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La costituzione e piero calamandrei




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LA COSTITUZIONE E PIERO CALAMANDREI








 


Sommario



Introduzione


1 - Situazione storica: dopoguerra


2 - Storia della Costituzione:

dallo Statuto Albertino all'Assemblea Costituente


3 - Lo spirito: il compromesso costituzionale


4 - La struttura della Costituzione

4.1 - La Costituzione: principi fondamentali

4.2 - La Costituzione: diritti e doveri


5 - Piero Calamandrei

5.1 - Calamandrei e la Costituzione

5.2 - Calamandrei e la letteratura


Bibliografia


Introduzione



"Grandi voci lontane, grandi nomi lontani. Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti! Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione! Dietro ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta. Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, è un testamento, è un testamento di centomila morti"

Queste, ed altri mille scritti piene di spirito, di patriottismo e di entusiasmo di Piero Calamandrei ci possono aiutare a ripercorrere i momenti, i personaggi, gli ideali che hanno atteso, auspicato, partorito la nascita della nostra Costituzione.


La Costituzione, in un certo senso, è il nostro specchio, ma uno specchio molto particolare, che, in certe circostanze, riflette ciò che siamo; in altre, ciò che non siamo, ma vorremmo essere; in altre ancora, forse, ciò che dovremmo ma non vorremmo essere.

Nel discorso del nostro attuale Presidente della Repubblica, in occasione delle celebrazioni per l'anniversario della Costituzione colpisce un'annotazione all'Italia di oggi:

"Non posso non rilevare come troppi siano oggi i casi di non osservanza delle leggi e delle regole, di scarso rispetto delle istituzioni ma anche di scarso senso del limite nei rapporti tra le istituzioni, di indebolimento dello spirito civico e, in ciascuno, del senso delle proprie responsabilità. Così come non posso non esprimere allarme per ogni smarrimento di valori essenziali come quello della tolleranza e della libertà di confronto tra diverse posizioni di pensiero e ideali. Da tutto ciò traggo più che mai l'incitamento a un forte ancoraggio nei principi e nello spirito della Costituzione nata sessant'anni orsono:"[2]


Si può dire che la figura di Piero Calamandrei riassuma nella sua grande personalità quel senso di legalità, di ispirazione ai grandi ideali, di amore per l'Italia e di fiducia negli italiani, di impegno e di responsabilità di cui oggi abbiamo tanto bisogno per dare nuova vita alla nostra Costituzione.


[] Perchè, vedete, la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta: lo lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno, in questa macchina, rimetterci dentro l'impegno, lo spirito, la volontà di mantenere quelle promesse, la propria responsabilità.[3]

1 - SITUAZIONE STORICA: il dopoguerra


"Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra costituzione."[4]


L'Italia, nel conflitto mondiale, aveva scelto di schierarsi dalla parte degli aggressori e ne era uscita sconfitta, divisa, distrutta moralmente, prima ancora che economicamente.

La Resistenza ebbe perciò, nello specifico caso italiano, un particolare significato simbolico: il paese, infatti, si trovava dinanzi al compito di riscattarsi per ricostruire il proprio futuro e porre su basi nuove la convivenza all'interno della comunità nazionale.

Il fascismo era caduto per una 'congiura di palazzo' a opera del re e delle alte gerarchie del regime, intenzionate a impedire che l'inevitabile e ormai imminente crollo militare coinvolgesse l'intera classe dirigente.

Dopo l'armistizio dell'8 settembre, il paese era diviso in due: una parte, il Regno del sud, occupata dagli Alleati; l'altra, il centro-nord, occupata dagli ex alleati tedeschi e retta dal governo mussoliniano della Repubblica sociale, del tutto subalterno alla volontà di Hitler. A Roma si costituì il Comitato di liberazione nazionale (Cln) con il compito di organizzare la lotta contro il nazifascismo e di assumere, in prospettiva, la guida politica del paese. Ne facevano parte diversi partiti, d'ispirazione ideale a volte antitetica: il Partito liberale, il Partito socialista, la Democrazia cristiana, il Partito d'Azione, il Partito comunista. Nel Cln si delinearono due posizioni: attendere la liberazione del centro-nord da parte degli Alleati (posizione definita 'attendista') o iniziare una guerra di liberazione: chi scelse la seconda via, dando vita alle formazioni partigiane, lo fece perché riteneva che ciò fosse necessario per riscattare il paese e porre le premesse di una società nuova, radicalmente diversa da quella del passato.

Nel centro-sud una vera e propria lotta di liberazione non ebbe luogo, anche se Napoli si liberò da sola attraverso un'insurrezione popolare (settembre 1943) e numerosi furono a Roma gli episodi di guerriglia contro i nazisti: uno di questi, che costò la vita a 32 militari tedeschi, fu seguito dal massacro delle Fosse ardeatine, l'uccisione per rappresaglia di 335 italiani. Nonostante l'impegno della Resistenza romana, la capitale fu liberata dagli Alleati nella loro avanzata verso nord nel giugno del 1944.

Nel centro-nord, invece, si costituirono inizialmente bande partigiane, formate da militari sbandati dopo l'8 settembre, renitenti alla leva, giovani, intellettuali, operai, che successivamente si organizzarono in formazioni regolari, sino a costituire, nella primavera del 1944, un vero e proprio esercito di liberazione nazionale, il Corpo volontari della libertà. Le formazioni partigiane rispecchiavano diversi orientamenti politici e ideologici: vi erano quelle comuniste (brigate Garibaldi), azioniste (brigate Giustizia e Libertà), socialiste (brigate Matteotti), democristiane, badogliane, indipendenti. Ad accomunarle era l'idea di dover lottare attivamente contro i nazisti occupanti e i fascisti della Repubblica sociale per liberare il paese. Fu una guerra di quasi due anni, che costò la vita a circa 50 000 partigiani, cui vanno aggiunti almeno l0 000 civili. I nazifascisti risposero alla guerriglia con rastrellamenti, deportazioni, veri e propri massacri: particolarmente efferati furono quelli di Boves in Piemonte e di Marzabotto in Emilia, dove le SS sterminarono 1830 persone.

La Resistenza italiana conobbe momenti di alta partecipazione popolare, ma anche altri di isolamento politico nei confronti del governo di Roma e degli Alleati. L' atteggiamento di questi ultimi, infatti, mirava a sostenere la lotta partigiana nelle retrovie tedesche, evitando nel contempo che essa assumesse eccessiva importanza politica, perché temevano che, a liberazione avvenuta, potessero avviarsi processi rivoluzionari o s'instaurassero forme di potere capaci di mettere in discussione i tradizionali equilibri sociali e politici italiani.

Nell'aprile 1945, mentre le forze alleate avanzavano nella pianura padana, la mobilitazione degli operai e il convergere delle brigate partigiane sui grandi centri urbani accelerarono la disfatta dei tedeschi. Tra il 24 e il 26 aprile 1945 Genova, Torino e Milano e poi via via tutte le città del nord insorsero e si liberarono: il 25 aprile 1945 è la data ufficiale della liberazione dell'Italia.

La guerra di liberazione fu, da parte del nostro popolo, la riscoperta della dignità dell'uomo.

2 - STORIA DELLA COSTITUZIONE:  dallo Statuto Albertino all'Assemblea Costituente

Lo Stato italiano nasce, da un punto di vista istituzionale, con la legge del 17 marzo che attribuisce a Vittorio Emanuele II, «Re di Sardegna», e ai suoi successori, il titolo di «Re d'Italia». È la nascita giuridica di uno Stato italiano. La continuità tra il Regno di Sardegna e quello d'Italia è normalmente sostenuta in base all'estensione dell'applicazione della sua legge fondamentale, lo Statuto albertino concesso da Carlo Alberto di Savoia nel , a tutti i territori del regno d'Italia progressivamente annessi al regno sabaudo nel corso delle guerre d'indipendenza.

Lo Statuto albertino fu simile alle altre costituzioni rivoluzionarie vigenti nel e rese l'Italia una monarchia costituzionale, con concessioni di poteri al popolo su base rappresentativa. Era una tipica costituzione concessa dal sovrano e, da un punto di vista giuridico, si caratterizzava per la sua natura 'flessibile', ossia derogabile ed integrabile in forza di atto legislativo ordinario. Poco tempo dopo la sua entrata in vigore, proprio a causa della sua flessibilità, fu possibile portare l'Italia da una forma di monarchia costituzionale pura a quella di monarchia parlamentare, sul modo di operare tradizionale delle istituzioni inglesi.

A causa della mancanza di rigidità dello Statuto, col giungere del fascismo lo Stato fu deviato verso un regime autoritario dove le forme di libertà pubblica fin qui garantite vennero stravolte: le opposizioni vennero bloccate o eliminate, la Camera dei Deputati fu abolita e sostituita dalla «Camera dei fasci e delle corporazioni»; il diritto di voto fu cancellato; diritti, come quello di riunione e di libertà di stampa, furono piegati in garanzia dello Stato fascista. Tuttavia lo Statuto Albertino, nonostante le modifiche, non fu formalmente abolito.

Nel , verso la fine della seconda guerra mondiale, Benito Mussolini perse il potere, il re Vittorio Emanuele III nominò il maresciallo Pietro Badoglio per presiedere un governo che ripristinò in parte le libertà dello Statuto; iniziò così il cosiddetto «regime transitorio», di cinque anni, che terminò con l'entrata in vigore della nuova Costituzione e le successive elezioni politiche dell'aprile 1948, le prime della storia repubblicana. Ricomparvero quindi i partiti antifascisti costretti alla clandestinità, riuniti nel Comitato di liberazione nazionale, decisi a modificare radicalmente le istituzioni per fondare uno Stato democratico.

Con il progredire e il delinearsi della situazione, con i partiti antifascisti che iniziavano ad entrare nel governo, non fu possibile al re di riproporre uno Statuto Albertino eventualmente modificato e la stessa monarchia, giudicata compromessa con il precedente regime, era messa in discussione. La divergenza, in clima ancora bellico, trovò una soluzione temporanea, una «tregua istituzionale», in cui si stabiliva la necessità di trasferire i poteri del re al figlio, quindi la convocazione di una Assemblea Costituente incaricata di scrivere una nuova carta costituzionale, eletta a suffragio universale (giugno 1944). Fu poi esteso il diritto di voto alle donne (febbraio 1945) e, ormai raggiunto il silenzio delle armi, fu indetto il referendum per la scelta fra repubblica e monarchia (marzo 1946).

Dopo i sei anni della seconda guerra mondiale e i venti anni della dittatura, il 2 giugno si svolsero contemporaneamente il referendum istituzionale e l'elezione dell'Assemblea Costituente, con la partecipazione dell'89% degli aventi diritto. Il 54% dei voti (più di 12 milioni) fu per lo stato repubblicano, superando di 2 milioni i voti a favore dei monarchici (che contestarono l'esito).

L'Assemblea fu eletta con un sistema proporzionale. Dominarono le elezioni tre grandi formazioni: la Democrazia Cristiana, che ottenne il 35,2% dei voti e 207 seggi; il Partito socialista, 20,7% dei voti e 115 seggi; il Partito comunista, 18,9% e 104 seggi.

3-LO SPIRITO: il "compromesso" costituzionale

"Uno dei miracoli del periodo della Resistenza fu la concordia fra partiti diversi, dai liberali ai comunisti, su un programma comune. Era un programma di battaglia: Via i fascisti! Via i tedeschi!

Questo programma fu adempiuto. Ma il programma comune di pace, fu fatto in un momento successivo. E fu la Costituzione."[6]

L'intesa che permise la realizzazione della costituzione è stata più volte definita «compromesso costituzionale», consistente in una commistione di concezioni politiche diverse, risultato di reciproche rinunce e successi.

La Costituente verrà sciolta il 31 dicembre 1947, dopo aver adottato la Costituzione il 22 dicembre con 453 voti contro 62. La Costituzione entra in vigore il primo gennaio 1948.

Guardando l'allora dall'oggi, noi non possiamo non stupirci di fronte a quello che è stato definito il 'miracolo costituente', la creazione dal quasi-nulla, cioè da rovine e macerie, di una nuova vita nazionale. La nazione sembrava perduta. Il nazionalismo fascista, caduto il regime, aveva lasciato il posto a divisioni e risentimenti: innanzitutto tra fascisti e antifascisti, che si erano combattuti in una cruenta guerra civile, ma poi anche entro le stesse forze antifasciste.

L'idea o l'ideale nazionale, tuttavia, non erano affatto scomparsi.

La responsabilità ricadde tutta intera sui partiti, i soggetti attivi di questa ricostruzione morale nazionale. Tuttavia, venuta meno l'unità antifascista per cessazione del suo scopo, dopo la Liberazione, essi si trovarono quasi subito divisi da un solco profondo. I fattori della divisione erano numerosi, di ideologie e di interessi, nonché di atteggiamento verso la religione e la Chiesa cattolica: motivi diversi che si trovarono a essere, per così dire, organizzati e polarizzati dalla grande divisione postbellica del mondo tra i blocchi capitalista e comunista.

Era una condizione del tutto sfavorevole all'opera dell'Assemblea costituente; una condizione che avrebbe dovuto inclinare al più cupo pessimismo. Invece il ripudio della guerra e l'aspirazione alla pace sconfissero le tante ragioni di divisione che avrebbero altrimenti fatto fallire la missione di dare all'Italia una costituzione, la sua prima costituzione unitariamente e democraticamente deliberata.

Il bisogno di pace e riconciliazione sarebbe stato frustrato se non fossimo riusciti, innanzitutto tra di noi, e poi tra i popoli che avevano partecipato alla guerra, a mettere fine alla violenza e a progettare un avvenire comune. Questo fu l'imperativo dell'Assemblea costituente, tanto più categorico in quanto un suo fallimento avrebbe inevitabilmente riaperto ferite, rinfocolato odi e risuscitato fazioni. La ripresa della guerra civile, con caratteri classisti, con le prevedibili disastrose conseguenze anche sugli equilibri internazionali, non era da escludere.

L'Assemblea costituente ebbe il merito storico di contrastare e vincere questo pericolo. La Costituzione fu il grande patto stipulato per la pace.

La Costituzione come patto, dunque. In una condizione di pluralismo politico, non poteva essere altrimenti. Ogni semplificazione unilaterale sarebbe stata un tentativo di imposizione che avrebbe suscitato repulsione e conflitto e avrebbe significato il fallimento dell'opera costituente. Come ogni patto, anche la Costituzione si basa su reciproche rinunce e reciproche concessioni tra le posizioni in campo. Al cosiddetto 'compromesso costituzionale' furono date opposte valutazioni, fin dal primo momento.

Togliatti, per rispondere a chi al termine "compromesso" attribuiva un senso dispregiativo, si espresse così davanti alla Assemblea:

'Che cos'è un compromesso? [] abbiamo cercato di arrivare a un'unità, cioè di individuare quale poteva essere il terreno comune sul quale potevano confluire correnti ideologiche e politiche diverse, un terreno comune che fosse abbastanza solido perché si potesse costruire sopra di esso una costituzione, cioè un regime nuovo, uno Stato nuovo abbastanza ampio per andare al di là anche di quelli che possono essere gli accordi politici contingenti dei singoli partiti. Se questa confluenza di diverse concezioni su un terreno ad esse comune volete qualificarlo come 'compromesso', fatelo pure. Per me, si tratta invece di qualcosa di molto più nobile e elevato, della ricerca di quell'unità che è necessaria per poter fare la costituzione non dell'uno o dell'altro partito, non dell'una o dell'altra ideologia, ma la costituzione di tutti i lavoratori italiani, di tutta la nazione».


A 60 anni di distanza, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel suo intervento al Parlamento per le celebrazioni dell'anniversario della Costituzione Italiana così si è espresso in proposito:

"Appare ormai oziosa la disputa sul termine con cui definire quel risultato: se lo si definisce 'compromesso', con ciò intendendo l'accordarsi su un'ibrida composizione di orientamenti divergenti e inconciliabili, non si coglie quel che nella Costituente vi fu di ascolto reciproco, di scambio e di avvicinamento sul piano ideale, di riconoscimento di istanze e sensibilità comuni; quel che vi fu di paziente ricerca di punti d'incontro e di soluzioni condivisibili, di accettazione degli esiti alterni della prova del voto su materie controverse, e dunque di spirito di moderazione e di senso della missione."[7]

Anche Piero Calamandrei, esaltò sempre il valore del compromesso. Egli fu però piuttosto critico sulla sostanza e l'impostazione della Costituzione, denunciando un'impressione di eterogeneità, contraddizione, confusione e, alla fine, debolezza costituzionale. Egli, infatti, da giurista autentico, avvezzo a vedere nei diritti una pretesa realmente esigibile, rintracciava nella stesura della Costituzione un problema di metodo; questo a suo parere avrebbe potuto provocare quella stessa sfiducia dei cittadini, che aveva caratterizzato molte leggi in periodi antecedenti della storia italiana.

"Bisogna evitare che nel leggere questa nostra Costituzione, gli Italiani dicano, dopo aver letto ognuno dei suoi articoli: non è vero nulla!"[8]

Egli avrebbe preferito una Costituzione più semplice, breve, lineare, ma con una chiara distinzione tra i programmi o gli impegni da un lato e i diritti esigibili dall'altro.

"Nella nostra Costituzione ad articoli che consacrano veri e propri diritti azionabili, coercibili, accompagnati da sanzioni, articoli che disciplinano e distribuiscono poteri e fondano organi per esercitare questi poteri, si trova frammista una quantità di disposizioni vaghe, le quali non sono vere e proprie norme giuridiche nel senso preciso e pratico della parola, ma sono precetti morali, definizioni, velleità, programmi, propositi; magari manifesti elettorali, magari sermoni: che sono tutti camuffati da norme giuridiche, ma norme giuridiche non sono."


Le divisioni politiche si manifestarono subito, addirittura durante i lavori della Costituente. Furono però tenute fuori dall'aula dove si lavorava per la Costituzione, come tutti i testimoni di quell'epoca hanno confermato. Le elezioni politiche dell'aprile 1948 - dunque a ridosso dell'entrata in vigore della Carta costituzionale - segnarono una svolta. La Costituzione continuava a rimanere in vigore ma sembrava non rispecchiare più la geografia politica del Paese.

La conseguenza fu non l'abrogazione ma la sterilizzazione, il blocco. Sulla Costituzione, in modo non immediatamente visibile, si giocava una partita decisiva per la connotazione politica del nostro Paese. Chi, letta la Costituzione, l'avesse confrontata con la realtà, avrebbe dovuto concludere che si parlava di un altro Paese. In quello reale, il potere era accentrato, mentre in quello virtuale (costituzionale) doveva essere decentrato per mezzo di forti autonomie; in quello reale, i diritti dei cittadini erano ancora disciplinati dalle norme dei codici e delle leggi di pubblica sicurezza approvati sotto il Fascismo, mentre in quello virtuale si proclama la libertà della persona umana in tutte le sue dimensioni, individuali e sociali.

Ne derivò la conseguenza che la Carta costituzionale, che pur nessuno, o quasi nessuno, contestava in sé, da luogo dell'unità che era stato, divenne un terreno privilegiato di tensione tra partiti. La sua attuazione diventava progetto politico di parte, l'opposizione, contro l'immobilismo della maggioranza, che fu qualificato da Calamandrei coll'espressione paradossale di 'ostruzionismo della maggioranza'.

4- LA STRUTTURA DELLA COSTITUZIONE

I principi fondamentali

Parte prima: diritti e doveri dei cittadini

l       I - Rapporti civili

l       II - Rapporti etico-sociali

l       III - Rapporti economici

l       IV - Rapporti politici

Parte seconda: ordinamento della Repubblica

l       I - Il Parlamento

l       II - Il Presidente della Repubblica

l       III - Il Governo

l       IV - La Magistratura

l       V - Le regioni, le Province, i Comuni

l       VI - Garanzie costituzionali

Disposizioni transitorie e finali


4.1 La Costituzione: i principi fondamentali

La Costituzione è caratterizzata da alcuni principi fondamentali preesistenti e superiori a qualsiasi legislazione, che ne hanno ispirato la redazione e che pertanto non sono revisionabili.

n Il principio democratico e il lavoro                                 

Art. 1.

L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Calamandrei fa una riflessione amara collegando questi principi, la democrazia e il lavoro, all'art. 3 della Costituzione evidenziando una contraddizione giuridica, un miscuglio di diritti e propositi.


Nella nostra Costituzione c'è un articolo che è il più impegnativo []"E' compito. di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana" ! Quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità d'uomini.

Soltanto quando questo sarà raggiunto si potrà veramente affermare che la formula contenuta nell'articolo 1: "L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro", corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c'è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica, perché una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto un'uguaglianza di diritto, è una democrazia in cui tutti i cittadini veramente siano messi in grado di concorrere alla vita della società, di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messi a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la società.

E allora voi capite da questo che la nostra Costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte: in parte è ancora un programma, un impegno, un lavoro da compiere.[10]

n Il valore della persona                                                       

Art. 2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Art. 4. La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

La Costituzione coglie la tradizione liberale. Tali diritti sono considerati diritti naturali, non creati giuridicamente dallo Stato ma ad esso preesistenti. Tale interpretazione è agevolmente rinvenibile nella parola 'riconoscere' che implica la preesistenza di un qualcosa. Tale impostazione, stimolata dalla componente d'ispirazione cattolica dell'assemblea costituente, fu il frutto di una sentita reazione al totalitarismo.                                                           


lL' uguaglianza

Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.


Come è affermato con chiarezza nell'art.3, tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge (uguaglianza formale) e devono essere in grado di sviluppare pienamente la loro personalità sul piano economico, sociale e culturale (uguaglianza sostanziale).

"Ma c'è una parte della Costituzione che è una polemica contro il presente, contro la società. Perché quando l'articolo vi dice: "E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli d'ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana", riconosce con ciò che questi ostacoli oggi ci sono, di fatto, e che bisogna rimuoverli. Dà un giudizio, la Costituzione! Un giudizio polemico, un giudizio negativo contro l'ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare attraverso questo strumento di legalità, di trasformazione graduale che la Costituzione ha messo a disposizione dei cittadini italiani."[11]

lPrincipio di tolleranza

Art. 7. Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.     

Art. 8. Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.

lIl pacifismo

Art. 11. L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.


4.2 -La Costituzione: diritti e doveri

La parte prima della Costituzione è composta da 42 articoli, e si occupa dei diritti e dei doveri dei cittadini.

"E' stato detto giustamente che le Costituzioni sono delle polemiche [] Questa polemica di solito è una polemica contro il passato recente, contro il regime caduto da cui è venuto fuori il nuovo regime. Se voi leggete la parte della Costituzione che si riferisce ai rapporti civili e politici, ai diritti di libertà, voi sentirete continuamente la polemica contro quella che era la situazione prima della Repubblica, quando tutte queste libertà che oggi sono elencate e riaffermate solennemente erano sistematicamente disconosciute. Ed è naturale che negli articoli della Costituzione ci siano ancora echi di questo risentimento e ci sia una polemica contro il regime caduto e l'impegno di non far risorgere questo regime, di non far ripetere e permettere ancora quegli stessi oltraggi."[12]


Rapporti civili (dall'articolo 13 al 28)

Le libertà individuali: gli articoli dal 13 al 28 affermano che la libertà è un valore sacro, che il domicilio è inviolabile, che ogni cittadino può soggiornare e circolare liberamente.

le libertà collettive: gli articoli dal 17 al 21 affermano che i cittadini italiani hanno il diritto di riunirsi e di associarsi liberamente; che ogni persona ha il diritto di professare liberamente il proprio credo; che ogni individuo è libero di professare il proprio pensiero, con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di comunicazione.

Durante l'esperienza dell'Assemblea, Calamandrei aderisce alla posizione, dei sostenitori dei diritti di libertà come diritti supercostituzionali, nel senso che essi dovessero essere collocati accanto ai principi fondamentali dell'ordinamento repubblicano, non sottoponibili nemmeno alla procedura di revisione costituzionale. Tale posizione, però, evidentemente non passò.

lRapporti etico-sociali (dall'articolo 29 al 34)

la famiglia gli articoli dal 29 al 31 affermano che la repubblica italiana riconosce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, e afferma anche che è di dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli.

la salute l'art.32 afferma che la repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo.

l'arte e la cultura l'art.33 afferma che l'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento.

la scuola l'art.34 afferma che la scuola è aperta a tutti.

lRapporti economici e rapporti politici (dall'articolo 35 al 53)

l'organizzazione del lavoro: gli articoli dal 35 al 47 affermano che la repubblica tutela il lavoro, il lavoratore, e le organizzazioni sindacali.

le elezioni: l'art.48 afferma che sono elettori tutti i cittadini italiani; e che il voto è personale, libero e segreto.

le tasse: l'art.53 afferma che tutti i cittadini sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.

5 - PIERO CALAMANDREI

Nato a Firenze nel 1889, C. si laureò in legge a Pisa nel 1912; nel 1915 fu nominato per concorso professore di procedura civile all'Università di Messina; poi a Modena, a Siena e infine nel 1924 alla nuova Facoltà giuridica di Firenze, dove tenne fino alla morte la cattedra di diritto processuale civile.

Dal padre Rodolfo, avvocato professore universitario, aveva ereditato non solo il culto del diritto, ma anche il fine gusto letterario e l'amore della campagna e delle città toscane, di Firenze soprattutto e infine un prezioso patrimonio di ideali civili e di convinzioni politiche. Partecipò alla Grande Guerra come ufficiale volontario combattente. Durante il fascismo rifiutò la tessera del PNF: fu subito antifascista, come per istinto, senza illusioni nè esitazioni, come invece accadde ad altri intellettuali. Egli disse che "era giunto il tempo in cui gli appartati nelle biblioteche furono costretti ad alzare la testa dai libri e affacciarsi alla finestra". Non furono tanto le ragioni politiche quanto la spinta morale a farlo scendere in campo. Del fascismo non condivideva, oltre che gli ideali, nemmeno le modalità, lo stile brutale e squadrista.

Finché poté fu antifascista aperto, a partire dalla firma del "manifesto degli intellettuali" di Benedetto Croce; mostrò il suo coraggio civile con estrema fermezza. Si dimise da professore universitario per non sottoscrivere una lettera di sottomissione al «duce» che gli veniva richiesta dal Rettore del tempo. Poi quando l'opposizione fu costretta al silenzio continuò la sua attività antifascista facendo parte di movimenti clandestini e criticando, nel suo diario personale, l'immobilità degli italiani e l'asservimento degli intellettuali.

Da rigoroso giurista quale era, anche sotto il fascismo aveva sempre difeso con ostinato e solitario coraggio il principio di legalità, ma era sopraggiunto il nazismo con i suoi mostruosi ordini e ad un certo punto erano apparse anche in Italia le infami leggi razziali che della legge avevano soltanto l'ipocrita veste. Di fronte a leggi così inique che calpestavano i diritti dell'uomo e del cittadino sussisteva ancora il dovere dell'applicazione? Gli fu da monito il detto di Cesare Beccaria che diceva: "non vi è libertà ogniqualvolta le leggi permettono che in alcuni eventi l'uomo cessi d'esser persona e diventi cosa." Sosteneva che non bisogna confondere la giustizia in senso giuridico, che vuol dire conformità alle leggi, con la giustizia in senso morale, che dovrebbe essere tesoro morale di tutti gli uomini."

Al pari di molti altri giuristi, l'unica attività pubblica del C. fu in quegli anni la partecipazione ai lavori di riforma della codificazione e può certo dirsi che il suo contributo al nuovo codice di procedura civile del 1942 fu notevole. Sulle ragioni di questa partecipazione, per lui e per gli altri, si discute ancora con molta cautela. Sappiamo che egli era stato sempre ben consapevole delle implicazioni politiche del lavoro "tecnico" del giurista e dunque questo fu il modo attraverso il quale si riuscì a spuntare (o a limare) gli aculei ideologici della più ambiziosa opera legislativa concepita dal regime fascista.[15]

Nel 1941 aderì a «Giustizia e Libertà» e nel 1942 fu tra i fondatori del Partito d'Azione.

Nel 1943 viene denunciato da un collega avvocato per uno sfogo antifascista, si rifiuta di scrivere una lettera di smentita, si dimette da professore e si allontana da Firenze. Caduto Mussolini il 25 luglio 1943 è nominato rettore dell'università fiorentina. Dopo l'8 settembre è costretto nuovamente ad abbandonare Firenze: c'è già l'ordine di arrestarlo; si rifugia in Umbria dove rimarrà fino all'arrivo degli alleati.

Rientra a Firenze la notte del 28 agosto 1944. Dopo lo sconforto amaro di tanti anni, è il momento della fiducia. La fondazione della rivista politico-letteraria il "Ponte", nella primavera 1945, quando ancora la guerra non è finita, è il segno di questa fiducia.

Inizia così lo stretto rapporto fra C. e la Costituzione. Egli partecipò attivamente ai lavori parlamentari come componente della Giunta delle elezioni della commissione d'inchiesta e della Commissione per la Costituzione. All'interno della Costituente fece parte della Commissione dei 75, incaricata di redigere il progetto della Costituzione. I suoi interventi nei dibattiti dell'assemblea ebbero larga risonanza, anche se rimasero spesso inascoltati, o almeno non giunsero a tradursi in precise norme costituzionali; famosi specialmente i suoi discorsi sul piano generale della Costituzione, sugli accordi lateranensi, sulla indissolubilità del matrimonio, sul potere giudiziario.

Nel 1948 fu deputato per «Unità socialista».

Morì a Firenze nel 1956.


5.1 Calamandrei e la Costituzione

Nei rapporti tra Calamandrei e la Costituzione non è difficile distinguere quattro fasi che corrispondono a quattro momenti diversi, abbastanza bene caratterizzati, di una battaglia politica che continuò senza soste.

La prima fase è quella del preannuncio della Costituzione democratica e dell'Assemblea costituente e dell'affermazione della loro necessità (1945-1946).

La seconda fase è quella del contributo dato alla scrittura della stessa Costituzione, svolto con assiduità di deputato del Partito d'azione all'Assemblea costituente (1946-1947) e accompagnato da intensità di scritti e di discorsi. Partecipò attivamente ai lavori di preparazione della Costituzione come membro della Commissione dei 75 e come relatore su1l'ordinamento della magistratura e sulla Corte costituzionale.

La terza fase è quella, che occupa circa sette anni dell'intensa sua vita, compreso il quinquennio di ulteriore attività parlamentare (1948-1955) in cui Calamandrei è un uomo fortemente deluso ma estremamente combattivo. Deluso, in parte, per gli stessi contenuti e per alcune formulazioni della Carta costituzionale, ma soprattutto deluso per la mancata attuazione della stessa, da lui continuamente denunciata in scritti giuridici e politici, anche se la sua posizione non è del tutto priva di speranza.

Infine la quarta fase è quella dell'ultimo anno della sua vita, in cui le speranze si riaccendono per l'avvenuta entrata in funzione della Corte Costituzionale, da lui tanto fortemente auspicata negli anni precedenti e per l'estensione della cui competenza Calamandrei condusse una grande battaglia.

A cavallo fra le ultime due fasi, molto significativo, e quanto mai attuale, il Discorso ai giovani studenti milanesi nel 1955 nel quale traspare la paura che la costituzione rimanga carta morta, ferma, priva di vita e quindi di senso. Si intravede però anche la speranza e l'incitamento verso i giovani che sappiano leggere nella Costituzione lo spirito che le ha dato vita e darle gambe ed entusiasmo affinché gli intenti diventino azioni e i buoni propositi diritti reali.

Domandiamoci che cosa è per i giovani la Costituzione.

La Costituzione deve essere considerata, non come una legge morta, deve essere considerata, ed è, come un programma politico. La Costituzione contiene in sé un programma politico concordato, diventato legge, che è obbligo realizzare.

[] La parte più viva, più vitale, più piena d'avvenire, della Costituzione, non è costituita da quella struttura d'organi costituzionali che ci sono e potrebbero essere anche diversi: la parte vera e vitale della Costituzione è quella che si può chiamare programmatica, quella che pone delle mete che si debbono gradualmente raggiungere e per il raggiungimento delle quali vale anche oggi, e più varrà in avvenire, l'impegno delle nuove generazioni.

E allora voi capite da questo che la nostra Costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte: in parte è ancora un programma, un impegno, un lavoro da compiere.

Quanto lavoro avete da compiere! Quanto lavoro vi sta dinanzi!

Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l'indifferenza alla politica, l'indifferentismo, che è, non qui per fortuna, in questo uditorio ma spesso in larghi strati, in larghe categorie di giovani. E' un po' una malattia dei giovani, l'indifferentismo.

Quando sento pronunciare questo discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia storiellina che qualcheduno di voi conoscerà: di quei due migranti, due contadini che attraversano l'oceano su un piroscafo traballante. Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l'altro stava sul ponte e si accorgeva che c'era una gran burrasca con delle onde altissime. Il piroscafo oscillava e allora quando il contadino, impaurito, domanda ad un marinaio: "Ma siamo in pericolo?" e quello dice: "Se continua questo mare, fra mezz'ora il bastimento affonda". Allora lui corre nella stiva, va a svegliare il compagno e grida:" Beppe, Beppe, Beppe!". - "Che c'è?". -" Se continua questo mare, fra mezz'ora il bastimento affonda!". E quello: "Che me ne importa, non è mica mio!".

Questo è l'indifferentismo alla politica: è così bello, è così comodo, la libertà c'è, si vive in regime di libertà, ci sono altre cose da fare che interessarsi di politica.

[ ] Però la libertà è come l'aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso d'asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent'anni e che io auguro a voi giovani di non sentire mai. E vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso d'angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso d'angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, vigilare dando il proprio contributo alla vita politica.

La Costituzione, vedete, è l'affermazione, scritta in questi articoli che dal punto di vista letterario non sono belli, ma è l'affermazione solenne della solidarietà sociale, della solidarietà umana, della sorte comune: ché, se va a fondo, va a fondo per tutti questo bastimento.

E' la carta della propria libertà, la carta, per ciascuno di noi, della propria dignità d'uomo.

Io mi ricordo le prime elezioni dopo la caduta del fascismo, il 2 giugno 1946. Questo popolo che da venticinque anni non aveva goduto le libertà civili e politiche, per la prima volta andò a votare, dopo un periodo d'orrori, di caos, la guerra civile, le lotte, le guerre, gli incendi.

Io ero, ricordo, a Firenze. Lo stesso è capitato qui: queste file di gente disciplinata davanti alle sezioni, disciplinata e lieta, lieta perché aveva la sensazione di aver ritrovato la propria dignità: questo dare il voto, questo portare la propria opinione, per contribuire a creare questa opinione della comunità, questo essere padroni di noi, del proprio paese, del nostro paese, della nostra patria, della nostra terra, disporre noi della nostre sorti, delle sorti del nostro paese.

Quindi voi, giovani, alla Costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere, sentirla come cosa vostra, metterci dentro il senso civico, la coscienza civica, rendervi conto, rendervi conto, che ognuno di noi non è solo, non è solo; che siamo in più, che siamo parte anche di un tutto, un tutto nei limiti dell'Italia e del mondo.

5.2 Calamandrei e la letteratura

Calamandrei in gioventù era effettivamente stato poeta, così come continuò ad essere pittore ed autore letterario per tutta la vita. E poeta si era sempre mantenuto nell'animo, pur coltivando i suoi studi giuridici con il rigore dell'autentico scienziato. Fu considerato l'autentico 'cantore della Resistenza'.

Da tutti i suoi scritti traspare il tumulto dei suoi sentimenti: l'accorata tenerezza per le bellezze d'Italia, insidiate e distrutte dai nuovi Unni, la vergogna delle umiliazioni passate, lo strazio per il ritorno della barbarie e della tortura, il sacrificio sublime dei giovani, l'accorrere delle moltitudini; quel tumulto si componeva nella bellezza di una prosa nitida e robusta, di immagini e di movenze stupende.

Un fine gusto letterario traspare ed esalta l'amore di C. per la campagna e per le città toscane, per Firenze soprattutto. "In Italia e specialmente in Toscana ogni borgo, ogni svolto di strada, ogni collina, ha un volto, come quello di una persona viva" - egli disse in un suo discorso del 1944 a Firenze. Un esempio lo troviamo nel suo libro "Uomini e città della Resistenza", nel quale egli rievoca cento figure eroiche e ripercorre cento luoghi di combattimento e di sacrificio; anche se scritti in prosa, sono un autentico poema.

Fra questi, C. prima di addentrarsi nello scempio, nella brutalità, nel dolore che la guerra ha provocato nella provincia apuana, fa una mirabile descrizione dell'ambiente, come a voler far apparire ancor più crudeli e scellerate le ferite inferte a questo splendido territorio.

"In quei giorni terribili io ero qui, vicino a Marina di Massa. Questo paesaggio apuano, voi lo sapete che ci siete nati, è uno dei più belli d'Italia; forse uno dei più belli del mondo. Soltanto qui queste Alpi di marmo, che in certi tramonti sembrano fatte di roseo fiato, si spingono a picco così vicine al mare che quasi lo toccano; e tra il mare azzurro e le montagne rosee le pinete col loro verde cupo fanno da ponte. E' un paesaggio dal quale, in ognuno di questi sui componenti, spira un senso non solo di bellezza, ma anche di purezza e di lindura: un quadro fatto di colori semplici e puliti, come se fossero nuovi, appena creati."[17]


Numerose e intense anche le iscrizioni a memoria e le epigrafi. Fra le più famose quelle per il camerata Kesselring che rappresentano un esempio di poesia altissima. Processato nel 1947 per crimini di Guerra (Fosse Ardeatine, Marzabotto e altre orrende stragi di innocenti), Albert Kesselring, comandante in capo delle forze armate di occupazione tedesche in Italia, fu condannato a morte. La condanna fu commutata nel carcere a vita. Ma già nel 1952, in considerazione delle sue 'gravissime' condizioni di salute, egli fu messo in libertà. Tornato in patria fu accolto come un eroe e un trionfatore dai circoli neonazisti bavaresi. Calamandrei con triste e tragica ironia scrisse:


RITORNO DI KESSELRING

NON È PIÙ VERO NON È PIÙ VERO

O FUCILATI DELLA RESISTENZA

O INNOCENTI ARSI VIVI

DI SANT'ANNA E DI MARZABOTTO

NON È PIÙ VERO

CHE NEL ROGO DEI CASALI

DIETRO LE PORTE INCHIODATE

MADRI E CREATURE

TORCENDOSI TRA LE FIAMME

URLAVANO DISPERATAMENTE PIETÀ

AI CAMERATI GUASTATORI

CHE SI GLORIARONO DI QUELLE GRIDA

SIA RESA ALFINE GIUSTIZIA

RIPRENDANO TORCE ED ELMETTI

SI SCHIERINO IN PARATA

ALTRI ROGHI DOVRANNO ESSERE ACCESI

PER LA FELICITÀ DEL MONDO

NON PIÙ FIORI PER LE VOSTRE TOMBE

SONO STATI TUTTI REQUISITI PER FARE LA FIORITA

SULLE VIE DEL LORO RITORNO

LI COMANDERÀ ANCORA

COLL'ONORE MILITARE

CUCITO IN ORO SUL PETTO

IL CAMERATA KESSELRING

IL VOSTRO ASSASSINO


Pochi giorni dopo il suo rientro a casa, Kesselring ebbe l'impudenza di dichiarare pubblicamente che non aveva proprio nulla da rimproverarsi, ma che - anzi - gli italiani dovevano essergli grati per il suo comportamento durante i 18 mesi di occupazione, tanto che avrebbero fatto bene a erigergli un monumento.

A tale affermazione rispose ancora Piero Calamandrei, il 21 dicembre 1952 con il discorso in occasione dell'inaugurazione della lapide 'ad ignominia' con la famosa epigrafe, collocata nell'atrio del Palazzo Comunale di Cuneo in segno di imperitura protesta per l'avvenuta scarcerazione del criminale nazista.

"Ma pure bisogna parlare: parlare per spiegare non a voi, ma ad altri fuori di qui, il significato di questa cerimonia di oggi: spiegare perché la sera del 31 ottobre 1952 i cittadini e i partigiani di Cuneo, di tutti i partiti, di tutte le formazioni, stretti intorno alla rappresentanza comunale, abbiano decretato all'unanimità di appagare l'ambizione del maresciallo Kesselring di avere un monumento in Italia.[.]

Sì, certo, Kesselring è prima di tutto un uomo: un vecchio uomo malato, curvo, anche lui, come tutti noi, sotto il suo fardello di carne mortale, segnato dal destino. Di lui, dell'uomo Kesselring, del privato Kesselring, non ci curiamo [] Di questi cosiddetti «criminali di guerra» la massima parte, migliaia, centinaia di migliaia, sono tornati in circolazione: uno di più uno di meno, un Kesselring di più un Kesselring di meno, è la stessa cosa. Ce li vediamo passare accanto, e dobbiamo reprimere dentro di noi il moto di ribellione o di disgusto. E forse è bene che sia così: bisogna cer­care di ricominciar la vita, cercare quello che accomuna non quello che disgrega. Non possiamo dimenticare, forse non possiamo perdonare, se non con uno sforzo di pietà cristiana di cui non tutti sono capaci: ma tollerare sì. [.]

Ma qui non si tratta di dimenticare o di perdonare, o anche solo di tollerare il vecchio che ha espiato la sua pena e che esce dalla prigionia trasformato e consapevole dei suoi misfatti, o almeno discreto e silenzioso, disposto a starsene in disparte come un vinto rassegnato alla sorte. Il monumento a KesseIring mai sarebbe venuto in mente ai seri e gravi cuneesi di decretarlo, se KesseIring appena liberato colla sua spudorata tracotanza non l'avesse reclamato: perché quello che allarma e offende i nostri cuori, o cittadini cuneesi, non è che Kesselring e gli altri briganti nazisti, e i briganti neri loro servitori in Italia, siano stati rimessi in libertà; la caccia all'uomo, la inutile crudeltà non rientra nel nostro gusto. Quello che ferisce e indigna è che questi amnistiati, appena tornati in libertà, non si mostrino pentiti o si appartino per rimanere ignorati; e invece non tardino un minuto a mettersi di nuovo in prima linea, colla stessa audacia, colla stessa spavalderia, e non solo non cerchino di nascondere per vergogna le gesta con cui hanno insanguinato il mondo, ma le ostentino, ma se ne glorino, e faccian capire che sarebbero pronti a ricominciare e che con quello stesso fervore e con quello stesso sangue essi saranno domani i salvatori del mondo."[18]






LA LAPIDE AD IGNOMINIA

LO AVRAI

CAMERATA KESSELRING

IL MONUMENTO CHE PRETENDI DA NOI ITALIANI MA CON CHE PIETRA SI COSTRUIRÀ

A DECIDERLO TOCCA A NOI

NON COI SASSI AFFUMICATI DEI BORGHI INERMI

STRAZIATI DAL TUO STERMINIO

NON COLLA TERRA DEI CIMITERI

DOVE I NOSTRI COMPAGNI GIOVINETTI

RIPOSANO IN SERENITÀ

NON COLLA NEVE INVIOLATA DELLE MONTAGNE

CHE PER DUE INVERNI TI SFIDARONO

NON COLLA PRIMAVERA DI QUESTE VALLI

CHE TI VIDERO FUGGIRE

MA SOLTANTO COL SILENZIO DEI TORTURATI

PIÙ DURO D'OGNI MACIGNO

SOLTANTO CON LA ROCCIA DI QUESTO PATTO

GIURATO FRA UOMINI LIBERI

CHE VOLONTARI SI ADUNARONO

PER DIGNITÀ NON PER ODIO

DECISI A RISCATTARE

LA VERGOGNA E IL TERRORE DEL MONDO.


SU QUESTE STRADE SE VORRAI TORNARE

AI NOSTRI POSTI CI RITROVERAI

MORTI E VIVI COLLO STESSO IMPEGNO

POPOLO SERRATO INTORNO AL MONUMENTO

CHE SI CHIAMA

ORA E SEMPRE

RESISTENZA










BIBLIOGRAFIA


La Costituzione della Repubblica italiana annotata da L.Cattani -Ed-CETIM-BRESSO - 1979



La Costituzione - introduzione di G. Zagrebelsky - GRUPPO Ed. L'ESPRESSO - 2008



Uomini e città della resistenza Piero Calamandrei Ed. TEMPI NUOVI LATERZA - 1955.



Scritti e discorsi politici - Piero Calamandrei - Ed. LATERZA



Le ombre dell'Europa. Democrazie e totalitarismi nel XX secolo - Mazower Mark - Ed. Garzanti -2000




Altre fonti di informazione:

www.wikipedia.it

www.ossimoro.it

www.romacivica.net






Cfr. P. Calamandrei - Discorso agli studenti milanesi - 1955

Cfr. Intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al Parlamento per le celebrazioni del 60° anniversario della Costituzione Italiana - 23 gennaio 2008

Cfr. P. Calamandrei - Discorso agli studenti milanesi - 1955

Cfr. P. Calamandrei - Discorso agli studenti milanesi - 1955

Cfr. Mazower Mark -Le ombre dell'Europa democrazie e totalitarismi nel XX secolo - Garzanti - 2000

Cfr. P. Calamandrei - Discorso agli studenti milanesi - 1955

Cfr. Intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al Parlamento per le celebrazioni del 60° anniversario della Costituzione Italiana - 23 gennaio 2008

Cfr. P. Calamandrei- Chiarezza nella Costituzione 1947 (discorso all'Assemblea Costituente)

Ibidem

Cfr. P. Calamandrei - Discorso agli studenti milanesi - 1955

Cfr. P. Calamandrei - Discorso agli studenti milanesi - 1955

Cfr. P. Calamandrei - Discorso agli studenti milanesi - 1955


Cfr. Galante Garrone introduzione a Calamandrei Uomini e città della resistenza - Ed. Tempi Nuovi Laterza - 1955


Cfr. Galante Garrone introduzione a Calamandrei Uomini e città della resistenza. - Ed. Tempi Nuovi Laterza - 1955

Ibidem

Cfr. Galante Garrone introduzione a Calamandrei Uomini e città della resistenza - Ed. Tempi Nuovi Laterza - 1955

Cfr. P. Calamandrei - Uomini e città della resistenza - Ed. Tempi Nuovi Laterza - 1955


Cfr. P. Calamandrei - Uomini e città della resistenza - Ed. Tempi Nnuovi Laterza - 1955


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