LA LUNA E I FALò: il PROTAGONISTA
Produrre
la descrizione di un personaggio di un testo di narrativa, utilizzando le
tecniche note.
Il protagonista della vicenda de "La luna e i falò" non sa dove è nato: è
stato abbandonato sugli scalini del duomo di alba. E' cresciuto a Gaminella con
la sua famiglia adottiva: la Virgilia e Padrino, anche se lo hanno preso e
allevato soltanto perché l' ospedale di Alessandia gli passava dei soldi ogni
mese. Infatti su queste colline quarant'anni fa c' era chi per soldi si
caricava un "bastardo" dell' ospedale. La Virgilia scelse lui perché aveva già
2 figlie e perché quando fosse un po' cresciuto speravano di "aggiustarsi"in
una grossa cascina e lavorare tutti quanti e star bene. Ora ha quarant' anni e
gli piace viaggiare e non vuole comprarsi casa e andarsene. Era tornato per
riposarsi 15 giorni e nessuno in paese lo riconosceva più, tanto era diventato
grand' e grosso. Più nessuno tiene conto che era stato servitore e "bastardo",
sanno che a Genova aveva dei soldi. La gente gli offriva delle cascine e lui
stava a sentire con le mani dietro alla schiena, non tutti sapevano che di
cascine se ne intendeva. Gli piace parlare, discutere.Quando ancora non sapeva
di tornare aveva lasciato la squadra ferroviera e di stazione in stazione era
arrivato in California; poi aveva piantato le campagne e si era messo a fare il
lattaio a Okland, e in America l' internato, maneggiava dei soldi, manteneva
della gente.Adesso zappava, dava lo zolfo, conosceva le bestie, arava. Lui non
si sente cambiato per niente, stesse braccia, stessa schiena, gli dicevano
sempre "anguilla", non capiva la differenza. Non era più il ragazzo che si
accontentava di sentir parlare delle stelle e delle feste dei santi dopocena
sul trave. Gli piaceva leggere romanzi vicino al fuoco, per imparare. Aveva
visto molti paesi: "ma molti paesi vuol dire nessuno", poi era tornato sulle
colline: "potevo spiegare a qualcuno che quel che cercavo era soltanto di
vedere qualcosa che avevo già visto? ". Alla Mora stava troppo bene. Credeva
che tutto il mondo fosse come la mora. Vorrebbe, per questo, non aver fatto la
sua vita, poterla cambiare. Non sapeva che crescere vuol dire andarsene, sapeva
però di non essere nessuno. Ora lui avrebbe voluto farsi una sponda, avere
degli amici e una casa, metter sù nome e piantar giardino. Con Cinto si
vergognava del suo vestito, della camicia, delle scarpe: "da quanto tempo non
andavo più scalzo". Per lui era strano come tutto era cambiato eppure uguale.
Avrebbe dato tutto per vedere con gli occhi di Cinto: non era compassione
quello che provava per lui, certi momenti lo invidiava. Quando è con Nuto, il
suo più grande amico, si vergogna di essere solo un ragazzo, un servitore, di
non saper chiacchierare come lui, e gli pareva che da solo non sarebbe mai
riuscito a far niente. Ma Nuto gli dava confidenza, gli diceva che voleva
insegnarli a suonare il bombardino, portarlo in festa a Canelli, fagli sparare
dieci colpi al bersaglio. Con lui gli piaceva fumare. Era durante la festa,
quelle sere, che una luce, un falò, visti sulle colline lontane, lo facevano
gridare e rotolarsi in terra perché era povero, perché era un ragazzo, perché
era niente.