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Italo svevo (1861-1928) - ideologia e poetica, la coscienza di zeno (1923)




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I T A L O  S V E V O (1861-1928)



I) Nasce a Trieste nel 1861 da una famiglia della borghesia commerciale di origine ebraica: suo nonno visse in Renania (Germania). Il suo vero nome è Ettore Schmitz: scelse di chiamarsi 'Italo' per dichiararsi 'italiano'; 'Svevo' per mostrare la sua origine tedesca. I primi studi li fece in Germania: fatto, questo, che lo metterà a disagio quando poi scriverà in italiano i suoi romanzi. Svevo non fu solo un romanziere, ma anche un critico letterario, drammatico e musicale, ma ebbe, come critico, poca fortuna, anche se prese come modello il De Sanctis; fu anche uno scrittore di opere teatrali (quasi sempre incomplete e rimaste inedite durante la sua vita) e un novelliere, ma senza successo.


II) A Trieste s'indirizzò verso studi di economia, frequentando un Istituto superiore commerciale. Il fallimento dell'azienda paterna lo costrinse a diventare nel 1880 un impiegato di banca, pur sentendo forte la vocazione letteraria. In banca lavorerà per 18 anni. Nel frattempo legge alcuni classici tedeschi, italiani e francesi. Notevole è il suo interesse per il filosofo irrazionalista Schopenhauer e per i grandi narratori realisti (Zola, Balzac, Flaubert). Legge anche Machiavelli, Guicciardini, Boccaccio e De Sanctis. Preferisce gli autori che s'impongono per la concretezza dei loro contenuti più che per la loro proprietà formale e stilistica.


III) Il suo primo romanzo, Una vita, fu pubblicato a sue spese nel 1892, ma passa inosservato. Narra di un giovane, Alfonso Nitti, venuto dalla provincia a Trieste per impiegarsi in una banca. Egli vive una doppia vita: una da impiegato, di cui non è contento; l'altra da studioso che coltiva sogni letterari. All'inizio le prospettive sembrano buone: Annetta, figlia del proprietario della banca, s'innamora di lui e con lui intraprende la stesura di un romanzo. Quando però Alfonso s'accorge che per Annetta questo impegno era solo un gioco, va in crisi e non sa più come comportarsi. Approfitta di una grave malattia della madre per allontanarsi dal lavoro. Si rende ogni giorno più conto d'essere totalmente incapace di reagire alle situazioni. In seguito alla morte della madre e al fidanzamento di Annetta con un giovane del suo ceto, Alfonso, dopo una spietata autoanalisi, si uccide.


IV) Il protagonista è dunque un inetto, un incapace a vivere la vita: non tanto perché non vuole inserirsi nella società borghese (vuota, superficiale), quanto perché contrappone a questa società un mondo velleitario di sogni irrealizzabili. E' un uomo in cui la paralisi della volontà, il suo stato di ansia e di incertezza hanno il sopravvento sulle critiche che la sua ragione muove alla società. Il romanzo inizia in modo realistico e naturalistico, ma si conclude in maniera psicologica (emotiva).


V) Nel 1898 pubblica Senilità, ma anche questo non ebbe successo. Il protagonista è Emilio Brentani, un impiegato triestino. Anche lui è un intellettuale con velleità letterarie. S'innamora di Angiolina, una donna dai facili costumi, che lui però crede ingenua e pura. Quando s'accorge dell'errore, spera di recuperarla alla vita onesta, ma non ci riesce. Così cerca una giustificazione (attenuanti) all'atteggiamento della moglie, facendone una vittima della società. Emilio non si suicida ma si toglie la facoltà di desiderare, perché non vede più davanti a sé una realtà da costruire.


VI) Il silenzio che accolse quest'opera lo demoralizzò al punto che per 25 anni non scrisse più niente. D'altra parte Svevo non frequentava i circoli letterari del suo tempo, né partecipava ai movimenti di idee che caratterizzavano l'inizio del secolo. La stessa Trieste era una città con una cultura autonoma, che se di quella italiana sapeva assorbire gli aspetti più realistici, si mostrava anche sensibile agli apporti culturali delle correnti slave e germaniche. Senza questo influsso, non sarebbe potuto nascere il 'romanzo analitico' di Svevo: il romanzo cioè che alla rappresentazione oggettiva dei fatti (Verismo) sostituisce quella di una complicata e profonda angoscia esistenziale, sostenuta dalla tecnica del monologo interiore, che è una tecnica di narrazione indiretta e automatica, per cui gli avvenimenti sono presenti solo attraverso il riflesso ch'essi hanno avuto nella coscienza del protagonista.


VII) Per rifarsi dagli insuccessi letterari, impara a suonare il violino e si mette a studiare l'inglese. L'insegnante era James Joyce (conosciuto nel 1905), che più tardi sarebbe diventato il più grande scrittore irlandese e uno dei più grandi del Novecento. A lui lesse Una vita e Senilità, che non dispiacquero a Joyce.


VIII) Nel '99 entra come socio nella ditta commerciale del suocero (vernici sottomarine). Dopo la I guerra mondiale (in cui parteggiò idealmente per gli italiani), scrisse l'ultimo suo romanzo, La coscienza di Zeno, che uscì nel 1923 (il libro risente molto delle polemiche intorno alle idee di Freud). Anch'esso in un primo momento venne ignorato. Senonché nel 1925, anche per sollecitazione di Joyce, due critici francesi esaltarono Svevo e l'ultimo suo romanzo, facendolo conoscere a tutta Europa. Due mesi prima, in Italia, anche Montale aveva manifestato la sua ammirazione per La coscienza di Zeno, imponendolo all'attenzione della critica italiana. Gli ultimi anni di Svevo furono quindi abbastanza felici. Morì nel 1928 per un incidente automobilistico.


Ideologia e poetica


IX) A Svevo non è mai interessato rientrare in quelle esperienze culturali italiane volte a superare la crisi post-risorgimentale nella valorizzazione della realtà e dei problemi regionali (ad es. il Verismo). Né gli premeva di ricercare nuovi miti e modelli di comportamento per una borghesia velleitaria o delusa (ad es. Decadentismo, Futurismo, ecc.). Il suo orientamento va piuttosto in direzione di una tematica esistenziale, verso la rappresentazione della solitudine e dell'aridità degli individui che avvertono con disperazione la loro incapacità di aderire alla vita. La sua poetica, in un certo senso, rientra nel vasto movimento decadentistico.


X) Della vita dell'uomo gli interessano non i rapporti sociali, ma gli impulsi più segreti e oscuri, che paralizzano, ovvero gli aspetti dissociati e contraddittori del pensiero e dell'agire. Nei suoi romanzi appare evidente che la solitudine e l'alienazione dei protagonisti sono manifestazioni di una 'malattia mortale' che corrode non solo i singoli individui, ma l'intera società borghese, per cui non c'è alcuna speranza che la situazione possa migliorare. C'è insomma un abisso incolmabile fra la consapevolezza con cui si avverte questa tragedia e la possibilità di un'azione costruttiva: anzi, quanto più è forte la consapevolezza, tanto più è forte l'incapacità di reagire. Svevo e Pirandello, in questo senso, si somigliano molto.


XI) Svevo si inserisce perfettamente in questa scoperta dell'inconscio (fatta da Freud), che è la strada anche di Proust e di Joyce, ed è questa la vera novità del suo romanzo. Svevo s'interessò molto di psicanalisi freudiana, che era stata divulgata negli anni successivi alla I guerra mondiale, ma il suo interesse è caratterizzato da uno spirito polemico e sottilmente ironico nei confronti di questa nuova disciplina. La psicanalisi viene vista come una terapia cui il protagonista dell'ultimo romanzo si sottopone scetticamente, per giungere, quasi contro questa stessa terapia, a ricostruire da solo le motivazioni profonde del suo comportamento.



La coscienza di Zeno



XII) Il protagonista, più che cinquantenne, è Zeno Cosini, un uomo che non essendo riuscito a smettere di fumare, arriva a farsi rinchiudere in una casa di cura (ove si verificano situazioni comiche: ad es. tentativo di seduzione di una matura infermiera per avere sigarette, sospetti sulla fedeltà coniugale della moglie, sino all'evasione notturna). Il dottore, vista l'inutilità dei primi metodi, lo aveva consigliato di scrivere la propria autobiografia, psicanalizzando se stesso, nella speranza di vederlo guarire. In realtà Zeno, quando inizia a scrivere il romanzo, lo fa in polemica con la terapia del dottore.


XIII) Il romanzo, in un certo senso, è come un diario a episodi (i 'ricordi') intercalato dal racconto vero e proprio (il 'monologo interiore'). Gli episodi principali sono il matrimonio con la seconda delle tre sorelle Malfenti, che non amava, dopo essere stato rifiutato dalle altre due, che amava. Le tappe che lo portano al matrimonio (così come a una relazione adulterina) sono casuali. Pur non avendo tatto, sa tradire la moglie senza destare il minimo sospetto. Ha fortuna negli affari, nonostante la scarsa stima di cui gode presso i parenti. Anzi, salva la posizione finanziaria del brillante cognato Guido, che sembrava destinato al successo. La morte del padre, la cui rievocazione gli suscita più che il dolore un profondo rancore: Zeno ricerca vanamente dentro di sé la commozione che gli appare doverosa nella circostanza, poi si rifugia in una inconsapevole ma comoda ipocrisia, al fine di sentirsi 'buono'.


XIV) Maggiormente analizzata è la malattia di Zeno, con tutti i suoi inutili quanto puntuali proponimenti di smettere di fumare. Zeno si considera 'malato', ma la sua malattia è da un lato 'immaginaria', dall'altro 'reale'. Immaginaria perché di comodo, reale perché gli condiziona di fatto tutta la vita. La vera malattia non è il tabagismo (che comunque nel romanzo resta irrisolta), ma l'alienazione, la netta divisione fra la ragione con cui egli analizza criticamente le contraddizioni della realtà e la volontà (i sentimenti) con cui cerca di affrontarle, che resta sempre impotente, conformistica, vuota. Lo scompenso fra la teoria e la prassi si rivela nei gesti con cui egli esprime proprio quello che non vorrebbe. Così, mentre agisce per conseguire un risultato, ne ottiene un altro; quando non s'interessa alle cose o alle persone è la volta che tutto gli riesce. Zeno stesso non sa giudicare se vale di più la furbizia o la fatalità.


XV) In questa condizione la psicanalisi non serve come terapia ma solo come metodo d'indagine dei sintomi della malattia: essa può solo offrire la coscienza dell'alienazione, non l'esperienza del suo superamento. Svevo, in pratica, si serve della psicanalisi per condannare l'ipocrisia della società borghese, ma non offre valide alternative. Le uniche due sono le seguenti: 1) prendere coscienza di questa tragedia umana e limitare le proprie ambizioni o pretese, vivendo più a contatto con le esigenze della natura (ma non nel senso della moglie di Zeno, la quale, nel romanzo, soffre meno di lui, perché vive di più il presente, adeguandosi alla realtà. Secondo Zeno invece la mancata consapevolezza dell'alienazione rende Augusta ancora più malata di lui). 2) L'altra alternativa è offerta dall'ironia, che permette all'uomo di sopravvivere, anche se non in maniera convincente, nelle assurde contraddizioni della società borghese. Svevo si serve anche dello strumento del tempo, nel senso che il fluire del tempo confonde la coscienza, finché ne giustifica le azioni, anche quelle negative. Ecco perché lo psicanalista viene considerato da Zeno come un 'uomo ridicolo', che s'illude di poter guarire il suo paziente,

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