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LA METRICA
Metrica è la scienza che studia le modalità di formazione dei versi e le loro varie combinazioni. È quindi definibile anche come la struttura letteraria di un componimento poetico, che ne determina il ritmo e l'andamento generale: la critica letteraria, analizzando una parte significativa della produzione poetica di una certa cultura stabilisce dei canoni, delle categorie ricorrenti e significative, che classificano la composizione dei versi e delle strofe.
La metrica, nata nella cultura greca e poi latina, è divisibile in quantitativa e accentuativa:
- La metrica quantitativa è tipica della poesia classica: l'elemento determinante è la 'quantità', ovvero durata, delle sillabe stesse, e non il numero delle sillabe o la posizione dell'accento.
- La metrica accentuativa invece è tipica delle lingue moderne, si basa sull'accento ritmico, ed in particolare il verso italiano si fonda sul numero delle sillabe su cui cadono determinati accenti, che normalmente coincidono con l'accento tonico della parola.
Il verso tipico della poesia epica, e non solo, era l'esametro, e più precisamente l'esametro dattilico, composto di sei 'misure', dette piedi dattilici ( ), ognuna delle quali valeva due lunghe, ma poteva essere anche formata di una lunga e due brevi.
( )
Fra gli autori latini studiati nel corrente anno si servirono dell'esametro: Seneca in una piccola parte delle Tragedie, le quali vengono dette Coturnate perché riproducono la tradizione greca; Ovidio nel poema epico-mitologico Metamorfosi; Lucano nel poema epico Pharsalia, detto anche Bellum Civile, dove racconta gli anni che vanno dal passaggio del Rubiconde alla morte di Pompeo; Persio nelle sei Satire che scrisse; Giovenale, sempre nelle Satire; Lucrezio nel De Rerum Natura, opera anomala in quanto filosofica ma scritta in versi.
In unione
all'esametro molto antico è anche il pentametro, nome che gli deriva dal fatto
di essere la somma di due unità da
(ˉ ˇ ˇ ˉ ˇ ˇ || ˉ ˇ ˇ ˉ ˇ ˇ X)
Per quanto riguarda la metrica italiana, e quindi la sua storia, possiamo affermare che sorga nel momento in cui, attraverso l'innografia medievale, la ritmica entra a far parte della metrica ufficiale. Il primo tentativo di teorizzare tutti gli schemi di versificazione volgare era stato operato da Dante nel De vulgari eloquentia: il Duecento è il periodo, infatti, in cui si vengono formando i versi italiani che hanno mantenuto una continuità abbastanza uniforme nei loro tipi principali.
Le prime norme metriche e rimarie sono estremamente complicate, ricordiamo le rime al mezzo (la parola finale di un verso è in rima con una che sta al centro del verso successivo), le rime equivoche (due parole di sono uguale ma di significato diverso), le assonanze e le allitterazioni.
I metri sono quelli della canzone, che si serve dell'endecasillabo o del settenario, della ballata, che usa il settenario e del sonetto, di quattordici endecasillabi(due quartine e due terzine).
L'endecassilabo raggiunge nell'umanesimo un massimo livello di perfezione (accento sulla sesta, rima isolata, verso che tende ad avere un'unità compiuta).
Solo nel clima polemico del Cinquecento la metrica viene abbandonata per poi essere ripresa nel Seicento, caratterizzato da una vasta varietà di metri, su cui dominò, oltre all'endecasillabo, il settenario.
Nella seconda metà del settecento assume importanza la metrica di Foscolo. I suoi sonetti particolarmente musicali e impregnati di rime alternate e incrociate furono parecchi, ricordiamo "Alla sera", "In morte del fratello Giovanni" o ancora "A Zacinto", rispettivamente dedicati ad una riflessione sulla fine della giornata, al suicidio del fratello Giovanni Dionigi, ed alla sua isola natìa. Infine in endecasillabi sciolti è il Carme "Dei Sepolcri", che consta di 295 endecasillabi sciolti, dedicato a Ippolito Pindemonte con cui Foscolo aveva avuto una discussione sul valore della tomba.
Fra gli autori importanti vi è poi Manzoni, che nelle Odi e nell'Adelchi scrive versi in settenari.
Con Leopardi si assiste ad un ulteriore rinnovamento della metrica: le sue poesie sono sempre ricchissime di metri, in particolare tutti i Primi Idilli sono in endecasillabi sciolti, mentre i Canti non hanno no schema fisso, vedono l'alternarsi di endecasillabi sciolti, settenari e strofe libere.
Nate dal rinnovamento individualistico di Leopardi, presentano caratteri altrettanto individuali le composizioni di Pascoli e D'Annunzio che concludono la stagione poetica italiana dominata da metri tradizionali.
Nel Novecento, età caratterizzata da contraddizioni ideologiche e da un sovrapporsi di culture, l'espressione poetica, e quindi la metrica, è mutata enormemente. La ricerca della lirica pura era l'antitesi della poesia ottocentesca, e venivano perciò ripudiati anche i moduli convenzionali con cui essa era espressa: sonetti, odi, rime sono stati abbandonati e si è teso sempre più a componimenti di essenzialità rarefatta che, ripudiando metri, generi, rime, esprimessero in assoluta libertà il moto interiore dell'animo. I crepuscolari, i futuristi e gli ermetici scardinarono il verso tradizionale, isolando le parole, sciogliendo i vincoli tradizionali per accogliere l'illuminazione o l'intuizione interiore. Ricordiamo a questo proposito Ungaretti e Montale, che pur scarnificando i loro versi non trascuravano la musicalità, che ogni poeta ha innata. Cambiando la posizione delle parole della poesia "Soldati" di Ungaretti si nota che le due forme hanno una musicalità non paragonabile:
Si sta come
d' autunno
sugli alberi
le foglie
(Giuseppe Ungaretti)
Si sta come
le foglie
d' autunno
sugli alberi
A distinguersi in questo secolo sarà Saba, accusato di essere "antinovecentista", il quale rivaluterà la metrica antica, la rima baciata e tutte quelle forme retoriche che sono andate in disuso. Di questo ci parlerà in alcuni suoi versi della poesia "Amai":
Amai trite parole che non uno
Osava. M'incantò la rima fiore
Amore,
la più antica difficile del mondo.
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