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La concezione del Bello nel Decadentismo




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La concezione del Bello nel Decadentismo



Nel Decadentismo, tale concetto di "bello" prende il significato di "estetismo". Questa tendenza è ben incarnata dai tre maggiori romanzi decadenti europei: "Controcorrente"(1884) di Huysmans, "Il piacere"(1889) di Gabriele D'Annunzio e "Il ritratto di Dorian Gray"(1891) di Oscar Wilde.

Il ritratto di Dorian Gray è l'unico romanzo scritto dall'autore irlandese; la prefazione di tale romanzo è considerata dalla critica come il manifesto dell'estetismo in cui viene espresso il celebre concetto del culto dell'arte senza scopo, fine a se stesso.

Protagonista del romanzo è Dorian Gray, un giovane di grande bellezza, soggetto di un ritratto, eseguito dal pittore Basil Hallward, il quale prova attrazione per il giovane. Altro personaggio, che ha un ruolo fondamentale nella trama, è Lord Henry Wotton, il portavoce del principio estetico del romanzo; sarà proprio quest'ultimo a far cambiare Dorian, che perde la sua semplicità fino a stringere un vero e proprio "patto con il diavolo", dalla chiara ispirazione letteraria (è infatti facile ravvisare in questo patto la storia del Doctor Faustus di Marlowe o del Faust di Goethe), attraverso il quale sarà il ritratto ad invecchiare al posto di Dorian. La storia si concluderà con la crisi del protagonista, che finirà per lacerare il quadro con un coltello; ma i servi troveranno invece il quadro intatto e Dorian invecchiato e con un coltello conficcato nel petto.

Fra i tre maggiori romanzi europei decadenti il secondo è "Il piacere" di Gabriele D'Annunzio, opera-manifesto dell'estetismo italiano ma anche espressione della crisi di tale estetismo. Protagonista di questo romanzo è un esteta, tale Andrea Sperelli, il quale non rappresenta altro che un vero e proprio doppio dell'autore, che usa tale espediente per riversare nel personaggio la propria insoddisfazione per l'estetismo. Insoddisfazione rappresentata dal conflitto in Andrea della componente estetica ("vivere la vita come un'opera d'arte") con la scarsa forza di volontà, e che finisce per sfociare in una vera e propria crisi. Tale crisi è rappresentata dal rapporto con la donna, anzi con le due immagini di donna possibili: la "femme fatale" rappresentata da Elena Muti, e la donna pura, rappresentata da Maria Ferres. Andrea sarà combattuto in tutto il romanzo nella scelta tra queste donne, creando una serie di menzogne, atte a mascherare l'ammirazione per la donna fatale.

Dal punto di vista della struttura del romanzo, sono presenti influssi del romanzo verista, nel tentativo di ricostruire minuziosamente il quadro della società; ma è presente anche l'influenza del romanzo psicologico di Bourget, dal momento che D'Annunzio indaga nella psiche del personaggio.

Strettamente collegato sia alla figura di Gabriele D'Annunzio, sia al concetto di estetismo, è il regime fascista. Collegato a D'Annunzio in quanto fu proprio il poeta ad esprimere concetti che saranno poi abbracciati e attuati dal fascismo, come quello della necessità di un "duce" che guidasse una "rivoluzione"; tale duce non fu lo stesso D'Annunzio ma il ben più abile Benito Mussolini, e tale rivoluzione fu (o sembrò) la marcia su Roma.

La ragione del collegamento tra fascismo ed estetismo è ravvisabile nelle manifestazioni del regime. Si può notare infatti un gusto quasi estetico per la teatralità delle parate e della propaganda. Basti ricordare le manifestazioni di piazza in cui il duce veniva osannato, le scritte "DUX" durante tali avvenimenti, le tantissime foto dalla studiata composizione, come ad esempio quella del duce su di un trattore o al lavoro nei campi. Tale teatralità è amplificata dalla mimica e dal linguaggio adottato nei discorsi, il tutto potenziato dal massiccio uso dei nuovi mezzi di comunicazione di massa, quali radio e cinema, con la fondazione di appositi enti (Istituto Luce), i quali erano addetti ai cinegiornali di attualità, dal chiaro intento propagandistico.

Tutti questi espedienti, atti ad aumentare il consenso, furono essenzialmente gli stessi adottati dall'altro regime totalitario di estrema destra, il nazismo.

Dal punto di vista filosofico, l'idea di estetismo del XIX secolo è ben rappresentata dalla filosofia esistenzialista di Søren Kierkegaard. Tale filosofo pone la massima attenzione nella sua ricerca filosofica sul concetto di possibilità; infatti la vita umana è caratterizzata dalla scelta: l'uomo deve scegliere tra vari stadi dell'esistenza, estetico, etico o religioso. Tra tali stadi non vi è continuità, cioè non c'è la possibilità di passare da uno stadio all'altro in maniera graduale, ma soltanto un enorme salto, come indicato emblematicamente da una delle sue opere: "Aut-aut".

Ad ogni stadio di vita Kierkegaard associa una figura emblematica, per ben rappresentare il concetto che vuole esprimere. Allo stadio estetico è associato il seduttore, analizzato sotto diversi aspetti; allo stadio etico è associata la figura del marito, mentre allo stadio religioso è associata la figura di Abramo.

Lo stadio estetico è definito da Kierkegaard come la forma di vita di chi esiste nell'attimo. Chi aderisce a questo tipo di vita è un esteta, cioè un uomo che ha un senso finissimo nel trovare l'interessante della vita. Come già detto, la figura emblematica dello stadio estetico è il seduttore. Ma tale figura è rappresentata da tre personaggi diversi: il primo è Don Giovanni, quel seduttore che va di fiore in fiore cercando il piacere immediato; il secondo è Faust, il quale vuole possedere soltanto una donna, ma nella sua totalità; il terzo è Johannes, il quale evita il mero possesso fisico, in quanto ciò elimina il piacere fisico, ma vuole possedere totalmente l'anima della donna oggetto della sua attenzione.

Tale modo di vivere esclude la ripetizione, ma in esso Kierkegaard trova un limite: è la noia, che porta irrimediabilmente l'esteta alla disperazione.

Collegato al concetto di possibilità in Kierkegaard vi è il concetto di angoscia. Infatti l'uomo, avendo tale facoltà di scelta, si trova di fronte ad un'infinita gamma di possibilità: non potendo sceglierne che una, prova tale sentimento di angoscia.

Profondamente connessa al tema dell'angoscia, ma più in generale a tutta la filosofia di Kierkegaard, è l'opera del pittore espressionista Edvard Munch "Il grido", noto anche come "L'urlo".

Tale dipinto, forse il più noto del pittore norvegese, ha un carattere fortemente autobiografico, in quanto nel diario dell'artista si trova una descrizione di un avvenimento che poi il pittore avrebbe immortalato sulla tela. L'opera ha anche un forte impianto simbolico: il personaggio al centro rappresenta il dramma dell'umanità; le due persone sullo sfondo rappresentano la falsità dei rapporti umani; il ponte rappresenta gli ostacoli della vita. Come già in altre opere di Munch, i personaggi non hanno più nulla di umano, come ad esempio la borghesia in "Sera nel corso Karl Johann" oppure proprio come il protagonista de "Il grido". Caratteristica fondamentale del dipinto è che l'urlo emesso dal personaggio centrale, quasi spettrale, sembra riecheggiare nelle nostre menti, soprattutto grazie alla curvatura della natura (cielo e mare) e alla curvatura del corpo stesso, che sembrano richiamare alla nostra mente la rappresentazione di un'onda sonora.



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