La
dissoluzione del romanzo tradizionale: due esempi
La
nuova fisica nel "caos" del Finnegans Wake.
Il Finnegans Wake,
un romanzo scritto da James Joyce negli anni dal 1922 al 1939 e pubblicato a puntate
sulla rivista letteraria Transition a
partire dal 1924 (ma solo per pochi mesi, in seguito infatti intervenne la
censura che sempre aveva colpito le opere dell'autore irlandese), rappresenta
forse l'esempio più lampante della dissoluzione di un romanzo. Viene meno,
infatti, qualunque trama, dal momento che l'azione rappresentata è, nelle
intenzioni dell'autore, il succedersi dei sogni durante l'arco temporale di una
notte; gli episodi, pertanto, sono talmente slegati da rendere davvero
complessa l'interpretazione complessiva dell'opera. Al tempo stesso, una tale
cripticità della trama porta con sé un'incredibile varietà linguistica: in
tutta l'opera, infatti, sono state individuati vocaboli provenienti da oltre 40
lingue diverse; inoltre, appaiono in enorme quantità giochi di parole e
deformazioni di lemmi inglesi o stranieri, il tutto all'interno di una
struttura sintattica resa estremamente complessa dall'"abolizione" della
punteggiatura e dalla sovversione del tradizionale ordine delle parti del discorso.
Un ulteriore ostacolo, poi, posto al lettore nel suo già arduo tentativo di
comprensione è senza dubbio il carattere simbolico di tutti i lavori di Joyce,
come evidenzia anche la poetica delle epifanie
che si era affermata già nel Ritratto
dell'artista da giovane. Appare evidente, dunque, come questo romanzo possa
essere chiamato a rappresentare gli esiti più avanzati del movimento
avanguardista, dal momento che esso realizza la vera e propria dissoluzione
della forma letteraria del romanzo. Come non è difficile immaginare, molti
critici ed intellettuali dell'epoca non apprezzarono un simile lavoro: l'autore
di Lolita Vladimir Nabokov, ad
esempio, pur essendo stato un grande ammiratore dell'Ulisse joyciano, ribattezzò il Finnegans
Wake "Punnigans wake", con riferimento alla parola inglese pun che indica i giochi di parole. Ma
anche al giorno d'oggi l'oscurità del tema non riscuote grande consenso, al
punto che il romanziere inglese Martin Amis
ha definito l'ultimo romanzo di Joyce come "una definizione da cruciverba
lunga 600 pagine, la cui soluzione è il".
Al di là delle numerose critiche mosse a Joyce, è in ogni
caso innegabile che, specialmente in un'opera di questo tipo, creata a partire
dalla giustapposizione di episodi molto diversi tra loro, sia possibile
ricercare spunti nei campi più disparati. Interessante è la ricerca delle
allusioni a quel crollo della fisica classica al quale abbiamo accennato anche
nel capitolo precedente. Esso viene rappresentato in numerosi punti del romanzo
con la caduta della mela che, secondo la leggenda, avrebbe suggerito a Newton
la teoria della gravitazione universale; questo simbolo, comunque, ha sempre
anche un secondo significato: infatti, la mela allude al Paradiso terrestre ed
all'episodio che ne comportò la cacciata dell'Uomo. Ad esempio, quando nel paragrafo
20 lo scrittore irlandese fa dire al protagonista HCE "For then was the age when hoops ran high, of a pomme full grave and a fammy of levity. (.) newt" ,
senz'altro si riferisce all'allontanamento dell'uomo dall'Eden, ma al tempo
stesso intende alludere, anche con l'accenno a quel "newt" (che letteralmente
vuol dire "geco, ma in realtà sembra un tipico gioco di parole joyciano per
indicare Newton), alla nuova rivoluzione che è in corso nel mondo scientifico.
Ancora più chiaro è uno spezzone di discorso tratto dal paragrafo 505:
dapprima, infatti, si ha la frase "Let's
hear what science has to say, pundit-the-next-best-king. Splanck!" ,
in cui è evidentissimo il richiamo a quel Planck che aveva formulato la
meccanica quantistica, ma con un nome chiaramente deformato, quasi a riprodurre
il suono della caduta della mela e della scienza classica; la risposta,
immediatamente successiva, è "Upfellbowm",
un nonsense che però ha lo stesso suono del tedesco Apfelbaum, ovvero "melo", ed al tempo stesso richiama con l'infisso
fell l'idea della caduta. Si potrebbe, dunque, ipotizzare, che
il Paradiso perso dall'umanità intera sia quello di un mondo che la scienza
possa perfettamente spiegare, e che invece è entrato in crisi con le nuove
teorie fisiche che introducono anche in quel mondo, che fino ad allora era
stato il regno della precisione e dell'esattezza, un'incertezza ed
un'indeterminazione mai sperimentate prima. Del resto, anche alcuni critici,
come Debenedetti, hanno voluto ricercare nell'esplosione delle forme e delle
strutture del romanzo che si ha nelle opere di Joyce come un effetto delle
nuove teorie fisiche: i personaggi, infatti "si dissolvono in una miriade di
corpuscoli" ed i narratori, "nella narrativa come nella fisica, (.) hanno rotto
il gioco del racconto consequenziale, azionato da meccanismi di causa-effetto,
e sono sempre più disposti ad ammettere le leggi di probabilità, a cui la
fisica delle particelle è giunta nel capitolo della meccanica quantistica" (e,
aggiungeremmo noi, proprio con Heisenberg).
La
scomparsa della verità oggettiva in "La coscienza di Zeno"
Già dalla premessa del suo romanzo principale, Svevo afferma
evidentemente il crollo di qualunque tipo di verità assoluta ed incontestabile:
la lettera del dottor S., infatti, dichiara apertamente come il manoscritto con
cui il lettore si appresta a confrontarsi sia in realtà un misto di verità e
menzogna. Il racconto fatto da Zeno, dunque, di vari episodi significativi
della propria vita è composto da questi due elementi, che appaiono del tutto
indistricabili: non si può, infatti, espungere gli elementi falsi da quelli
veritieri, perché la narrazione viene condotta dall'interno di un personaggio
che, soffrendo di una forma di nevrosi, non può essere per nulla oggettivo
sugli oggetti della propria "malattia". L'ottica di Zeno è, in realtà, l'unica
ottica presentata al lettore; e la scoperta della realtà dei fatti rimane una
chimera. Svevo mostra così il punto d'arrivo del proprio percorso di
allontanamento dal positivismo, in quanto rifiuta la possibilità di conoscere
la realtà in modo assolutamente univoco, per avvicinarsi ai "maestri del
sospetto" della cultura occidentale, quali Marx, Nietzche e Freud, e a Schopenauer,
che dell'approccio critico alla realtà di questi pensatori era stato il
precursore. Ma anche questo accostamento di Svevo ad alcuni filosofi non deve
far pensare ad una completa adesione: in molti casi, infatti, si assisterà
soltanto alla ripresa di alcuni concetti in una prospettiva prevalentemente
conoscitiva, piuttosto che risolutiva. Ne è un esempio la critica al marxismo
mossa con l'apologo "La tribù", oppure il rifiuto della noluntas schopenhaueriana come soluzione al dolore universale.
Anche la psicanalisi, fulcro di tutto il romanzo non solo in
quanto suo argomento, ma soprattutto, come afferma il critico Saccone, in
quanto "è inscritta programmaticamente nel progetto sveviano (.) e perciò
imponeva l'uso di categorie interpretative che la psicoanalisi stessa ha
interpretato",
è affrontata con spirito estremamente critico. Svevo, infatti, non la intende
come un'efficace terapia medica (influenzato in questo anche dalla propria
esperienza biografica: il proprio cognato, in cura presso lo stesso Freud, non
era riuscito a risolvere i propri problemi ed aveva finito per suicidarsi), e
neppure come un'efficace ideologia che possa descrivere l'intero sistema
sociale; preferisce, invece, limitarsi ad intenderla come uno strumento
conoscitivo, attraverso il quale è possibile, almeno in parte, cercare quei
barlumi di verità che ancora risulta possibile recuperare. È infatti il caso
degli innumerevoli segnali che Svevo dissemina tra le pieghe delle pagine
redatte da Zeno; un esempio lampante ne è il lapsus in occasione del funerale
del cognato. Questo episodio, infatti, ben lungi dall'essere una sbadata
dimenticanza come invece vorrebbe farci credere lo Zeno auctor, è in realtà l'emblema di quanta antipatia il protagonista
nutra, per quanto segretamente, per Guido, il quale peraltro ricorda gli
antagonisti già presenti negli altri romanzi di Svevo, quali per esempio lo
Stefano Balli di Senilità oppure il Macario
di Una vita. L'importanza data alla
psicanalisi ha portato un altro critico, Mario Lavagetto, a vedere l'intero
romanzo come una sorta di "compendio" della Psicopatologia
della vita quotidiana, e proprio l'episodio del funerale scambiato è la
base di una tale interpretazione. Appare dunque assolutamente necessario anche
per la comprensione del romanzo, oltre che per inquadrare l'intero periodo
storico, esaminare il pensiero freudiano.