Commento
Autore: Leonardo
Sciascia
Libro: Il giorno della
civetta
L'autore de "il giorno della civetta", Leonardo Sciascia, fu un
importante scrittore appartenente al neorealismo, movimento letterario che
tendeva a rappresentare la realtà, soprattutto del meridione, in modo
realistico, con i suoi problemi e le sue ingiustizie. Questo romanzo si svolge
negli anni del secondo dopoguerra, prevalentemente in Sicilia, dove per
l'omicidio dell'imprenditore Salvatore Colasberna viene aperta un'indagine
affidata al capitano dei carabinieri Bellodi. Egli, proveniente da Parma, si
trova a combattere per lunghi anni contro la mafia, associazione di criminalità
organizzata che regna indisturbata in Sicilia, tenendo anche sotto controllo le
forze dell'ordine grazie ai politici legati ad essa. Infatti si apre un intrico
di strade, deviazioni, ritorsioni che fanno intuire che dietro all'accaduto si
nasconde una realtà fatta di intrighi politici e giochi di potere che
insabbiano le indagini. Sciascia perciò inserisce nell'intreccio conversazioni
tra persone che non si nominano perché legate alla mafia, che creano una più
difficile comprensione della vicenda, ma aumentano il climax. Tuttavia il
capitano è un uomo con saldi principi morali, di giustizia e di uguaglianza e
così spenderà tutte le sue energie per trovare le prove che avrebbero portato
all'arresto dei colpevoli. Bellodi tramite trabocchetti, astuzia ed esperienza
riesce ad arrivare ai colpevoli e alla dinamica esatta dell'accaduto, ma gli
mancano soltanto le prove per incastrarli. Egli interroga persone informate sui
fatti, o addirittura coinvolte, con pacatezza e sicurezza così da incutere
timore a questi, abituati all'aggressività degli "sbirri" ("Coloro che avevano preceduto in
quell'ufficio il capitano Bellodi usavano rivolgere al confidente domande che,
in esplicita premessa o nella minaccia del tono, facevano apparire ai suoi
occhi il confino di polizia o la denuncia per l'esercizio d'usura: e ciò dava a
Parrinieddu, invece che paura, una certa sicurezza; [.] ma con uno che ti parla
con gentilezza, con confidenza, le cose si mettono in un altro verso"). Un
altro personaggio di rilievo nel romanzo è il confidente Parrinieddu, un
pregiudicato che si sentiva autorizzato a svolgere varie attività illecite in
cambio dell'aiuto fornito ai carabinieri per mezzo di soffiate. Spesso però le
sue spiate erano false perché, appartenendo a una delle due cosche del paese,
doveva nascondere le malefatte della sua. Ma "il tono di amichevole confidenza" usato da Bellodi nel suo interrogatorio
lo impaurisce e lo spinge a nominare varie persone incriminate, tra cui una,
Pizzuco, è realmente coinvolta. La vera soffiata lo fa sentire in pericolo
poiché può subire una ritorsione da parte della sua cosca: infatti, benché i
suoi compagni non abbiano mai saputo della confessione, notano un suo strano
comportamento ("il suo andare inquieto,
come di chi si sente un mastino alle calcagna"/ ".tre giorni di inquietudine, di passi falsi di visibili trasalimenti e
sgomenti") e lo uccidono. Fortunatamente prima di morire lascia scritto in
un biglietto anche il nome del mandante dell'omicidio, il capo mafioso don
Mariano Arena. Una delle scene più significative della storia è
l'interrogatorio di Arena, dove sono messe a confronto le due persone più importanti
de romanzo: una rappresenta l'Italia civile, fondata sulla giustizia e sulla
libertà, l'altra l'Italia fondata sulla prepotenza e sul privilegio che ha
saputo legare importanti rapporti col potere dello stato moderno. Egli è un
losco personaggio che mostra un atteggiamento sprezzante di superiorità, poiché
ha la certezza che niente e nessuno potrà punire le sue azioni illegali. Anche
Bellodi è consapevole del probabile corso e chiusura delle indagini che andrà
delineandosi ("E' inutile tentare di
incastrare nel penale un uomo come costui"), e, infatti, vorrebbe provare
la strade civile, "sorprendendo la gente
nel covo dell'inadempienza fiscale". Don Arena rappresenta anche una mafia
attaccata al codice d'onore, da qui la sua suddivisione delle persone: "gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i
pigliainculo, e i quaquaraquà". Nonostante la sua ostilità, definisce il
capitano un "uomo" perché mostra un atteggiamento serioso e duro, ma allo
stesso tempo rispettoso ("Da questo posto
dove lei si trova è facile mettere il piede sulla faccia di un uomo: e lei
invece ha rispetto").
Bellodi alla fine della storia va a Bologna per testimoniare in un
processo e non resiste al fermarsi a Parma, nella sua città, per una riposante
vacanza. Il brigadiere gli invia una lettera dove vi è riportato il risultato dell'inchiesta:
tutto il lavoro del capitano è stato sfasciato grazie a
ottimi alibi e false testimonianze e il caso è stato risolto come omicidio
passionale. Sciascia così chiude questo romanzo giallo in piena regola a favore
dei criminali, facendo vincere i potenti e il denaro, ma viene comunque
lasciata una traccia di speranza nella lotta contro la mafia con una frase del
capitano: "Mi ci romperò la testa".