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Italo Svevo
Italo Svevo nasce il 19 dicembre 1861 a Trieste da una famiglia di origine ebraica benestante, proveniente dall'Ungheria, il padre Francesco Schmitz, la madre Allegra Moravia. Nel 1874, viene mandato dal padre a vivere e a studiare, assieme ai due fratelli Adolfo ed Elio, al collegio di Segnitz, in Baviera, dove studia il tedesco e altre materie utili per l'attività commerciale.
Dopo quattro anni torna a Trieste e finisce il suo percorso di studi commerciali all'Istituto Revoltella. Nonostante gli studi commerciali, riesce ad avere una buona conoscenza letteraria leggendo prima i classici tedeschi e successivamente i classici italiani. Nel 1880, con il fallimento dell'azienda paterna, trova un impiego presso la filiale cittadina della Banca Union di Vienna, iniziando la collaborazione con L'Indipendente, giornale di ampie vedute socialiste, firmandosi E. S., oppure E. Samigli.
Nel 1892 avviene la pubblicazione del suo primo romanzo Una vita, a firma di Italo Svevo; l'opera viene sostanzialmente ignorata dalla critica e dal pubblico. In quell'anno ha una relazione con Giuseppina Zargol, che ispirò poi il personaggio di Angiolina in Senilità.
Dopo alcune collaborazioni con il giornale Il piccolo e una cattedra all'Istituto Revoltella, nel 1895 Svevo si fidanza con la cugina, Livia Veneziani, figlia di un commerciante cattolico di vernici sottomarine, che sposa nel 1896 con rito civile, e nel 1897, dopo aver abiurato la religione ebraica ed essersi convertito, con matrimonio religioso. Dalla donna ha una figlia, Letizia.
Nel 1898 pubblica il secondo romanzo, Senilità; anche quest'opera passa però sotto silenzio. Questo insuccesso letterario lo spinge quasi ad abbandonare del tutto la letteratura.
Dimessosi dalla banca, nel 1899 Svevo entra nell'azienda del suocero, accantonando la sua attività letteraria. Costretto per lavoro a viaggi all'estero, mentre frequentava un corso d'inglese alla Berlitz School di Trieste nel 1907, conosce lo scrittore irlandese James Joyce, suo insegnante, che lo incoraggiò a scrivere un nuovo romanzo; intorno al 1910 entra in contatto con la psicoanalisi freudiana: entrambi gli eventi influenzeranno la successiva produzione letteraria.
Allo scoppio della prima guerra mondiale, l'azienda nella
quale lavorava per conto dei suoceri fu chiusa dalle autorità austriache. Nel 1919
Svevo collaborò con il giornale
Nel 1926 la rivista francese Le navire d'argent gli dedicò un intero fascicolo; nel 1927 Svevo tenne una famosa conferenza su Joyce a Milano, e nel marzo 1928 venne festeggiato a Parigi tra molti noti scrittori europei.
Il quarto romanzo, Il vecchione o Le confessioni del vegliardo, rimarrà incompiuto a causa della morte dello scrittore, avvenuta il 13 settembre 1928 nell'ospedale di Motta di Livenza, in seguito ad un incidente stradale avvenuto mentre tornava da una gita con la famiglia a Bormio.
Con questa presa di posizione si passa già dalla cultura alla poetica di Svevo.
Negli anni dell'elaborazione della Coscienza di Zeno e dell'ultima produzione narrativa e teatrale, la letteratura è da lui concepita come recupero e salvaguardia della vita. L'esistenza vissuta viene sottratta al flusso oggettivo del tempo. Soltanto se l'esistenza sarà narrata , sarà possibile evitare la perdita dei momenti importanti della vita e rivivere nella parola letteraria l'esperienza vitale del passato, i desideri e le pulsioni che nella realtà sono spesso repressi e soffocati. Su questa tesi di fondo si aprono Le confessioni del vegliardo. La vita può essere difesa solo dall'"inetto", dall'ammalato o dal nevrotico, da chi nella società è un 'diverso', e dunque dallo scrittore.
Da Dostoevskij e da Sterne Svevo desume la spinta all'analisi profonda dell'io e a un rinnovamento radicale delle strutture narrative. Su questo piano agisce anche l'influenza di Joyce. Essa si risolve però in molteplici gestioni culturali (l'attenzione all'inconscio) e nella tendenza a correlare l'analisi del profondo alla ricerca di un nuovo impianto narrativo più che in una effettiva analogia di soluzioni formali. La confessione di Zeno resta ben lontana dal 'flusso di coscienza' dell'Ulisse, il capolavoro di Joyce.
Una vita (1892). Alle origini il romanzo venne presentato all'editore Trevez con il titolo Un inetto; in seguito Svevo fu invitato dallo stesso Trevez a modificare il titolo del romanzo, reintitolandolo così 'Una vita'. Detto ciò il romanzo presenta nello schema una storia tardoverista, configurandosi come racconto di un vinto, cioè di un uomo sconfitto dalla vita. Ma rispetto al romanzo naturalista è evidente lo scarto: Alfonso è sconfitto non da cause esterne, sociali, ma interiori, proprie del suo modo di essere. Il protagonista incarna la figura dell'inetto, cioè di un uomo caratterizzato non da un'incapacità generica, ma da una volontà precisa di rifiutare le leggi sociali e la logica della lotta per la vita.
Nel appare sull'Indipendente a puntate il suo secondo romanzo Senilità che verrà pubblicato, sempre a spese dell'autore, nello stesso anno ma non otterrà alcun successo.
Nel inizia a scrivere il suo terzo romanzo, La coscienza di Zeno, che pubblicherà nel 1923 presso l'editore Cappelli di Bologna
Joyce, che legge il romanzo e lo apprezza, consiglia l'amico
di inviarlo ai critici francesi V. Larbaud e B.
Cremieux che nel 1926 dedicheranno a
L'opera riassume l'esperienza umana di Zeno, il quale racconta la propria vita in modo così ironicamente disincantato e distaccato che l'esistenza gli appare tragica e insieme comica.
Zeno ha maturato delle convinzioni: la vita è lotta, l'inettitudine non è più un destino individuale, come sembrava ad Alfonso o a Emilio, ma è un fatto universale; la vita è una 'malattia'; la nostra coscienza un gioco comico e assurdo di autoinganni più o meno consapevoli e in forza di tali assunti il protagonista acquista quella saggezza necessaria per vedere la vita umana come una brillante commedia e per comprendere che l'unico mezzo per essere sani è la persuasione di esserlo. Essa è caratterizzata da un'architettura particolare: il romanzo nel senso tradizionale non c'è più; subentra il diario, in cui la narrazione si svolge in prima persona e non presenta una gerarchia nei fatti narrati, a ulteriore conferma della frantumazione dell'identità del personaggio narrante.
Il protagonista, infatti, non è più una figura a tutto tondo, un carattere, ma è una coscienza che si costruisce attraverso il ricordo, ovvero di Zeno esiste solo ciò che egli intende ricostruire attraverso la sua coscienza.
II romanzo si apre con
"Il fumo" racconta dei vari tentativi attuati dal protagonista per guarire dal vizio del fumo, rappresentando la debolezza della sua volontà.
In "La morte di mio padre" è raccontato il difficile rapporto di Zeno con il padre, che culmina nello schiaffo dato dal genitore morente al figlio.
In "Storia del mio matrimonio" Zeno si presenta alla ricerca di una moglie. Frequenta casa Malfenti e si innamora di una delle figlie del padrone di casa, Ada, la più bella delle quattro; costei però lo respinge. Dopo essere stato rifiutato da un'altra delle ragazze, viene accettato dalla materna e comprensiva Augusta.
Nel capitolo "La moglie e l'amante", Zeno rievoca la relazione con Carla; egli non sa decidersi fra l'amore per la moglie e quello per l'amante, finché è quest'ultima a troncare il rapporto.
Il capitolo "Storia di un'associazione commerciale" è incentrato sull'impresa economica di Zeno e del cognato Guido. Sull'orlo del fallimento, Guido inscena un suicidio per impietosire i familiari, ma muore. Ada parte per Buenos Aires.
Qui terminano i capitoli del memoriale. Zeno, abbandonato lo psicanalista, scrive un altro capitolo, intitolato "Psico-analisi". Egli spiega i motivi dell'abbandono della cura e proclama la propria guarigione. Il protagonista indica l'idea che lo ha liberato dalla malattia: 'La vita attuale è inquinata alle radici'; in definitiva la capacità di convivere con la propria malattia è come una persuasione di salute.
Il finale è duplice: il primo comporta la dichiarazione di Zeno di essere 'guarito' perché è un uomo ricco e di successo (conclusione a lieto fine). Il secondo è contenuto nelle due pagine conclusive del romanzo e sembra non avere un collegamento con il personaggio 'Zeno'. Pertanto ci si affida a delle interpretazioni. Due sono le ricorrenti: il mondo sarà distrutto da una 'deflagrazione universale', un esplosivo collocato al centro della terra. Esso verrà fatto esplodere. Sarebbe il simbolo dell'impossibilità di risolvere il problema esistenziale dell'uomo. La seconda interpretazione sarebbe di tipo socio-politico, di impronta marxiana: quel mondo è la classe borghese che cadrà su se stessa.
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