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LA LETTERATURA FRANCO ITALIANA
La Geste Francor appartiene a una letteratura detta franco italiana o franco- veneta a causa della sua collocazione geografica: si sviluppa infatti, fra il XIII e l'inizio del XV secolo, nelle regioni del Nord est italiano; una zona che all'epoca veniva chiamata Lombardia, dai confini molto più ampi di quella odierna, da cui la definizione meno utilizzata di franco lombardo di Contini. Ciò che la caratterizza è una lingua le cui peculiarità possono essere racchiuse in estrema sintesi dal quel prefisso franco- che si mantiene costante in tutte le sue definizioni: una formazione di compromesso con il francese che la rende unica nel panorama letterario, una mescolanza tanto più inusuale poiché assimila sistemi linguistici sincronici e diacronici, ovvero lingue parlate e scritte a quel tempo con altre della tradizione letteraria antecedente, passata ma ancora prestigiosa. Tale ibridismo adempie, in sede storico letteraria, a una precisa funzione d'intermediazione culturale»1: la letteratura franco-italiana si situa infatti temporalmente fra il Duecento e il Quattrocento, secoli di trasformazione e forte evoluzione per l'Italia e l'Europa, e geograficamente in una zona di frontiera poiché nasce in una terra di mezzo fra gli Imperi romani d'Oriente e d'Occidente, che ha a sud ovest gli Stati italiani centrali e a nord est i regni germanici e francesi; un luogo di passaggio per commerci e pellegrinaggi, in cui si mescolano idiomi, popoli, religioni e culture.
Tre elementi emergono come coordinate fondamentali: la tipologia delle opere franco italiane, la lingua in cui esse sono scritte e il loro rapporto con il pubblico, che rimandano alle funzionalità di contenuto e comunicative individuate da Wunderli e Holtus . Come sottolineò Rajna , le opere che compongono questa letteratura sono esemplari difficilmente inseribili in un genere o una tradizione, ognuno a sé stante e scritto in una variante idiomatica sua propria; vi si possono ad ogni modo riconoscere basi comuni e finalità simili. Benché essi si affianchino a quelli della tradizione francese e toscana, e fungano da tramite fra l'una e l'altra, la loro lingua non ha acquisito la stabilità grammaticale, né tantomeno un prestigio pari a quello della lingua d'oïl o del dialetto toscano. E proprio la lingua si conferma criterio determinante per lo studio e il giudizio su questa produzione letteraria, in cui forma e contenuto si dimostrano profondamente correlati, produzione che non può prescindere dal suo contesto geografico, sociale, storico e culturale, alla quale è legato un dibattito tuttora aperto. A causa del suo ibridismo linguistico e delle sue opere spesso ritenute di scarso valore questa letteratura rimase inizialmente circoscritta ad un ambito specialistico, fino alla rivalutazione iniziata negli anni '504. Tuttavia, come scrive Roncaglia, «nel quadro fenomenologico della tradizione medievale una simile iniziativa di travestimento linguistico risulta in fondo meno sorprendente di quanto sulle prime possa apparire, e nel quadro storico - dell'epoca e dell'ambiente - la disinvoltura dell'empirico ibridismo dovette sentirsi incoraggiata dalla consuetudine al quotidiano contatto, alle innumerevoli occasioni di viva mescolanza tra francese e veneto nell'impero latino d'Oriente. L'importante è che qualcosa abbia dato l'esempio, e che altri lo abbia raccolto e seguito; che l'ibridismo - rivelatosi strumento efficacissimo a diffondere e popolarizzare le canzoni di gesta francesi nell'Italia settentrionale - si sia consolidato così da costituirsi in tradizione, sia pure non ben definita e fluttuante nel dosaggio dei suoi ingredienti . La capacità di questa letteratura di partire da una forte e consolidata tradizione letteraria per adattarla, trasformarla, ricomporla e farne di volta in volta qualcosa di nuovo, ha fatto individuare proprio nella loro reinvenzione reiterata il vero tratto caratteristico per eccellenza del franco italiano .
.1 LA PRODUZIONE EPICA E LA SUA DIFFUSIONE IN ITALIA
La poesia trobadorica e l'epica oitanica sono nel secolo XI le letterature più prestigiose ed influenti a livello europeo; non stupisce dunque che esse siano prese a modello e riferimento da tutti gli autori europei. La loro diffusione segue tempi e rotte diverse, e nell area del Nordest italiano è soprattutto l'epica cavalleresca in lingua d oïl a trovare un terreno particolarmente ricettivo . La poesia trobadorica rimane prerogativa delle corti signorili dove, apprezzata ma non interiorizzata dove mantiene una veste linguistica corretta quanto una discreta lontananza dai temi politici, senza dare origine a fenomeni di creativa produzione autoctona. L'epopea carolingia predilige invece gli ambienti più marcatamente cittadini e borghesi, quali le città di Treviso, Verona, Padova, e poi Mantova e Ferrara e diventa un patrimonio accessibile a trascrittori, compilatori
e autori più e meno abili. Sebbene la letteratura franco italiana comprenda vari generi, le chansons de geste costituiscono la parte maggiore del corpus dei manoscritti, e la percentuale dei testi scritti in questa lingua e di argomento epico aumenta con il passare del tempo, creando così una particolare compenetrazione fra lingua e contenuto . Si è anticipato nell'introduzione come nel Medioevo il distinguere nettamente fra opere originali e traduzioni non sia possibile, poiché vi intercorrono numerose situazioni intermedie. Un saggio di Folena riguardante la traduzione dal latino alle lingue romanze nelle sue varie accezioni, permette di riconoscere alcune similitudini con quanto deve essere avvenuto a quel tempo tra il francese e l'italiano - o meglio, fra la lingua d oïl e i dialetti italiani settentrionali- come ad esempio la distinzione fra traduzioni di tipo verticale od orizzontale: nel primo caso il passaggio avviene a partire dalla
lingua più prestigiosa, nel secondo fra lingue considerate di pari livello. Tradizionalmente è il latino in posizione di predominio, dal quale si traduce verticalmente nei volgari romanzi; questi ultimi sono parificati dalla condizione di lingua derivata e non ancora codificata. Tuttavia, per quanto detto, se il francese non può essere elevato fino al livello di massima cultura del latino, si pone allo stesso tempo in una condizione di maggior prestigio, e non di equivalenza, rispetto al volgare autoctono.
Il rapporto ambivalente fra italiano e francese e i generi trattati nelle opere prodotte in quest area emerge nelle classificazioni che sono state effettuate nel corso del tempo da vari studiosi. La prima venne realizzata a inizio 9 0 da Bertoni e ripresa più tardi da Viscardi, e quest'ultima in particolare è alla base di tutti gli studi che riguardano la letteratura franco italiana. Entrambe le classificazioni non distinguono fra i due livelli linguistico e contenutistico, sebbene sia soprattutto il primo l'oggetto del loro interesse, ma si basano invece sulla distinzione fra opere copiate, derivate, rimaneggiate o create originalmente da autori italiani e scritte in francese. Bertoni individua quattro gruppi:
I. Poemi derivati da originali francesi, per via di trasformazioni più o men gravi, di aggiunte o anche invenzioni;
II. Poemi francesi copiati in Italia;
III. Poemi pensati e scritti in francese da autori italiani;
IV. Poemi perduti, la cui esistenza è provata da fatti di diversa indole (dai quali deriverebbero le corrispondenti versioni toscane
La classificazione di Viscardi li riduce a tre:
I. Testi che sono copie, più o meno inquinate di italianismi, di originali francesi, nei quali si sono introdotte, talvolta, alcune modificazioni o ai quali si son fatte delle aggiunte;
II. Poemi che sono rimaneggiamenti spesso assai liberi di testi francesi, in cui si introducono anche invenzioni nuove e originali;
III. Opere che sono creazioni originali di autori italiani che scrivono in francese e si ispirano alla tradizione dell'epopea francese
Alla classificazione di Viscardi è stato recentemente aggiunto da Infurna un altro gruppo: i poemi francesi che arrivarono e circolarono in Italia; spesso tralasciati benché abbiano fornito gli effettivi modelli a tutta la produzione successiva. Segre ricalca Viscardi e suddivide la diffusione del genere epico in Nord Italia in tre fasi temporali, di cui la prima vede l'alterazione della veste linguistica dei
poemi francesi da parte del dialetto locale tipica della semplice trascrizione; la seconda corrisponde al fenomeno dei rimaneggiamenti che, «su temi ancora d'Oltralpe, trasformano i poemi secondo il gusto del tempo e del luogo e dove dunque non ci sarebbe più solo un passaggio di tipo linguistico, ma si adatterebbero temi nati in un determinato ambiente alla diversa situazione di ricezione. E infine l'ultima riguarda la produzione autoctona in franco veneto.
Altre classificazioni sono state proposte nel corso degli studi: basate su differenti criteri e finalità, esse si allargano, come nel caso di Wunderli e Holtus, a considerazioni sociali e sociologiche in cui è l'autore, o redattore o copista, ad essere al centro dell attenzione; le competenze individuali di quest'ultimo infatti dipenderebbero da molteplici fattori quali la ricezione e il grado di comprensione del pubblico italiano, oltre a più generali fattori storici, politici e sociali. diversamente dalle classificazioni italiane viste finora, quest'ultima non formula giudizi di valore sulla lingua, ma si focalizza piuttosto sul grado di intenzionalità e sulla formazione più o meno libresca degli autori, supponendo per alcuni casi una precisa scelta linguistica da collegare al pubblico ricevente. Essa prevede quattro gruppi:
. les textes français copiés ou créés en Haute-Italie, peu italianisés, qui reposent sur une tradition plutôt écrite et sur une connaissance livresque du français,
. les textes français sensiblement italianis s cr és en Haute-Italie dont la base est un texte français acquis oralement et mis par écrit par la suite,
. les textes franco-italiens au sens strict, qui peuvent être consid rés comme le produit littéraire artificiel d'auteurs jouant consciemment avec la langue pour en faire une langue stylisée,
. les textes franco-italiens (souvent sans modèle ou pendant en ancien français) dont l'auteur ne cherchait pas consciemment à produire un mélange linguistique, c est- -dire dans lesquels l'auteur introduisit
In ambito non epico il prestigio letterario della lingua d'oltralpe viene confermato dalle opere Deuisament du monde, Li livres dou Tresor e Les estoires de Venise scritte rispettivamente dagli italiani Marco Polo, Brunetto Latini e Martin da Canal in corretto francese, una scelta linguistica e un atteggiamento verso «modelli culturali e testuali di riferimento ben motivati: il francese viene visto infatti come la lingua più dilettevole e comune dell epoca . I due aggettivi si rifanno alle due principali funzioni della letteratura: la capacità di
intrattenimento, ovvero di essere piacevole per chi ascolta, e quella comunicativa, possibilità di intrattenimento che richiede un pubblico il più ampio possibile e che necessita di un idioma comune. Ma si è detto come la letteratura franco italiana, in cui queste opere non rientrano, instauri un rapporto privilegiato, seppur non esclusivo, con l epica carolingia, un genere evidentemente meno elitario rispetto a quello a cui si rivolgono i suddetti autori veneti, e per il quale il francese corretto non sembra essere ritenuto la giusta scelta linguistica. Come individuato da Wunderli ed Holtur, l'inusuale sviluppo del franco italiano è dunque da cercare nel pubblico eterogeneo che determina la concezione e la ricezione delle opere: esso «s'incarne de tant de façons
différentes - comme d but de développement d'une langue littéraire dans l'élite culturelle d'un c té et parmi les cantambanchi sur les places publiques des petites et grandes villes de l'autre, présente à la fois dans les cercles universitaires et dans les troupes de théatre des jongleurs et autres gens de voyage allant de ville en ville .
2 CORTI, PIAZZE E GIULLARI
Occupandosi di testi di origine, o almeno ispirazione, francese, ma che trovano il loro terreno di attuazione in Italia, è inevitabile fare una premessa non così banale come potrebbe sembrare: il pubblico a cui si rivolgono gli autori che operano alle corti signorili italiane o nelle città comunali del Trecento non è più quello delle corti feudali francesi dell XI XII secolo. E a loro volta gli ascoltatori italiani si succedono di generazione in generazione, di evento in evento, durante gli anni che passano fra una copia ed un'altra dei manoscritti. Cercare allora di capire quale fosse il pubblico del nord Italia del XIV secolo è utile per comprendere l'ambiente in cui i testi arrivano, si impiantano e diventano altro. Le chansons de geste nascono durante il feudalesimo francese come esaltazione dei valori della monarchia carolingia, e si presentano come presunte cronache storiche di fatti memorabili realmente avvenuti. La denominazione, parafrasabile
con «racconto di un insieme di fatti realizzati da un lignaggio illustre indica originariamente l'espressione collettiva di una società in cui l'individuo condivide le caratteristiche con l intera propria famiglia e assume un significato solo all'interno di un gruppo . La fede, l'audacia in guerra e la fedeltà al proprio sovrano sono le caratteristiche degli eroi che popolano le prime epopee come la Chanson de Roland , paradigma epico per eccellenza. I loro rapporti sono regolati da una rigida gerarchia, fondata sulla fiducia e il reciproco aiuto fra il signore e i suoi vassalli. La società in cui si rispecchia in un primo tempo il pubblico francese ruota intorno alle figure di sovrani forti, vicari terreni di Dio, unificatori di un impero e difensori della religione cattolica. Ben diversa è la situazione italiana, frazionata in piccoli Stati e in cui le singole città rivendicano l'autonomia da imperatori stranieri, dando il via al fenomeno dei Comuni. Grazie ai fitti scambi commerciali con i Paesi del Mediterraneo e del Nord e l'Oriente, il precoce sviluppo della borghesia italiana o meglio delle strutture economiche protoborghesi , anticipa un fenomeno che coinvolgerà tutta l'Europa; quest'ultima va mescolandosi con l'aristocrazia terriera, minoritaria nella società del Nord Italia. Fra la nascita delle opere originali francesi e la tra)scrittura delle franco italiane si susseguono o si sovrappongono dunque l'organizzazione di tipo feudale che nel XIII ancora prevale in Francia, un generale avvento europeo della borghesia e i fenomeni specificatamente italiani delle del Comune, della Signoria e delle prime universit . A causa del differente contesto, la letteratura subisce delle notevoli modifiche e dei sostanziali adattamenti per risultare comprensibile al suo nuovo pubblico.
Fra il testo e il pubblico che ne fruisce esiste un legame reciproco ed indissolubile che diventa tanto più rilevante in un contesto quale poteva essere quello medievale, dove inizialmente i testi venivano perlopiù recitati al pubblico eterogeneo di una corte o di una piazza. Se quest'ultima ha carattere più popolare, la prima può contare su una cultura generalizzata, ma entrambe vedono l'adunarsi di persone diverse accomunate da un tempo e da un luogo. La varietà di una piazza si può facilmente immaginare, per quella dell'ambiente delle corti signorili si prende ad esempio ancora una volta la signoria feudale dei Da Romano all inizio del XIII secolo e la loro amministrazione: al loro servizio, come personale con mansioni di diritto pubblico, c'erano vicedomini, visconti, gastaldi, villici, capitani; e ancora giudici, assessori e banditori. Persone dunque con ruoli, competenze e gradi di cultura molto diversi.
Oggi è impossibile sapere con certezza assoluta quale fosse il pubblico intenzionale della maggior parte dei testi franco italiani, poiché mancano dichiarazioni in questo senso dei loro trascrittori-copisti-autori; quello che a distanza di sei, sette secoli, continua a leggere tali opere è sicuramente un pubblico effettuale che porta con sé il proprio bagaglio culturale, che interpreta con sguardi nuovi e spesso anacronistici, e vi trova nuove esperienze legate a tempi diversi . Se i lettori di oggi possono interpretare ma non più modificare il testo, ben diversa è l'interferenza che può aver invece avuto il pubblico anteriore o contemporaneo alla stesura delle opere franco italiane, effettivamente in grado di condizionarle fortemente. Scrive Vàrvaro: «quello che viene da noi
considerato, con indubbia sottovalutazione, leggendario, finiva allora per avere conseguenze sensibili sui comportamenti reali, ne determinava la stessa possibilità e li dotava di senso e di valore. [La letteratura] diventa un fattore da tenere nel dovuto conto nel comportamento politico concreto dei gruppi e delle collettività. [. il discorso letterario ha una propria intrinseca evidenza che si riproduce nel comportamento dei lettori: lo determina e lo produce . Una letteratura che influenza la storia, o viceversa, in un rapporto reciproco di cui è difficile determinare la causa e l'effetto, una storia che crea letteratura e vi si trasforma: citando Calvino, nell'introduzione al suo Orlando Furioso,
«nell'immaginazione dei poeti - e prima ancora nell'immaginazione popolare - i fatti si dispongono in una prospettiva diversa da quella della storia: la prospettiva del mito . Una compresenza fra passato , presente e futuro che travalica i limiti cronologici della storia si attua così grazie alla letteratura. In cui i suoi fruitori sono liberi di vedervi quel che sono stati, ciò che ora sono e quanto potrebbero ancora essere.
Un'autocoscienza letteraria richiede un livello di cultura che nell'alto Medioevo si indirizzava quasi esclusivamente ai religiosi . Tra la fine dell'XI e il XIII secolo, la classe dirigente è bisognosa di nozioni di diritto, retorica e grammatica , richiede dunque un'istruzione che risponda ad esigenze di carattere giuridico- pratico. Nascono pertanto i primi insegnamenti di diritto, offerti per primi in Europa dall'Università di Bologna, fondata nel 1 8 . Il raggiungere il livello universitario implica inoltre anche tutti i gradi d'istruzione precedenti, per frequentare i quali è richiesta una buona disponibilità economica, salvo casi speciali dunque la cultura diventa laica e più diffusa, ma la ricchezza costituisce ancora un importante selezione fra le classi che possono accedervi. Una conseguenza della creazione di un polo universitario è la grande mobilità studentesca, che portò a vere e proprie migrazioni dalle città della Marca Trevigiana verso Bologna, e viceversa da Bologna verso Vicenza nel 1 04 e verso Padova nel 1 2 , dove diede origine alla fondazione di un altra prestigiosa università. Per quanto differenziato il ceto notarile costituisce un nucleo
abbastanza omogeneo: diventa il nuovo pubblico laico ed è finalmente in grado di partecipare alla vita pubblica della propria città. Al governo cittadino in cui avanzano i nuovi professionisti si affiancano le gestioni di potere ancora in mano alle potenti famiglie aristocratiche, non necessariamente in netto contrasto come spesso si ipotizza: è probabile che autonomia comunale e giurisdizione signorile si sovrapponessero senza escludersi reciprocamente . Gina Fasoli prende ad esempio per l'atteggiamento dei nobili della zona la famiglia dei Da Romano, la più rilevante in questo periodo tanto sotto il profilo storico quanto quello letterario: essi mantengono giullari e trovatori, che vengono ben accolti come ambasciatori di cultura nei castelli del contado e nei palazzi signorili delle città della Marca, «graditi alle dame, protetti e ben ricompensati dai signori, che acquistavano gloria alla loro casata con il loro mecenatismo e trovavano spesso
nei trovatori dei preziosi difensori della loro politica e delle loro azioni o dei divulgatori delle loro idee, e bene accetti a tutti gli ambienti di corte per l'interesse che suscitavano coi loro canti e per le notizie che portavano dai castelli e dai territori che avevano visitato» .
Chi si rivolge a una piazza o ad una corte del Nord est italiano può allora trovarsi davanti aristocratici proprietari terrieri, ereditari di una tradizione cavalleresca e di privilegi nobili, i borghesi, nuovi ricchi e nuovi colti, notai, giudici, mercanti, banchieri ed artigiani nonché un popolo minuto - quest'ultimo ancora escluso da cambiamenti rilevanti e relegato a una condizione di inferiorità sotto tutti gli aspetti. Essi non sono necessariamente francofoni anche qualora abbiano un discreto livello di istruzione. Sebbene il nuovo ceto della borghesia possa essere all'origine di evoluzioni di contenuti e stili già delle opere francesi, le cui prime erano invece nate in un ambiente «socialmente e culturalmente elevatissimo , la sua formazione in Italia è precoce, la sua partecipazione politica inusitatamente rilevante: la classe intermedia chiede di essere protagonista della sua epoca e crea un proprio governo in alternativa a quello legittimato dall'imperatore, rispetto al quale si pone in contrapposizione. Si creano delle leghe a protezione dei propri interessi, aristocratici o popolari, che fuoriescono dai confini cittadini e portano, utilizzando anacronisticamente un termine moderno, ai partiti di guelfi e ghibellini, cause di rapidi ribaltamenti di governo e sanguinose guerre civili. Può risultare indebito considerare tutto ciò retroscena storico di testi di cui l origine rimane nebulosa, ma costituisce sicuramente il contesto di ricezione di tali componimenti, poiché ne hanno fatto esperienza i loro ascoltatori. I richiami dell autore della GF al suo pubblico per ricordargli periodicamente che cose incredibili a dirsi son sul punto di accadere, sono
numerosi e potrebbero essere l'indizio di una produzione giullaresca:
Da qui avanti se renova la cançon: Mais non fo tel oldua par nesun hon
Perché quest'ultimo resti ad ascoltare, e lasci soddisfatto del denaro al termine della rappresentazione, l'intera opera è riadattata ogni volta secondo le esigenze e si lega a una pratica orale ripetuta e mai identica. Tuttavia tali appelli ad "ascoltare" entrano presto nella consuetudine letteraria e vengono utilizzati anche in testi concepiti fin dall'inizio per la sola lettura. Pertanto anche le formule del Marciano XIII potrebbero essere un semplice residuo delle opere che vi vengono riunite e trascritte e non indicare necessariamente una sua recita, che si dovrebbe in ogni caso immaginare suddivisa in più momenti data l'ampiezza del ciclo. È probabile che il codice veneziano nasca piuttosto come antologia da cui trarre delle parti da leggere, o a cui eventualmente ispirarsi per nuove composizioni. Anche l'utilizzo delle lasse rimate e delle formule stereotipate sono trucchi ideati per una memorizzazione facilitata indispensabile per una recita orale32; ma come nel caso delle formule succitate, essi vengono trasposti nella produzione scritta e non sono indizio certo dell origine orale o scritta della GF. Renzi cataloga i testi franco italiani come opere da attribuire certamente ai giullari e che solo in un secondo momento sarebbero state trascritte nei codici signorili in cui si può leggerle oggi. Secondo lo studioso, i testi, pur mantenendo un valore artistico non potrebbero però essere inseriti in una più prestigiosa tradizione scritta di destinazione elitaria; se questa fosse stata la loro
destinazione infatti sarebbero stati in corretto francese . Ne trae la conclusione che il «franco lombardo concerneva l'epica, genere dei giullari per eccellenza , dai quali la lingua era manipolata in funzione di una maggior comprensione da parte del pubblico. L'apertura a un uditorio più variegato è la causa più comunemente accettata dai filologi moderni per giustificare questa strana miscela; ci si sente qui di escludere l ipotesi di una grande ignoranza del copista perché contraddetta dalla cultura delle opere francesi, da un abilità scrittoria di un certo livello e da un accoppiamento sinonimico di termini francesi ed italiani che rivela la conoscenza della forma e del significato di entrambi. La trascrizione in codici ne prova ad ogni modo un'uscita dai confini della recita giullaresca, anche qualora ipotizzandovi l'origine, e una loro accoglienza da parte dell' lite delle corti settentrionali italiane, il cui gusto eclettico spaziava fra i generi più disparati; le versioni franco-italiane delle geste erano effettivamente popolareggianti, ma ciò che conta che a popolarle siano gli eroi carolingi, veri e propri mediatori culturali fra i vari strati sociali, riconosciuti e amati da tutti.
La prima testimonianza sui giullari che cantano di gesta francesi risale al 2 8 ed è riportata da Lovato Lovati, il quale rimase colpito a Treviso da un cantastorie che raccontava delle gesta dei paladini in un francese storpiato, cosa di cui il popolo che pendeva dalle sue labbra non sembrava preoccuparsi. Dello stesso anno è un bando di Bologna contro i cantori di gesta francigene che intralciavano
la circolazione creando degli assembramenti di persone. Fatti che confermano con certezza la diffusione a livello popolare delle storie dei paladini di Francia, e ne tramandano l'immagine di una trasmissione orale legata alla recita, in una lingua che non è riconosciuta come corretto francese da chi ha un livello superiore di cultura. Eppure, o forse proprio per questo, la narrazione viene compresa da chi la ascolta. I filologi che imputano queste deformazioni non tanto a una comune cultura, quanto piuttosto a un'ignoranza condivisa, affermano infatti che l'autore non si preoccupa dei propri errori, sicuro del fatto che non saranno oggetto di biasimo e disprezzo da parte del suo pubblico35 che non è in grado di riconoscerli. Il mestiere di giullare presupporrebbe allora una cultura limitata, a cui contrapporre quella latina dei chierici; in realtà questa figura non corrisponde a una precisa classe sociale e a una determinata educazione, ed è
difficile dire cosa egli conosca oppure no. Non ci sono prove certe che l autore del Marciano XIII conoscesse i classici latini, come invece è stato appurato per alcuni dei suoi colleghi grazie a precisi rimandi letterari; sicuramente conosce le opere francesi a cui si ispira per comporre i suoi rimaneggiamenti e dimostra una certa abilità nel raggrupparle omogeneamente. Al di là di come venisse effettivamente utilizzato il testo pervenuto al giorno d'oggi, la letteratura epica in generale, e quella franco italiana in particolare, grazie alla struttura in lasse monorime, all'uso di personaggi fissi e di topoi letterari da rendere di volta in volta attuali, si presta alla ripresa e alla modifica: la «narrativa versificata epico- romanzesca era per così dire geneticamente predisposta ad un continuo rifacimento, come già dimostra la tradizione manoscritta dell'area originaria, piattaforma di lancio per la profonda dinamica innovativa che caratterizzerà
molte opere franco-italiane del Trecento .
Ma «gli autori delle canzoni di gesta avevano non soltanto una personalità poetico-letteraria, ma anche una personalità politica propagandistica: la chanson de geste tait poésie militante; e tale qualità li ha guidati, non meno della fantasia, nei loro interventi a modificare i ricordi del passato per adattarli ai sentimenti del presente . Come si è detto infatti la chanson de geste nasce con il preciso intento di esaltare i sovrani carolingi che hanno da poco spodestato la dinastia merovingia . È dunque un genere fortemente connotato politicamente al momento della sua nascita, un aspetto che in parte si mantiene anche nelle chansons francesi tardive e le opere trasposte in altri Paesi europei. Krauss, parlando della letteratura franco italiana, afferma che essa è il suo adattamento non riguarda solo la lingua e le modalità di comunicazione, «ma anche e soprattutto il contenuto e l'ideologia che in esso si manifesta : secondo lo studioso tedesco infatti nel riscatto di personaggi popolari bisogna leggere il riflesso del pubblico borghese italiano. È una teoria che non si può condividere
pienamente perché la borghesia trecentesca non comprende quei ceti popolari che effettivamente si vedono emergere nel corso della GF, e il cui apice è rappresentato dal boscaiolo del Macaire. Un'opera che voglia raggiungere il maggior numero possibile di persone, eventualmente per veicolare un messaggio più o meno politico, deve saper rivolgersi anche a chi conosce solo le lingue volgari, una cultura che sottintende una differente visione del mondo, e tener conto della forte componente femminile emergente, già segnalata nell'accoglienza riservata ai trovatori; proprio loro, prive di studi latini, adotteranno il francese come loro lingua d'élite . Una consapevolezza del proprio pubblico intenzionale si esprime invece chiaramente nella dichiarazione di intenti dell'ultimo autore franco italiano, Raffaele da Verona: il suo Aquilon de Bavière è in gradi di annullare le differenze fra gli ascoltatori proprio grazie all'utilizzo della lingua ibrida e pour caver melanconie e doner dellit e giogie a ceus che unt giantil coragie, l'ai redute in lingue che pora esre intandue da homes e da dames literés e non literés41.
3 UNA LINGUA LETTERARIA
Si è visto come nel XII secolo il francese, grazie alla sua letteratura, goda di un prestigio indiscusso in tutta Europa: anche chi non è Francese lo considera superiore. Le sue opere hanno superato ampiamente i confini "nazionali , raggiungendo l'area iberica, l'Italia, i regni germanici e il nord Europa, dove fungono da modelli imprescindibili per chi voglia cimentarsi nel campo letterario. Tuttavia nel Nord Italia e per motivi diversi in Inghilterra) non è solo la letteratura ad essere presa in prestito, ma la stessa lingua: in Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna essa infatti non entra in competizione con idiomi locali, bensì viene a colmare un vuoto. A differenza di quanto avviene nelle altre zone di influenza infatti, il francese qui si presenta come l'unica possibile lingua letteraria e la dimostrazione più evidente è nella creazione di opere originali scritte in francese da autori italiani. Gli autori come i suddetti Marco Polo, Martin da Canal e Brunetto Latini che scelgono di usare il francese dimostrano di esserne perfettamente in grado. Si ripresenta allora il problema di quale sia la cultura degli scrittori in franco-italiano: sono più ignoranti dei primi o perseguono finalità diverse? Il franco italiano infatti sembra instaurare con il francese un contatto intimo e agonistico42, in cui la lingua originaria dei modelli è quella in cui si sono conosciuti e per la quale si prova un qualche rispetto letterario. Di pi , introdurre termini francesi nella narrazione, sembra garantirle un'attestazione autoriale, un aspetto fondamentale in quest'epoca, nonché un tocco di esoticità. Al tempo stesso per , per tutte le ragioni elencate finora, e per un pizzico di orgoglio di chi vuole creare qualcosa che sia suo, può farsi strada il dialetto locale da affiancare o mescolare al punto da creare neologismi morfologici. Dunque «la libert , come talora la letteralità, della traduzione, può essere oppostamente motivata: per ragioni intrinseche di trasmissione e attualizzazione del significato contro gli impacci e i tranelli del significante, in base al principio che non si traducono parole ma frasi e contesti; oppure per un interesse formale, che punta sulla emulazione o sulla trasposizione analogica del significante. A queste opposizioni si aggiunge nel Medioevo, con un peso determinante, quella del livello di prestigio e di dignità grammaticale e retorica del vario rapporto fra le lingue e le culture, verticale e orizzontale» .
Ma il francese corretto richiede una buona conoscenza della lingua e un livello di cultura abbastanza elevato. Difficilmente la lingua letteraria corrisponde alla lingua parlata utilizzata quotidianamente, a meno che non si ricerchi espressamente tale effetto, una distanza che era tanto più ampia nella situazione medievale di gerarchia linguistica stratificata. Per far sì che queste storie si rivolgano effettivamente a una porzione più ampia di popolazione si sceglie allora di utilizzare il franco-italiano, una koiné creata allo scopo di raccontare delle storie per le quali il dialetto dell'uso comune non risultava consono, e che più in generale faticava a ottenere un qualsiasi riconoscimento scritto44. Essa tenta di affiancare e sostituire il latino, il francese parlato e il francese antico letterario, nonché il toscano e i vari dialetti settentrionali, divenendo secondo Segre la sola lingua letteraria di questa area. Si vedano i cinque punti che egli porta a sostegno della sua teoria:
1) esiste un gruppo piuttosto ampio di tratti fonetici che si riscontrano in tutti o nella maggioranza dei testi franco veneti; essi sono spesso il risultato di fenomeni di interferenza", cioè di adattamento e combinazione di sistemi fonomorfologici;
2) il tipo di dialetto veneto è solo di rado localizzabile, e anzi sembra di riscontrare un afflusso di elementi dialettali non omogenei, pur se di area veneta; i non rari friulanismi rientrano nella situazione linguistica del tempo, specialmente nella zona trevisana;
3) nel franco veneto sono frequenti i tratti toscani (italiani), spesso fonomorfologici, talora anche lessicali; e non mancano latinismi: sono indizi di uno sforzo di letterarizzazione, agli antipodi di una mescolanza casuale;
4) anche in testi composti o diffusi fuori dei confini del Veneto, la mescolanza di francese e veneto (non, poniamo, lombardo o emiliano, salvo tracce labilissime) viene mantenuta, come se ormai questo linguaggio fosse accettato "ufficialmente";
5) lo stesso linguaggio di koinè viene impiegato dagli autori di opere originali; essi talora, ma non sempre, si accostano maggiormente al francese letterario, ma in complesso si mantengono, con la coerenza e il gusto assenti nei copisti più rozzi, sulla linea della koinè franco veneta.
Attraverso l'esclusione di tratti spiccatamente municipali e con la latinizzazione di alcuni fenomeni, essa tenterebbe di risolvere la diatopia linguistica, offrendosi come lingua interregionale di comunicazione fra persone provenienti da luoghi diversi. Tuttavia, essa rimarrebbe limitata all'ambito letterario, lasciando dunque insoluta la diastratia, poiché rivolta esclusivamente a gente di cultura. Poiché il dialetto per tutti e il latino e il francese per i più colti soddisfano già pienamente le esigenze comunicative, la koinè viene ristretta al campo letterario e in particolare a quello dell'epica che voleva rivolgersi a tutti. Da una ricezione uditiva passa successivamente alla sola lettura silenziosa, modalità secondo la quale verrebbero concepite le opere franco-italiane più tarde, la cui prova si avrebbe nella «ricerca di rime perfette anche a scapito di qualunque "grammaticalità", francese, veneta, franco veneta o italiana», per le quali lo studioso arriva a usare la definizione di «rime per l'occhio»45.
Se è stato possibile creare una tale lingua, è dovuto al fatto che in queste regioni il francese non risultasse del tutto incomprensibile, anzi, è probabile che apparisse come una variante prestigiosa del proprio dialetto , dal momento che la morfologia del veneto si avvicina molto a quella dei dialetti galloromanzi. È il fenomeno definito da Vàrvaro come commutazione e che si distingue sia dalla traduzione che dalla trascrizione: una infatti prevede un passaggio fra due sistemi linguistici avvertiti come molto distanti fra loro, l'altra è spesso corrotta da occasionali e involontarie della lingua madre del copista; la commutazione invece, che si applica all'opera intera, dimostra una volontà cosciente pari a quella della traduzione, ma avviene quando nella traslazione linguistica si avverte istintivamente una forte prossimità fra lingua d origine e lingua di destinazione. Quando Vàrvaro rileva che «in Francia si commuta tra tutte le varietà d'oïl ma assai raramente con quelle d'oc e non, credo, mai con l'italiano, tranne che in un caso speciale, come il franco italiano» , sta sottolineando la vicinanza fra la lingua oitanica e i dialetti dell'Italia settentrionale, che doveva essere percepita istintivamente tanto dagli autori quanto da tutti gli strati della popolazione. Questo spiegherebbe come il franco italiano possa realmente rivolgersi a un pubblico anche popolare: se il francese infatti risultasse del tutto estraneo alle
orecchie degli ascoltatori meno colti, tale apertura risulterebbe inefficace. Come osserva giustamente Roncaglia un'incomprensione sarebbe ancora concepibile nel caso di brevi canzonette per le quali, come avviene oggi con la musica inglese, quando si canta, la melodia importa più che il senso delle parole; e nelle parole per musica, tanto più se fornite di quel prestigio snobistico che viene dal suono della lingua straniera, l'intelligibilità non è requisito indispensabile . Ma qui ci si trova davanti a poemi di lunghezza considerevole, dove il seguire la narrazione è indispensabile e il cui piacere è nel comprendere le nuove meravigliose prodezze dei paladini di Francia, il poterne riconoscere tratti e gesti. Dunque, anche se non completa, una comprensione per lo meno parziale è da supporre senza ombra di dubbio.
Nonostante le varie teorie divergano sotto molti aspetti, e non manchi chi creda che questa lingua sia nata per esigenze comunicative legate a necessità più
concrete, il franco italiano viene considerato dalla maggior parte degli studiosi una lingua destinata alla narrazione, limitata alla recitazione orale o alla scrittura, ma non alla comunicazione pratica. Quanto la caratterizza e la differenzia da altri fenomeni linguistici dell epoca è il suo essere una lingua ibrida che alterna parole francesi ad altre italiane, contamina le une e le altre, inventa termini che si ispirano a esse senza appartenere realmente a nessuna; una contaminazione che non riguarda però solo determinate parti, come spesso avveniva nel corso di trascrizioni e traduzioni medievali, bensì l'opera intera - spesso un ciclo di notevole lunghezza come la Geste Francor. Si è già detto come non ne sia mai esistita una grammatica, e non sarebbe possibile compilarla nemmeno oggi, poiché per la sua origine il franco-italiano ha una variabilità troppo alta, essendo la sua formazione soggetta alle volontà del singolo autore. Secondo Rajna anche parlare di lingua franco italiana è quasi impossibile, poiché le sue varianti sono tante quanti i testi che vengono a formarla. Un fattore che ha spesso destituito agli occhi degli studiosi il franco-italiano dallo status di lingua vera e propria, sia pure artificiale, relegandolo a una condizione di miscuglio casuale dovuto ad ignoranza.
I pionieri degli studi franco-italiani videro tale lingua come il risultato dell'ignoranza dei copisti e o scrittori: per G. Paris esso non è che un francese deformato per italianizzarsi, e ci fu chi come Guessard, nella sua edizione del Macaire, ne tentò addirittura una restituzione alla sua ipotizzata veste originale; Rajna suppose un rimatore che «volle ma non seppe scrivere in lingua d'oïl , Mussafia arrivò a dire che il franco italiano era una mostruosità deforme patologica. Anche Viscardi condivide l'idea che ogni opera di questa letteratura vada vista come un caso a sé stante, realizzata da autori che «in generale,
intendevano scrivere in francese: anche se l'intenzione resta, in molti casi, puramente intenzione»50 e recupera i termini mostruoso e deforme per definire in particolare proprio il Marciano XIII. Il fatto che gli scrittori italiani padroneggiassero perfettamente il provenzale in ambito lirico, non suscita perplessità su questa presunta difficoltà nell'utilizzo della lingua d'o l: viene attribuita al diverso grado di cultura di chi scrive poesia e di chi compone poemi cavallereschi, due generi che si formano entro e sono destinati a due ambienti molto diversi. L'autore della Geste Francor è rappresentato come un «cantambanco rozzo che si rivolge al pubblico delle piazze e dei trivi»51 e che usa il francese perché sta trattando di materia cavalleresca, ma ricorrendo alla lingua natia ogni qualvolta non conosca il termine francese corrispondente. Anche Meyer finisce con l'attribuire il franco italiano a uno scarso grado d'istruzione e a una scarsa abilità artistica: «les trouveurs de ces pays, qui imitèrent de plus ou moins loin nos chansons de geste, avaient, pour la plupart, peu de talent, et ne possédaient du fran ais qu'une connaissance bien superficielle», ipotizzando che «après tout leur langue fortement imprégnée d'italien devait être plus intelligibile à leurs compatriotes que le pur fran ais; il se peut même que ce jargon hybride ait contribué au succès de ces m diocres compositions .
Questa è la teoria che prevale fino agli inizi degli anni '6 , quando Ruggieri si pone in netta opposizione, premettendo innanzitutto alcune considerazioni generali di carattere filologico, per le quali gli errori presenti nei manoscritti devono essere innanzitutto ripartiti fra quelli causati dalle condizioni degli eventuali testi originali francesi e archetipi francoveneti, e quelli dovuti all'effettivo intervento del copista del manoscritto in esame. Procede quindi
paragonando il franco italiano alle lingue volgari viste da alcuni fino all'XI secolo come un latino scritto da ignoranti. E arriva alla conclusione che rifacitori franco- italiani «non intesero senza dubbio né tradurre le chansons in italiano e tantomeno riscriverle in francese. Ebbero, invece, l'intenzione di volgarizzarle per il loro pubblico: volgarizzarle anche nel senso moderno del termine, ma soprattutto in modo che esse conservassero una chiara impronta della loro veste idiomatica originaria [.] i nostri autori vollero e seppero scrivere la Mischsprache che effettivamente scrissero . Inoltre Ruggieri crede nel «carattere aristocratico dei testi francoveneti 54 poiché se viene alterato il francese viene
altresì mantenuta una distanza dal dialetto vero e proprio, avvertito, quello sì, come risorsa per un pubblico popolare. Secondo la sua teoria, il franco-italiano è dunque un ibridismo linguistico realizzato volontariamente che garantisce un attraversamento trasversale delle classi sociali. È tale perché risulti comprensibile ad un pubblico italiano più ampio, pur tuttavia sempre entro certi limiti. Concorde almeno in parte anche Cremonesi che, pur rilevando, in linea con Mussafia, Rajna, Monteverdi e gli altri, la parziale ignoranza dello scrittore franco italiano, vede un intento parodico dell autore, dunque assolutamente volontario, dal momento che «nella deprecata e discussa mostruosità del linguaggio c'è, accanto ad una malsicura e cattiva conoscenza del francese, proprio l'intenzione di deformare allo scopo probabilmente, ripeto, di divertire, quasi di raggiungere un effetto coloristico»55. Si oppone invece Infurna, per il quale il franco-italiano resta limitato a un ambito strettamente aristocratico, poiché il suo ibridismo non lo renderebbe maggiormente comprensibile, ma viceversa ancor più complesso .
Diversamente dagli altri studiosi che riportano le loro considerazioni sempre all'interno dell'ambito linguistico e filologico, Sunderland trae ispirazione da un testo di Deleuze e Guattari riguardante Kafka e la letteratura cosiddetta minore , alla quale i testi franco italiani e la Geste Francor in particolare apparterebbero per diversi motivi, fra cui proprio l ibridismo linguistico. La sua analisi parte da una ripartizione delle tre lingue - dialetti italiani, francesi e latino
- per ricoprire quattro funzioni associate a quattro spazi: il qui per la lingua vernacolare, il laggiù per la lingua mitica, il dappertutto per la lingua veicolare e l'oltre per la referenziale. Il dialetto, o dialetti, corrisponderebbe alla prima funzione poiché è la lingua che l'autore sente come a lui più familiare; il latino è la lingua delle origini, quella che ha formato l'orizzonte culturale comune ed è dunque mitica; il francese assolve ad entrambe le ultime due funzioni perché in grado di veicolare la comunicazione oltre i propri confini, e, ormai adottata dall'aristocrazia di tutta Europa, ha soppiantato il latino diventando il simbolo della cultura universale. Il franco-italiano risulta allora la manifestazione di una logica più profonda che non si basa sull alternativa, o francese o italiano, ma sulla compresenza che crea opportunità per duplicare i significati. Per lo studioso dunque questa lingua, con la sua letteratura e soprattutto con la Geste Francor, tenterebbe sotto tutti i punti di vista di rimanere nel solco della tradizione e
contemporaneamente aprire spiragli di fuga dalle logiche di potere tradizionali .
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