma a questo si aggiungevano, a seconda dei contesti, le fabbriche, i quartieri, i ghetti, i teatri, certi settori della stampa, della radio, della televisione. Di fronte ad un simile scenario è inevitabile interrogarsi sulle ragioni e sulle circostanze da cui ebbe origine.







L'ordine politico delle società sviluppate dell'Occidente e anche quello di alcuni paesi "satellite" dell'URSS venne scosso in modo simultaneo, negli anni 1967-69, da un movimento largamente spontaneo che aveva per protagonisti soprattutto i giovani, in particolare gli studenti, e nacque proprio all'interno delle università dove le tensioni che attraversavano il mondo accademico sia al suo interno, sia in rapporto al contesto sociale in cui si collocarono, risultarono immediatamente troppo evidenti. La rivolta giovanile si manifestò soprattutto sotto forma di ribellione violentemente critica nei confronti dell'ordine dominante.

In generale, si può sostenere che in contesti sociali dinamici, in cui lo sviluppo economico accresce le chance di mobilità, i sistemi educativi assumono tendenzialmente un ruolo di centrale importanza dato che costituiscono lo strumento primario nell'acquisizione dei requisiti di legittimazione di posizioni social

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