La luna e
i falò
di Cesare Pavese
Pavese
in questo romanzo, scritto in prima persona, è Anguilla, trovatello delle
Langhe che, fatta fortuna in America, torna al paese che lo ha visto bambino.
Nel giungere presso la casa della sua infanzia, nella provincia di Alba, lungo
il fiume Belbo, incontra un bambino di circa dieci anni: Cinto. Questi è un
poverissimo contadinello, vive nella cascina dove il protagonista stesso era
vissuto, ai piedi della collina di Gaminella. E' zoppo, un miserabile fra
miserabili, condannato a sopravvivere fra quei paeselli piemontesi, avari di
opportunità, ignorando la vastità del mondo. Il protagonista, perso nel
ricordo, nel vissuto intenso di quelle terre che sente sue e dove,
contemporaneamente, si sente straniero, si identifica in Cinto e vede nella sua
menomazione fisica la condanna ad un disagio analogo a quello che aveva trovato
nella consapevolezza di essere un "bastardo", un orfano. Fra le colline il
protagonista trova anche l'amico d'infanzia Nuto, suonatore di clarino, vissuto
sempre fra le feste paesane. Questi accompagna Anguilla nella rievocazione del
ricordo, come un Virgilio, una guida, un cantore, un custode del regno mitico
della memoria, dell'ingenuità propria dell'infanzia, un tempo in cui si impara
a conoscere le cose, guardandole con gli occhi della "prima volta". E' questo
un personaggio quasi sollevato al di sopra della grigia realtà, al di sopra
delle altre vite miserabili grazie alla sua musica, spontanea, assoluta,
istintiva: un valore che tutti le riconoscono. Nuto narra la guerra, la
Resistenza, storie di vita e di tragiche morti e lascia capire che, nonostante
la lotta per la libertà avesse alimentato la speranza in un riscatto, i
contadini su quelle terre continuavano a consumare le proprie umili esistenze
nel dolore, nella fatica e nella miseria. Alla consapevole amarezza di questa
realtà si accompagna però, nelle parole di Nuto, la dolcezza della
riattualizzazione di schegge della vita passata, degli anni trascorsi alla
Mora, il cascinale dove Anguilla guadagnò il suo primo salario, il teatro della
sua amicizia con Nuto. Vengono così rievocati assieme alle feste, ai falò, ai
lavori della civiltà contadina, le vite delle tre figlie del proprietario:
Silvia, Irene e Santa. L'Anguilla adolescente era stato testimone della
stagione dell'amore delle tre ragazze, le osservava a distanza,
rispettosamente, consapevole che le "signorine", che appartenevano ad un mondo
inaccessibilmente borghese, aspiravano ad accedere all'elite aristocratica. Le
ragazze concludono le loro vite tragicamente: l'una sposa di un uomo che non
ama, l'altra muore a causa di un aborto e l'ultima, Santa, è giustiziata dai
partigiani come spia dei fascisti. Il libro termina con il ricordo del falò che
incenerisce le spoglie di Santa, accostato al rogo che il sor Matteo, padre di
Cinto, appicca alla sua cascina. Il furore omicida del contadino sfruttato si
abbatte sulla sua famiglia: la cieca violenza dell'uomo è il sintomo
dell'esasperazione data da una miseria che non lascia scampo. L'ultimo gesto
del protagonista è l'affidare Cinto, unico sopravvissuto, a Nuto, per
strapparlo al vuoto di prospettive, alla limitatezza di quel mondo contadino,
che l'avrebbe condannato, per la sua menomazione, ad un'inappellabile vita di
stenti. Il romanzo, quindi, si articola soprattutto sul tema del ricordo,
connotandolo con una critica di impegno sociale; l'autore contrappone il
presente al passato, scoprendo che, tranne la natura dei luoghi, tutto sembra
essere cambiato, ma, in realtà, nulla è cambiato veramente. E' percepibile
attraverso le parole di Pavese sia la dolcezza della rievocazione di
un'infanzia meschina e di un'adolescenza incantata, quindi il valore assoluto
della memoria, sia l'amarezza scaturita di fronte all'iniqua realtà di quel
mondo, in cui lo spiraglio di un riscatto, di una parvenza di libertà si era
trasformata nella riproposizione delle stesse ingiustizie.