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Il tema della memoria - dacia maraini - bagheria




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IL TEMA DELLA MEMORIA

Dacia Maraini - Bagheria


Parlare della Sicilia significa aprire una porta rimasta sprangata. Una porta che avevo talmente bene mimetizzata con rampicanti e intrichi di foglie da dimenticare che ci fosse mai stata; un muro, uno spessore chiuso, impenetrabile. Poi una mano, una mano che non mi conoscevo, che è cresciuta da una manica scucita e dimenticata, una mano ardimentosa e piena di curiosità, ha cominciato a spingere quella porta strappando le ragnatele e le radici abbarbicate.[i]


E' così che Dacia Maraini si rivolge al suo lettore per raccontare finalmente la sua infanzia, il suo passato che l'ha tanto segnata. In questo romanzo Dacia cerca il filo conduttore della sua vita, dei suoi parenti, dei quali non aveva mai voluto sapere nulla, della sua vecchia abitazione, recupera la sua appartenenza, seppure parziale, a quel mondo contadino e paesano fatto di ulivi, di mare, di gelsomini.


La spinta a scrivere questo romanzo viene dalla frequentazione di alcuni amici palermitani e da una visita che essa stessa decide di fare insieme ad una sua amica romana, alla Villa Valguarnera, ricevuta dalla zia Saretta, dove ha vissuto la sua infanzia dopo il ritorno dal campo di concentramento giapponese.


La famiglia Maraini, trasferitasi in Giappone nel 1938 proprio per lasciare l'Italia fascista, nel 1943 fu internata in un campo di concentramento, dal quale ne uscì solo nel 1946. Tornati in Italia, Dacia e la sua famiglia si stabiliscono a Bagheria, devastata dalla guerra, con case che sembrano reggersi solo perchè si appoggiano le une alle altre alternate a palazzi baronali e strade che a momenti entrano nei vigneti. L'infanzia a Bagheria trascorre tra il ricordo ricorrente degli anni vissuti nel campo di concentramento, dove si combatteva la fame e la morte era ormai diventata una cugina, e la vita nella dépendance di villa Valguarnera, una ex-stalla dalla quale erano state ricavate tre stanzette con un bagno grande quanto una cabina di mare e con l'odore del pollaio sotto la finestra. Lo spazio era molto piccolo per una famiglia di cinque persone.


Se prima questo piccolo paese era salvo dalla mano profanatrice dell'uomo, possedeva ancora i suoi gelsi e gli altri alberi da frutto, oggi Bagheria è ormai sopraffatta da palazzi di cemento, dalla crudeltà della mafia, rovinata dalla politica blasfema che la Maraini attacca fortemente. Bagheria per la scrittrice è fonte di amore e di dolore, poiché vi ha passato parte della sua vita insieme alla sua famiglia e vi è perciò affezionata, ma allo stesso modo ha scoperto dei lati di quel mondo ingiusto al quale porta un irremovibile rancore.


Non ho mai indagato sul mio passato, non ho mai voluto sapere da dove venissero quelle ville, quelle terre, che per fortuna non ci appartenevano più ma erano lì a ricordare fasti lontani. Li ritenevo estranei con tutta la forza del mio giovane cuore borghese.[ii] E quindi Dacia solo adesso prova a ricordarsi i suoi parenti e dire qualcosa su di loro. Sua mamma, Topazia Alliata, era figlia della nonna Sonia, che aveva la larga faccia pallida e grandi occhi neri cerchiati di fumo, ed era di origine esotica; lei voleva fare la cantante lirica e invece, sposando il nobile Enrico, aveva dovuto ricoprire il ruolo di donna di società, e le era consentito cantare solo nelle feste di beneficenza.

L'autrice difende apertamente il padre, Fosco Maraini, toscano, figlio di una madre mezza inglese e mezza polacca, Yoi, che aveva inseguito e concretizzato sogni di libertà e di indipendenza, poiché era scappata di casa lasciando tre figlie e il marito per andare a Bagdad vagabondando, e finendo per sposarsi per amore a Firenze con Antonio Maraini, padre di Fosco.


Dacia ha sempre ripudiato i suoi parenti (quelli materni per lo più) perché li riteneva colpevoli, come tutte le famiglie aristocratiche siciliane, di contribuire all'accrescimento dei movimenti mafiosi per i loro tornaconti, infatti essa ammette: conoscevo troppo bene le arroganze e la crudeltà della Mafia che sono state proprio le grandi famiglie aristocratiche siciliane a fare prosperare perchè facessero giustizia per conto loro presso i contadini, disinteressandosi dei metodi che questi campieri usavano in nome loro, chiudendo gli occhi sugli abusi, sulle torture, sulle prepotenze infinite che venivano fatte sotto il loro naso ma fuori dal raggio delicato dei loro occhi.[iii]

In altre parti del testo è presente il tema della mafia; la scrittrice denuncia lo stato grave di Bagheria e della Sicilia in generale, aggiungendo che era proibito parlare di mafia, e se qualcuno sapeva qualcosa riguardo ai vari sicari, era meglio per lui fare finta di non sapere nulla, altrimenti poteva rischiare la vita.


Dacia lascia anche trasparire le piccole cose ereditate nel suo aspetto esteriore dai suoi parenti. Ad esempio, dichiara che i suoi capelli ricci e folti li ha ereditati da sua madre che a sua volta volta li ha ereditati da suo padre Enrico. Anche il colore dei capelli e gli occhi azzurri le sono stati trasmessi dal nonno Enrico, e altrettanto dalla madre ha ereditato l'antipatia per sua nonna Sonia, sua madre non l'ha mai amata. Inoltre dice che forse i piedi li ha ereditati dalla nonna Yoi, poiché la mamma di Dacia e sua nonna avevano la cipolla ai piedi, cosa che Dacia non ha. Sempre dalla nonna Yoi ha ereditato anche il suo amore per il vagabondaggio.


Anche se in minor parte, il tema dell'amore è presente in questo romanzo. L'autrice infatti racconta di una sera estiva in cui lei, suo padre e un suo amico toscano guardavano e ammiravano il cielo coperto di stelle, parlando dei misteri del cielo, alludendo anche alle filosofie dei più grandi pensatori di tutti i tempi (Eraclito, Talete, Newton, Galilei, Locke, Hume, Hegel, Marx, Einstein, Platone, Campanella, Pascal, Heidegger, Nietzche). Dacia scrive: Inutile dire che mi ero innamorata di quell'amico e lo covavo con gli occhi e con le orecchie, lo amavo per quel tanto che aveva diverso da me: bruno, asciutto, con qualcosa di saraceno negli occhi luminosi e nerissimi.[] Lo invidiavo per l'intimità che aveva con mio padre. Quel tanto di corrusca solidarietà che solo gli uomini sanno creare fra di loro, per una antica abitudine a fare corpo insieme, a distillare in comune un pensiero forte, libero.[iv]


Chiaramente la Maraini non fa passare inosservati i casi di stupro descrivendone alcuni e facendo capire quanto era normale che a Bagheria succedessero queste cose. Non era prevista una volontà femminile contro la bramosia maschile. Da qui la stretta parentela fra consenso alla semplice compagnia maschile da parte della donna e stupro. [] Perché è di ogni corpo virile la "presa" forzata e obbligatoria del corpo femminile, l'uomo non è responsabile dei suoi abusi. [] Questa la filosofia del bagariota.[v]


Non mancano altresì le critiche sullo stato del paese al giorno d'oggi. L'autrice riscontra un profondo cambiamento tra il paese della sua infanzia e il paese dopo parecchi anni: il parapetto di tufo che chiudeva il giardino, vedo, è smozzicato, in parte rollato. Pezzi di balaustra sono caduti verso valle. Di fianco, dove si vedeva il dorso di una morbida collina dalla grana tutta grigia e rugosa come la pelle di elefante ora c'è una ferita nella pietra e, in mezzo alla ferita, si erge un orribile palazzetto nuovo, color rosa confetto. La collina è stata sventrata, la montagna decapitata, sconciata, gli alberi divelti, distrutti, il paesaggio inutilmente rovinato. [] Vedo come hanno sfondato mezzo paese per far entrare l'autostrada nuova fiammante sotto casa, buttando giù gli antichi giardini, abbattendo colonne, capitelli, alberi secolari e mi si chiude la gola.[vi]


E' chiaramente evidente che il tema principale di questo romanzo è il tema della memoria, poiché si sviluppa proprio attraverso le memorie e i ricordi della scrittrice della sua infanzia. Questo tema è stato sviluppato dai più grandi pensatori filosofici di varie epoche, come Platone e Aristotele. Ma esso non è soltanto un tema di filosofia, ma è un tema radicato profondamente in ciascun essere umano, che ha il terrore di essere dimenticato. Non si potrebbe vivere senza la memoria, l'assenza di memoria è come una perdita d'identità, se non avessimo la memoria non sapremmo chi siamo, per questo è importante ricordare dei singoli momenti, dei frammenti che uniti insieme danno origine a ciò che abbiamo vissuto e che portiamo sempre con noi. I luoghi della memoria, i cosiddetti "loca" si memorizzano in modo completo e assoluto. Su questi luoghi si collocano le immagini. L'arte della memoria consiste nel collocar le immagini nei luoghi. Allora, se l'ambiente mi è molto familiare, ripercorrendo i luoghi, io vedo l'una dopo l'altra le immagini e questo è proprio quello che fa Dacia Maraini in Bagheria, associa tutte le sue immagini, i suoi ricordi all'ambiente in cui ha vissuto e cerca quello che è rimasto di quei lunghi cinque anni in cui ha vissuto in quel paesino della Sicilia.


Il romanzo è scritto con un linguaggio semplice, comprensibile, talvolta arricchito di espressioni dialettali siciliane per descrivere meglio la società, come il gelo di mellone, che era il tipico gelato di bagheria, oppure parca, oppure sciacquatunazzu che significa bello. Il linguaggio è arricchito di molte descrizioni, metafore e similitudini; tra le metafore, ricordiamo un sorriso propiziatorio verso un mondo adulto offuscato le cui divinità sembravano essersi scatenate alla mia nascita per giocare pericolosamente col mio futuro.[vii] tra le similitudini ricordiamo invece il paragone degli anziani, gli anziani sembravano chiusi come frutti di mare ormai morti e rinsecchiti dentro le conchiglie preziose in cui avevano creduto di potere conservare in eterno le loro perle semplicemente chiudendo le valve dentate.[viii]; oppure ricordiamo l'immagine del mare, di lontano il mare si apre come un ventaglio, turchino, leggero e polveroso.[ix]; oppure possiamo citare la fine del romanzo, in cui Dacia si incanta guardando il quadro di Marianna Ucrìa (sulla quale ha scritto un famoso romanzo), sono lì, impietrita a guardare quel quadro come se lo avessi riconosciuto con la parte più profonda dei miei pensieri: come se avessi aspettato per anni di trovarmi faccia a faccia con questa donna morta da secoli, che tiene fra le dita un foglietto in cui è scritta una parte sconosciuta e persa del mio passato bagariota.[x]


Questo romanzo si può collocare nella corrente della tradizione novecentesca, durante la quale il romanzo tende a normalizzarsi; recupera alcuni aspetti della struttura ottocentesca come l'importanza della trama e dell'azione, l'impianto realistico, e contemporaneamente riprende alcune delle soluzioni sperimentali che la narrativa d'avanguardia aveva elaborato, come le tecniche surreali, il monologo interiore, e la problematicità e pluralità di prospettive della narrazione. Questo tipo di romanzo tende a una misura sempre mobile, varia e originale fra oggettività narrativa e analisi interiore, realismo e surrealismo, norma e infrazione.


Negli anni in cui scrive la Maraini, è ormai radicata in Italia una narrativa borghese, nella quale il grado d'inventività non giunge mai a urtare la sensibilità comune. In genere si tratta di scrittori borghesi che scrivono sulla borghesia, come, ad esempio, Giorgio Bassani, Lalla Romano, Natalia Ginzburg. Questi scrittori, insieme a Dacia Maraini, hanno in comune il tema della memoria, dell'analisi psicologica, del rapporto tra passato e presente, con implicazioni autobiografiche.


A conclusione di tutto, il romanzo della Maraini è comunque una lettura morbida, che si addentra nella società di un piccolo paese presentandone tutti gli aspetti e dando una visione molto critica del dopoguerra in Sicilia.











[i] Citazione tratta da Dacia Maraini - Bagheria edizioni BUR pag.129

[ii] Citazione tratta da Dacia Maraini - Bagheria edizioni BUR pag. 125

[iii] Citazione tratta da Dacia Maraini - Bacgheria edizioni BUR pag.125 - 126

[iv] Citazione tratta da Dacia Maraini - Bagheria edizioni BUR pag.115 - 116

[v] Citazione tratta da Dacia Maraini - Bagheria edizioni BUR pag.142 - 143

[vi] Citazione tratta da Dacia Maraini - Bagheria edizioni BUR pag. 118 - 130

[vii] Citazione tratta da Dacia Maraini - Bagheria edizioni BUR pag. 85

[viii] Citazione tratta da Dacia Maraini - Bagheria edizioni BUR pag.127

[ix] Citazione tratta da Dacia Maraini - Bagheria edizioni BUR pag. 156

[x] Citazione tratta da Dacia Maraini - Bagheria edizioni BUR pag.168




BIBLIOGRAFIA:

Dacia Maraini - Bagheria (1993) edizioni BUR

La scrittura e l'interpretazione 3, tomo III, G.B. Palumbo editore (pag. 336, 765)


SITOGRAFIA:

www.daciamaraini.it

www. Italialibri.net/opere




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