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LA PESTE-le interpretazioni
Anche se la peste in Europa sembra non operare più da secoli, la parola 'peste' è rimasta ben viva nella nostra lingua in espressioni come 'peste ti colga' o 'quel ragazzo è una peste' o 'dire peste e corna di qualcuno' , o negli aggettivi derivati 'pestifero' e 'pestilenziale'La peste da sempre ha fatto irruzione nella vita degli uomini, portando loro dolore e morte. E' difficile accettare un dolore troppo grande; più facile se gli si attribuisce un senso. Questo è il perno di ogni lettura sacra. Nella BIBBIA la peste non viene per nulla, ma per insegnare; infatti viene interpretata come risultato di una colpa, vendetta o monito superiore. La sua comparsa non può essere imprevista, nè casuale: è annunciata con solennità dalla voce stessa di DIO, espressione diretta della sua volontà. Al contrario di altri testi, la BIBBIA è completamente indifferente alla narrazione vera e propria della malattia. Pone, invece, grande attenzione alle cause di cui essa è proseguimento ed effetto naturale.
La peste è nota da almeno 3000 anni. In Grecia sono state registrate epidemie fin dal 224 a.C. Un' epidemia di peste entrò ad Atene, sconvolgendola e decimandone la popolazione, proprio nel 430 a.C., un anno dopo l' inizio della Guerra del Peloponneso, colpendo una buona parte della popolazione e lo stesso Pericle, l' uomo politico che aveva voluto la guerra e l' egemonia ateniese nel Mar Egeo. Le notizie che abbiamo su questo fatto sono riportate in Tucidide e Lucrezio. Nel Medioevo la malattia si è presentata in enormi pandemie che hanno distrutto le popolazioni di intere città, come la cosiddetta 'peste nera'. In seguito le epidemie si sono verificate in modo più sporadico e l'ultima, risalente al 1894, si è sviluppata in Cina, da dove si è diffusa in Africa, nelle isole del Pacifico, in Australia e nelle Americhe, raggiungendo San Francisco nel 1900. La peste è tuttora presente in Asia, Africa, Sudamerica e Australia (dove esistono i cosiddetti serbatoi della peste), ma compare raramente in Europa o in Nordamerica. Nel 1950 l'Organizzazione mondiale della sanità ha dato inizio in tutto il mondo a programmi sanitari per il controllo della peste. Oggi si parla frequentemente dell' Aids come peste del duemila(AIDS: malattia causata da un retrovirus umano, l'HIV, che colpisce il sistema immunitario umano rendendolo sempre più debole. La morte avviene per altre malattie come la tubercolosi o la polmonite. Può stare in incubazione per 10 anni).
Si è meritata più di altre la definizione di 'peste del duemila' per i seguenti motivi: 1) il panico generato dalla notevole diffusione, del resto facilmente evitabile con poche e semplici precauzioni;
2) il carattere di punizione divina o di condanna morale strettamente collegato da alcuni alla sua diffusione, come era avvenuto per la 'peste nera';
3) l' isolamento e l' emarginazione dei colpiti dalla malattia, cosa del resto assolutamente immotivata da un punto di vista scientifico e che ha portato solo alla creazione di un grave problema sociale e alla dimenticanza del fatto che gli ammalati sono persone che hanno anzi maggiormente bisogno di conforto e di affetto
Oltre all' AIDS esistono malattie che per le loro caratteristiche possono essere considerate affini alla peste e con casi recenti:
Virus Ebola: febbre emorragica caratterizzata de febbre e diarrea con sangue. Nel giro di pochi giorni il sangue esce da tutti i pori e da tutti gli interstizi. Si formano grumi che causano necrosi nel cervello, nei reni, nel fegato e nei polmoni. Non si trasmette per via aerea tranne nel caso dell'Ebola Reston, forse non letale agli uomini.
Virus Marburg: affine all'Ebola, predilige gli occhi e i testicoli, ha un tasso di morte del 25% ed è trasmissibile per contatto con il caratteristico vomito nero. Di entrambi non si conosce il vettore.
Encefalopatie spongiformi: gruppo di malattie del cervello che causano la morte cerebrale. Tra queste si distinguono il Kuru, il morbo di Creutzfeldt-Jakob e il morbo delle mucca pazza, tutti letali per l'uomo.
Nota: attualmente i centri più all'avanguardia per la cura delle malattie più letali sono il C.D.C. di Atlanta, fondato nel 1942, e l'USAMRIID di Fort Detrick, nel Maryland, che però è un organo militare statunitense.
La peste nere: E' una epidemia di peste bubbonica che, originatasi nelle steppe dell'Asia centrale e da lì propagatasi in Cina e in India, dilagò in Europa dal 1347 con effetti devastanti. Diffusione della peste nera I cronisti asiatici dell'epoca indicarono, come causa dell'epidemia, disastri naturali: furono certamente mercanti occidentali che portarono il morbo della malattia, infettando le rotte abitualmente battute nel Medio Oriente e nel Mediterraneo. Nel 1347 colpì Costantinopoli; subito dopo a Messina si ebbe la prima manifestazione dell'epidemia in Europa, che nell'estate del 1348 dilagò in Italia e in Francia, e da lì toccò le coste meridionali dell'Inghilterra, e il resto d'Europa, dove imperversò per oltre tre anni. La violenza dell'epidemia lasciò sgomenti gli osservatori contemporanei, testimoni spesso della totale scomparsa della popolazione di un luogo.
Mai, prima o dopo d'allora, una calamità fece tante vittime umane: dello stupore angosciato dei superstiti resta testimonianza in molti scritti, a cominciare dal Decamerone di Giovanni Boccaccio, secondo il quale Firenze era tutta un sepolcro. Molti, come Francesco Petrarca, fuggirono questi orrori rifugiandosi in luoghi isolati e salubri. Le stime di mortalità del 90%, comuni tra i contemporanei, sono state tuttavia ridimensionate dalla ricerca moderna, e attribuite alla carenza di indagini affidabili; si è potuto in ogni caso verificare che nelle zone più colpite perì oltre il 50% della popolazione.
Dopo la tragica estate del 1348 la popolazione fiorentina si era presumibilmente ridotta da 90.000 a meno di 45.000 abitanti, mentre a Siena su 42.000 cittadini ne erano sopravvissuti non più di 15.000.Le reazioni alla peste nera La gente dell'epoca era impreparata a reagire alla malattia; poiché si ignoravano le ragioni scientifiche del contagio, si speculava molto sulle cause dello scoppio dell'epidemia, individuate da alcuni in un inquinamento atmosferico agente attraverso un invisibile quanto letale miasma proveniente dal sottosuolo, liberato da terremoti di cui si aveva avuto notizia. Le scarse condizioni igieniche - la presenza di scolmatori e immondezzai a cielo aperto era normale nelle città europee del Trecento - favorivano la diffusione del contagio, soprattutto nelle aree urbane, dove i governi adottarono sistemi per far fronte alla malattia, pur ignorando le cause reali. Oltre a incoraggiare l'adozione di misure d'igiene personale particolarmente accurate, posero restrizioni ai movimenti di persone e merci, prescrivendo poi l'isolamento dei malati o il loro trasferimento nei lazzaretti (locale o gruppo di locali dove veniva effettuato l'isolamento di persone sospettate di affezioni contagiose; nel lazzaretto le persone erano tenute sotto osservazione e in condizione di quarantena), l'immediato seppellimento delle vittime in fosse comuni cosparse di calce appositamente preparate fuori dalle mura e la distruzione col fuoco dei loro vestiti. Poiché si pensava che l'aria infetta fosse contagiosa, si diffusero rimedi empirici come il bruciare erbe aromatiche o indossare mazzolini di fiori profumati (similmente nel corso di epidemie successive si credette che il fumo del tabacco fosse un rimedio efficace). Tra gli effetti dell'epidemia, importanti furono quelli che investirono i modelli tradizionali di comportamento. In tutta Europa la Chiesa e i moralisti in genere erano convinti che la peste nera fosse una punizione divina per i peccati compiuti dall'umanità, e per questo predicavano la rinascita morale della società, condannando gli eccessi nel mangiare e nel bere, i comportamenti sessuali immorali, l'eccessivo lusso nell'abbigliamento; in questo contesto non meraviglia la popolarità acquisita dal movimento della Congregazione dei flagellanti. Si sviluppò tuttavia anche una corrente di pensiero opposta, propria di quanti ritenevano che se la malattia colpiva indiscriminatamente buoni e cattivi, tanto valeva vivere nel modo più intenso e sfrenato possibile.
Per quanti cercavano spiegazioni facili alla propagazione della malattia, colpevoli erano gli emarginati della società: in alcune zone vagabondi e mendicanti furono accusati di contaminare la popolazione residente; in altre gli 'untori' vennero individuati negli ebrei, fatti così oggetto della furia popolare. È probabile che appena prima dello scoppio dell'epidemia, la popolazione medievale europea avesse raggiunto il più elevato livello demografico; gli effetti della peste dovettero dunque essere immediatamente evidenti: fu improvvisamente eliminata l'eccedenza di forza lavoro agricola, alcuni villaggi si spopolarono e gradualmente sparirono, molte città persero la loro importanza, mentre crebbe il numero dei terreni rimasti incolti.
Anche le razzie di soldatesche sbandate o di ventura favorirono una vasta ondata migratoria dalle campagne verso le città. Se a Firenze, passata l'epidemia, la popolazione era stimata fra i 25.000 e i 30.000 abitanti, già nel 1351 era salita a 45.000 unità per toccare le 70.000 persone trent'anni dopo. Nelle decadi che seguirono i salari aumentarono e le rendite dei proprietari terrieri scesero, segno della difficoltà di trovare mano d'opera e tenutari; in certo senso i vivi beneficiarono dunque della moltitudine di morti sofferta. La presenza della peste in Europa rimase endemica nei tre secoli successivi, per poi scomparire gradualmente, da ultimo in Inghilterra, dopo la 'grande peste' del 1664-1666, per cause che rimangono senza spiegazione.
La peste di Boccaccio
Nel 1348 una gravissima peste colpì la città di Firenze. Di questo abbiamo molte informazioni grazie soprattutto al romanzo 'Decameron' di Giovanni Boccaccio : il manoscritto infatti , oltre a descrivere scrupolosamente i fatti realmente accaduti, racconta di sette giovani donne 'savie ciascuna e di sangue nobile e di bella forma e ornate di costumi e di leggiadra onestà', e tre 'discreti e valorosi' giovani che decidono, dopo aver valutato la situazione della città, di rifugiarsi in una delle loro numerose ville di campagna, dove passeranno il loro tempo raccontandosi storie. Le novelle vengono narrate non dalla voce dell' autore, ma da quella dei personaggi; l'autore in persona invece coordina e collega le novelle fra loro attraverso la cornice, cioè la descrizione delle giornate trascorse in villa dai personaggi novellatori.
L' introduzione del 'Decameron' è tutta incentrata sulla diffusione del morbo in Firenze e sulla degradazione fisica e morale ad esso conseguente.
Dice Boccaccio 'nel vero, se io potuto avessi onestamente per altra parte menarvi l'avria volentier fatto' rivelando così che nel suo romanzo la peste è solamente un polo negativo che serve a dar risalto e valore al polo positivo che seguirà.
La peste di Manzoni _i promessi sposi
Nel romanzo "I promessi sposi" al tema della peste è consegnato l'ultimo grande affresco del libro. Qui convergono tutte le principali tematiche del romanzo,la grande storia e le sue irrisolte tensioni( la carestia,la guerra), così come i temi morali cari alla riflessione di Manzoni: il dilemma tra fare torto o patirlo che si propone a Renzo ingiustamente scambiato per untore; oppure la vita che si apre alla speranza anche nella desolazione. E poi, nei capitoli della peste, a contatto con un male per così dire assoluto,la sonda del narratore può scavare a profondità,riuscendo a isolare come emblematiche alcune condizioni particolari del singolo individuo, nella sua natura che rimane impenetrabile alla grazia divina (Don Rodrigo),oppure nella sua disponibilità a lasciarsi mutare dal Dio che passa (Renzo che perdona) , nella virtù che rimane incontaminata pur nella generale corruzione (la madre di Cecilia) e che sa testimoniare il primato dello spirituale (Lucia) immolandosi per la vita degli altri( fra Cristoforo).
I Promessi Sposi sono un romanzo storico, cioè un componimento in cui vicende e avvenimenti storici si mescolano a figure e personaggi nati dalla fertile invenzione dello scrittore.Qui Manzoni immagina di aver trovato la sua storia in un manoscritto anonimo del Seicento.
La trama del romanzo si svolge in Lombardia,sotto il governo spagnolo,tra il 1628 e il 1630. Nella prima parte si sviluppa e progredisce l'intreccio narrativo: in questa parte capeggia la storica sollevazione di Milano, avvenuta a causa della carestia, dove viene sottolineata l'incuria del malgoverno spagnolo: gli avvenimenti di questa prima parte concludono con il rapimento di Lucia dal monastero di Monza per opera dell'Innominato.
Nella seconda parte ogni tema o motivo trova il suo naturale e provvidenziale scioglimento.Qui gli avvenimenti più importanti, introdotti dalla conversione dell'Innominato,sono la calata in Italia dell'esercito imperiale e, col passaggio dei Lanzichenecchi, il diffondersi della terribile pestilenza,con cui l'azione del romanzo viene a volgere al suo fine, con la morte di Don Rodrigo e il sospirato matrimonio di Renzo e Lucia, che iniziano cosi una vita serena e felice, resa più lieta dalle passate sofferenze.
LA PESTE DI CAMUS
Si può rappresentare nello stesso modo
un imprigionamento per mezzo di un altro
come si può descrivere una qualsiasi
cosa che esiste realmente
per mezzo di un'altra che non esiste affatto"
Daniel Defoe
Nella 'Peste' Albert Camus affronta il grande problema dell'assurdo, cioè dell'impossibilità di trovare senso e giustificazione all'esistenza umana e al dolore che essa contiene. L'antichissima domanda sul significato del male (inconciliabile con la presenza di un Dio giusto e buono) viene riformulata in termini laici e si risolve nella constatazione lucida e senza speranza dell'ineluttabilità del male e della sua insensata gratuità.
L'unica salvezza dalla disperazione può essere nella solidarietà fra gli uomini; l'unica rivolta possibile, il rifiuto di portare altro male nel mondo. Gran parte del romanzo è dedicata alle conversazioni tra i personaggi, che si confrontano incessantemente, senza risposta, con la presenza del dolore: ogni giorno essi vedono agonia e morte, ma nessuno, nemmeno il sacerdote Paneloux (uno dei personaggi principali), riesce a trovare una giustificazione accettabile alla ragione umana. L'unico sollievo all'angoscia è l'azione: tutti infatti entrano nelle formazioni sanitarie volute da Tarrou. il romanzo si chiude sotto il segno della testarda necessità di lottare da parte di quegli uomini che si rifiutano di ammettere i flagelli. Quando il romanzo uscì fu subito chiaro ai lettori che la peste era una metafora del nazismo: la lettura in chiave storica, autorizzata da Camus stesso, era confrontata dalle numerosi allusioni alla oppressione della dittatura e alla resistenza. La peste è metafora del male: dell'assurdità del dolore inflitto agli uomini, dell'insensatezza del loro esistere.
L'AUTORE
ALBERT CAMUS: Non voglio essere un genio: ho già problemi a sufficienza cercando di essere solo un uomo.
Albert Camus (1913-1960) è stato un importante esponente dell'esistenzialismo francese. Nato a Mondovi (Algeria) il 7 novembre 1913, sostenitore della resistenza anti-nazista, nell'immediato dopoguerra ha avuto un intenso vincolo di amicizia con Sartre, poi interrotto per ragioni politiche: se infatti Sartre era un convinto filo-comunista, Camus, invece, si attestò sulla linea dell'anti-comunismo.
Camus, ancor prima che filosofo, è stato scrittore, con una vocazione artistico-letteraria forse più genuina e intensa di quella di Sartre (entrambi, comunque, sono stati insigniti del premio Nobel per la letteratura). I suoi testi narrativi contengono però molti motivi filosoficamente rilevanti: dei testi narrativi meritano di essere ricordati Lo straniero (1942), La peste (1947), La caduta (1956), L'esilio e il regno (1957), mentre di quelli teatrali è doveroso citare Il malinteso (1944), Caligola (1944), Lo stato d'assedio (1948), I giusti (1950). In Lo straniero , considerato unanimemente uno dei capolavori della letteratura novecentesca, Camus dà voce ad alcuni dei temi più caratteristici dell'esistenzialismo nella sua versione tragica e 'negativa'. Il breve romanzo esprime in modo difficilmente dimenticabile l'incolmabile distanza, anzi (come suggerisce il titolo) la vera e propria 'estraneità' che separa l'uomo dal mondo. La realtà per Camus non ha alcun senso; gli eventi accadono, avvengono senza che il pensiero possa coglierne motivi e significati plausibili: ecco allora che l'uomo, con il suo pensiero, si trova ad essere straniero nel mondo.
Però anche gli atti e i comportamenti umani non riescono a esibire una razionalità in grado di giustificarli, o almeno di giustificarli. Come accade al protagonista de Lo straniero , si può anche uccidere senza saper dire perché lo si è fatto. Protagonista del libro è Meursault, un impiegato di Algeri, che vive in uno stato di atonia, di totale indifferenza e di estraneità rispetto alla vita. Giuntagli la notizia della morte della madre, si reca senza commozione ai funerali, poi fa all'amore con una ragazza, infine passa la domenica osservando con inerte distacco ciò che gli si svolge attorno. Dopo una lite con due arabi incontrati per caso e un nuovo scontro con loro, minacciato con il coltello, accecato dal sole, ne uccide uno con un colpo di pistola, senza sapere ciò che sta facendo. Poi, senza ragione, spara altre quattro volte sul cadavere. Processato, Meursault viene condannato a morte, senza reazione alcuna da parte sua: si limita ad assistere passivamente al proprio processo. In attesa della morte, ha uno scontro con il cappellano, al quale manifesta la propria totale estraneità ai significati religiosi dell'esistenza: gli resta poco tempo da vivere e non vuole sprecarlo con Dio. Poi si acquieta accettando serenamente il proprio assurdo destino. Nel saggio Il mito di Sisifo (1942), sottolineato significativamente Saggio sull'assurdo , Camus esprime in modo più diretto le sue posizioni teoriche. Il punto di partenza è costituito da un'analisi di quello che viene definito ' l'unico problema filosofico veramente serio ': il suicidio. Dice Camus: ' C'è un solo problema filosofico veramente serio: il suicidio. Giudicare se la vita vale o non vale la pena di essere vissuta significa rispondere alla questione fondamentale della filosofia. ' Esso rappresenta per lo scrittore francese una situazione limite dell'essere e dell'agire dell'uomo, che obbliga quest'ultimo a porsi domande radicali sul senso della vita e sul nostro atteggiamento dinanzi ad essa. La tesi di fondo di Camus è che gli argomenti etico-religiosi e sociali tradizionalmente invocati contro il suicidio non valgono. In effetti, la vita non ha valore intrinseco, e la realtà ' è senza ragione ' ; il tempo corrode l'individuo e le sue opere, e la morte è comunque l'esito che attende ogni creatura.
Impegnarsi in opere e iniziative pratiche ricorda davvero la vicenda di Sisifo, il mitico personaggio condannato dal destino a sospingere in cima ad un monte un macigno, che poi ogni volta ricade giù, obbligando Sisifo a ripetere inutilmente il suo sforzo. Come già era stato detto in Lo straniero , la dimensione costitutiva e più peculiare dell'esistenza umana è l'assurdità: l'assurdità nel duplice senso che le cose e gli eventi non hanno senso, e che gli atti umani sono sempre inadeguati sia rispetto alle possibilità e ai desideri, sia rispetto al contesto mondano entro il quale vengono compiuti. ' L'assurdo è un peccato senza Dio ', dice a tal proposito Camus, in modo molto eloquente, ribadendo l'assurdità della vita per cui ' tutto ciò che esalta la vita ne accresce, nello stesso tempo, l'assurdità '. E nonostante ciò che Camus afferma in Il mito di Sisifo , egli condanna il suicidio: esso gli appare (non diversamente dalla speranza religiosa) una sorta di evasione rispetto all'assurdo della vita.
La giusta risposta di fronte a tale assurdo è la non-rassegnazione, anzi la rivolta (uno dei concetti-chiave della filosofia di Camus). Contro l'insensatezza del mondo l'uomo può e deve avere il coraggio di reagire levando alta la sua voce, la sua protesta, la sua prospettiva donatrice di senso (sia pure di un senso non assoluto). Si tratterà, certo, di una testimonianza infondata, in quanto non può invocare ragioni e implicazioni oggettive a proprio sostegno. Ma questo, a ben guardare, non fa che aumentare il valore, la dignità della rivolta umana. Altri due testi (il romanzo La peste e la raccolta di saggi intitolata proprio L'uomo in rivolta, 1951) svilupperanno in più modi le tesi in qualche misura positive ( ' Nella profondità dell'inverno, ho imparato alla fine che dentro di me c'è un'estate invincibile ') affiorate nel Mito di Sisifo . Poiché la vita è assurda e priva di significato, essa appare come un'inutile fatica di Sisifo. Quando se ne prende coscienza, si può vivere solo come stranieri, estranei all'esistenza. Accade appunto questo al protagonista del romanzo Lo straniero ; L'uomo in rivolta , invece, esprime la necessità di rivolta contro l'insensatezza: solo ribellandosi, l'esistenza può acquistare un suo significato. La peste simboleggia invece i flagelli che colpiscono l'umanità (il riferimento è al nazismo): nell'assurdità dell'esistenza, non resta che la ribellione all'insensato di chi si impegna ricercando la solidarietà coi propri simili. In La peste Camus oltrepassa l'individualismo assoluto e senza blocchi che aveva ispirato Lo straniero e afferma la realtà di una dimensione ulteriore e diversa: la dimensione della socialità e della solidarietà umana.
LA PESTE_trama
La città di Orano è colpita da un'epidemia inesorabile e tremenda, preannunciata da una grande moria di topi. Isolata con un cordone sanitario dal resto del mondo, affamata, incapace di fermare la pestilenza, la città diventa il palcoscenico e il vetrino da esperimento per le passioni di un'umanità al limite tra disgregazione e solidarietà.
La fede religiosa, l'edonismo di chi non crede nelle astrazioni, ma neppure è capace di ' essere felice da solo ', il semplice sentimento del proprio dovere sono i protagonisti della vicenda; l'indifferenza, il panico, lo spirito burocratico e l'egoismo gretto gli alleati del mondo. Tra i personaggi principali il dottor Rieux, il medico che, al di fuori di ogni opzione politica o religiosa, trova nell' esercizio della sua professione la giustificazione del suo esistere. Si realizza nella lotta per strappare alla morte i suoi malati e si ribella contro l' assurdo della morte che non può accettare come espiazione, come gli suggerisce il gesuita Paneloux. Il gesuita stesso, sconvolto dalla crudeltà degli avvenimenti, a un certo punto metterà in dubbio la validità della massima 'sia fatta la tua volontà'. Tarrou, l' uomo che, dopo un passato ricco di esperienze, si ribella alla società costituita e, volontario dei servizi sanitari per combattere l' epidemia, ne muore quando questa è stata pressoché debellata.
Rambert, giornalista straniero per caso nella città, che cerca con ogni mezzo di andarsene, ma resta infine perché capisce che un uomo non può abbandonare altri uomini che soffrono. La lotta contro il male è l' argomento di questa cronaca, che alla fine il lettore apprende essere opera del dottor Rieux. La peste sarà vinta, ma sul male che essa rappresenta non ci possono essere vittorie definitive. Un dramma collettivo dunque (la peste si riveste di un evidente significato simbolico) spinge i protagonisti del romanzo a cogliere i valori connessi all'esistenza umana in quanto tale: ' vi sono negli uomini più cose da ammirare che da disprezzare '. E questi valori sono tanto più sostanziali e profondi quando si riferiscono all'essere umano come 'l'altro', come 'il prossimo': sollecitato da una situazione esterna avversa, l'uomo scopre di essere accomunato agli altri uomini dall'esistenza di sentimenti e aspirazioni simili- a cominciare dal desiderio di reagire alla disperazione e alla morte. Nell' Uomo in rivolta Camus approfondisce la figura teorica che gli era divenuta più cara: quella, appunto di rivolta. Se in Il mito di Sisifo il principio della rivolta era stato affermato in una prospettiva in qualche modo solipsistica (la rivolta vista come l'unico modo valido per rispondere e reagire alla questione del suicidio), ora lo stesso principio viene interpretato in chiave inter-individuale e sociale (se non addirittura politica). L'uomo si deve rivoltare per combattere il male nel mondo: l'ingiustizia, l'intolleranza, l'oppressione, la morte dell'uomo provocata dall'uomo, argomento questo particolarmente caro a Camus, visto che egli lo approfondì nel 1957 in Riflessioni sulla pena capitale , in cui conduceva una vera e propria campagna contro la pena di morte: ' Invece di uccidere e morire per diventare quello che non siamo, dovremo vivere e lasciare vivere per creare quello che realmente siamo '.
Nelle pagine camusiane la rivolta diviene a poco a poco il fondamento di un esistenzialismo positivo, di carattere marcatamente morale, e perfino il presupposto di una nuova interpretazione (non intellettualistica, non cartesiana) dell'essere umano: ' io mi rivolto, dunque noi siamo ', dice Camus riprendendo e stravolgendo il motto cartesiano del cogito ergo sum .
ROMANZI A CONFRONTO
Mentre nel Decameron la peste è solo una cornice che lega la trama
Appunti su: la peste metafora della vita, |
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