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IL TEMPO "MISTO" ne "LA COSCIENZA DI ZENO", di ITALO SVEVO
Le idee di Joyce arrivarono fino a Trieste, dove furono accolte da Ettore Schmitz, conosciuto con lo pseudonimo di Italo Svevo. Svevo scrisse nel 1923 un romanzo che si configura come il racconto che il protagonista, Zeno Cosini, fa della sua vita a scopo terapeutico, su consiglio di uno psicanalista. Il romanzo fu recensito positivamente dallo stesso Joyce.
Anche in questo romanzo, come in quello di Sterne e in quelli di Joyce, è assente una vera e propria trama e la narrazione si articola per lo più attorno alle esperienze fondamentali della vita del protagonista, come il vizio del fumo, la morte del padre, il matrimonio e l'impresa commerciale del cognato Ogni tematica dà il titolo ad una sezione del romanzo che complessivamente ne conta sei, precedute da una prefazione e un preambolo, in cui il protagonista cerca di far riaffiorare le immagini della prima infanzia. Eventi avvenuti in epoche diverse o contemporanei vengono narrati al di fuori della successione, all'interno di quello che lo stesso Svevo definisce "tempo misto", proiezione sulla realtà della coscienza interiore di Zeno. Lo scopo del racconto è infatti quello di scoprire le ragioni della nevrosi del protagonista, non di scrivere una autobiografia che segua l'ordine in cui si sono succeduti gli avvenimenti. Spesso il passato ripercorre le strade del pensiero di Zeno e si confonde con il presente, formando un unico impasto non scindibile: all'ordinato susseguirsi degli avvenimenti secondo una disposizione lineare subentra un loro continuo intersecarsi secondo piani temporali diversi (il presente si insinua nel passato, il passato nel presente). Zeno frantuma la propria memoria in una miriade di ricordi, lasciando emergere solo le esperienze cruciali.
Il tempo della narrazione è "misto" anche perché gli avvenimenti che in esso si svolgono sono sempre alterati dal desiderio del narratore. Zeno, infatti, rievocando il passato, lo modifica, e a volte lo crea ex-novo. Il tempo non è più realtà oggettiva, ma una continua creazione della coscienza.
Il mio pensiero mi appare isolato da me. Io lo vedo. S'alza, s'abbassa. ma è la sua sola attività. Per ricordargli ch'esso è il pensiero e che sarebbe suo compito di manifestarsi, afferro la matita. Ecco che la fronte si corruga perché ogni parola è composta di tante lettere e il presente imperioso risorge ed offusca il passato. [.]
Mercé la matita che ho in mano, resto desto, oggi. Vedo, intravedo delle immagini bizzarre che non possono avere nessuna relazione col mio passato: una locomotiva che sbuffa su una salita trascinando delle innumerevoli vetture; chissà donde venga e dove vada e perché sia ora capitata qui!»
(Svevo, La coscienza di Zeno, Preambolo)
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