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Il simbolismo




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IL SIMBOLISMO



Il simbolismo e un movimento artistico e letterario che nasce in Francia alla fine dell'Ottocento.

Prende spunto da una delle più celebri poesie di Baudelaire,"Correspondences",nella quale il poeta francese scrive che tutte le cose hanno fra loro un legame misterioso,per cui spesso una ne richiama  l'altra,come un profumo,un colore o una musica richiamano ricordi e tempi lontani.

Per il poeta simbolista la realtà è mistero e la natura si presenta come una foresta di simboli che spetta al poeta veggente interpretare e svelare.

Il poeta simbolista ricorre a tecniche come il simbolo,l'allegoria,l'analogia,la metafora e la sinestesia,fa accostamenti imprevisti e misteriosi scegliendo le parole non per il loro significato concreto ma per  le sensazioni che possono evocare con il loro suono ed il loro ritmo.

La poesia simbolista ebbe i suoi grandi interpreti in Rimbaud,Verlaine ,Mallarmé.

Il Simbolismo in Italia fu introdotto da D'Annunzio e Pascoli.

Le due opere L'Isotteo e La Chimera  rivelano l'influenza dei poeti simbolisti francesi e sono frutto della fase dell'estetismo dannunziano.

Anche nel romanzo Il Piacere,all'inizio della II parte,si ha un'enunciazione estetica che condivide molti elementi della poetica di Verlaine.


....Il verso è tutto e può tutto. Può rendere i minimi moti del sentimento e i minimi moti della sensazione; può definire l'indefinibile e dire l'ineffabile; può abbracciare l'illimitato e penetrare l'abisso; può avere dimensioni d'eternità; può rappresentare il sopraumano, il soprannaturale, l'oltramirabile; può inebriare come un vino, rapire come un'estasi; può nel tempo medesimo possedere il nostro intelletto, il nostro spirito, il nostro corpo; può, infine, raggiungere l'Assoluto...


Tuttavia il maggior rappresentante del simbolismo italiano è Giovanni Pascoli.

Giovanni Pascoli nacque a San Mauro di Romagna nel 1855,studiò nel collegio dei Pii Padri Scolopi ad Urbino poi nei licei di Rimini e Firenze.

Nel 1867 il padre viene assassinato mentre torna a casa in calesse,dopo poco tempo perde anche la madre,la sorella maggiore e due fratelli.

La famiglia cadde nella miseria più assoluta.

Pascoli potè frequentare l'università grazie ad una borsa di studio.

In quella occasione conobbe Carducci che faceva parte della commissione esaminatrice.

Negli anni universitari Pascoli subì il fascino del socialismo,entrò in contatto con l'anarchico Andrea Costa,nel 1876 aderì all'Internazionale.

Arrestato per manifestazioni antigovernative nel 1879,dopo alcuni mesi trascorsi in carcere fu assolto.

Fu per lui una terribile esperienza che lo portò ad abbandonare definitivamente ogni forma di militanza attiva.

Nel 1882 si laureò ed iniziò la professione d'insegnante.

Morì a Bologna nel 1912,dopo aver celebrato con inni il cinquantesimo dell'Unità d'Italia e aver salutato l'impresa Libica come l'inizio di una nuova era della storia d'Italia(La grande proletaria s'è mossa)

Certamente le vicende tristissime di famiglia che lo coinvolsero ancora adolescente,e le conseguenti difficoltà economiche tracciarono un solco profondo nel suo animo ed influirono sul suo carattere e sulla sua poesia permeata da una malinconia diffusa nella quale il poeta immerge uomini e cose.

La poesia è per lui espressione dello stato d'animo e delle sue più intime meditazioni.

Uno dei temi fondamentali della sua poesia fu il mito del  "nido",il nido-casa come protezione ed il nido-culla come regressione verso l'infanzia,che denuncia l'incapacità del poeta di istaurare normali rapporti con la realtà.

In una società sconvolta dalla violenza ed in una condizione umana di dolore ed angoscia,la casa con il suo orto è l'unico rifugio nel quale i dolori e le ansie si placano.

Nella poesia di Pascoli gli oggetti materiali sono sempre presenti,ed anche se nei suoi versi usa termini di natura ornitologica e botanica che all'apparenza potrebbero apparire di natura positivista, in realtà sono il frutto di una visione soggettiva del poeta e carichi di simboli e significati nascosti.

La poetica  di Pascoli è espressa nel celebre saggio Il Fanciullino,nel quale afferma che il poeta è simile al fanciullo che sopravvive nell'animo di ogni uomo,colui che vede tutte le cose con meraviglia,come se fosse la prima volta e per questo gli dà un nome.

Il Fanciullino è capace di trovare la poesia in ogni cosa e di scoprirne i significati più nascosti ed irrazionali.

Il poeta è come il veggente che può svelare il mistero nascosto dietro all'apparenza delle cose.

La poesia deve essere pura ed ha una funzione consolatoria.

Il sentimento poetico che è in tutti,fa sentire gli uomini fratelli sopisce gli odi e gli impulsi violenti,e per questo la poesia ha in sé una suprema utilità morale e sociale.

Pascoli usa un linguaggio poetico lirico,con echi e risonanze melodiche ottenute talvolta con ripetizioni di parole e di espressioni cantilenanti,arricchite di rapide note impressionistiche e di frasi spesso ridotte all'essenziale;la sua poesia è sempre ricca di analogie simboliche,ricerca nelle cose il loro sorriso,la loro anima,il loro significato nascosto.

Mescola parole dotte a parole comuni,espressioni dialettali e gergali,parole tratte da altre lingue;usa termini scientifici per designare piante ed uccelli; adopra termini privi di senso,ma carichi di valenze fonosimboliche,di suggestioni evocative(le onomatopee).

Pascoli apparentemente usa le forme metriche tradizionali ,ma in realtà il singolo verso o la struttura strofica sono dissolti e disarticolati dal di dentro,nella loro compattezza armonica tradizionale,al posto della quale subentrano e si insinuano una versificazione ed una musicalità frantumate dalle cesure,dalle rime sdrucciole,dilatate dagli enjambements,o rotte da pause, da attoniti spazi di silenzi.

Le sue scelte espressive sono molto curate;per rendere più vive e sintetiche le immagini,a volte elimina congiunzioni e verbi o fa accostamenti nuovi trasformando aggettivi e verbi in sostantivi.

Fra le opere più significative possiamo annoverare:


Myricae(1891):è una raccolta di poesie(156)ordinata per temi che corrispondono ad i cicli annuali della vita in campagna.Il titolo è dato dal nome in latino delle tamerici,umili pianticelle che sono prese a simbolo di una poesia senza pretese, legata alle piccole cose quotidiane  ed agli affetti più intimi.

Si tratta in apparenza di quadretti campestri  ritratti con gusto impressionistico,ma in realtà trattasi di poesie nelle quali le "cose" si caricano di simboli,sensi misteriosi e suggestivi e già si affaccia il tema dei morti familiari.


Novembre


Gèmmea l'aria,il sole così chiaro

che tu ricerchi gli albicocchi in fiore

e del prunalbo l'odorino amaro

senti nel cuore.


Ma secco è il pruno,e le stecchite piante

di nere trame segnano il sereno

e  vuoto il cielo,e cavo al piè sonante

sembra il terreno.


Silenzio,intorno:solo,alle ventate,

odi lontano,da giardini ed orti

di foglie un cader fragile.E'l'estate,

fredda,dei morti.



Novembre è una delle composizione più suggestive della produzione poetica del Pascoli.

Come la maggior parte delle poesie di "Myricae" anche questa più che a descrivere la natura in un particolare momento(nel caso specifico i giorni dell'estate di San Martino o estate dei morti)è rivolta a penetrare il segreto senso delle cose,e a scoprire in esse un messaggio di morte o un precario senso di fragilità,di vuoto.

La prima strofa rende l'impressione di un'improvvisa primavera,ma la seconda ribalta l'impressione della prima e, intessuta da una fitta trama di parole chiave(secco,stecchite,nere,vuoto,cavo)avvia verso la conclusione e legittima ,con coerente gradualità di trapassi,il tono della terza.

Quest'ultima è tutta incentrata sulla constatazione di una fredda legge di morte come unica e vera realtà che rimane dopo la momentanea,effimera illusione di colori e profumi primaverili.

Il metro usato è il saffico composto da tre endecasillabi ed un verso quinario in chiusura di strofa,presenta però delle rime(ABab con  parziali assonanze).

Il ritmo è scandito da lunghi silenzi,e dall'uso frequente dell'enjambements(con più evidenza ai vv. 1-2, 7-8, 11-12); notevole la simmetria dei versi iniziali di ogni strofe (vv. 1, 5, 9): sono endecasillabi a minore, spezzati da una forte cesura, in cui il primo emistichio («Gemmea l'aria»; «Ma secco è il pruno»; «Silenzio, intorno»,) enuncia quasi il tema e il tono delle strofe.




I canti di Castelvecchio(1903)I canti di Castelvecchio,ambientati a Castelvecchio di Barga sono chiamati dal poeta myricae autunnali,.Anche qui  ritornano immagini della vita di campagna con il suo immutabile ciclo naturale che è rifugio e consolazione per il poeta angosciato da tragiche visioni.

Ricorre costantemente il ricordo dei suoi morti,che si traduce in allucinazioni, ed il tema del nido familiare,caldo e rassicurante,ma è presente anche il tema dell'eros,vissuto in maniera morbosa,con attrazione e repulsione.

Le cose si ammantano di mistero e di significati nascosti.



Nebbia

Nascondi le cose lontane,
tu nebbia impalpabile e scialba,
tu fumo che ancora rampolli,
su l'alba,
da' lampi notturni e da' crolli,
d'aeree frane!

Nascondi le cose lontane,
nascondimi quello ch'è morto!
Ch'io veda soltanto la siepe
dell'orto,
la mura ch'ha piene le crepe
di valerïane.

Nascondi le cose lontane:
le cose son ebbre di pianto!
Ch'io veda i due peschi, i due meli,
soltanto,
che danno i soavi lor mieli
pel nero mio pane.

Nascondi le cose lontane
Che vogliono ch'ami e che vada!
Ch'io veda là solo quel bianco
di strada,
che un giorno ho da fare tra stanco
don don di campane

Nascondi le cose lontane,
nascondile, involale al volo
del cuore! Ch'io veda il cipresso
là, solo,
qui, quest'orto, cui presso
sonnecchia il mio cane.


Schema metrico

5 strofe di 6 versi ciascuna: 3 novenari + 1 ternario + 1 novenario + 1 senario. Rime: ABCBCA. Tutti i senari rimano tra loro.

Figure di ripetizione:

Il primo verso di ogni strofa è sempre lo stesso: «Nascondi le cose lontane». Inoltre questa formula viene ripresa in altri versi: troviamo nascondimi al v. 8 e poi nascondile al v. 26.

Il 2t e il 3t verso formano una lieve anafora con la ripetizione del pronome «TU» seguito da due nomi, entrambi quasi sinonimi (Tu nebbia Tu fumo).

Anche la formula: « ch'io veda soltanto » è ripetuta più volte, con leggere varianti: la troviamo al v. 9, poi ai vv. 15-16, di nuovo al v. 21 ed infine al v. 27.

Al v. 26 abbiamo un' allitterazione: «involale al volo».


Lo spazio:

La lontananza: è piena di cose che vanno tenute nascoste (vv. 1, 7, 13, 19 e 25), di cose morte (v. 8), che fanno piangere (v. 14), che «vogliono ch'ami e che vada» (v. 20). Per il poeta, quello che è lontano è dunque negativo, è qualcosa che deve essere represso, dimenticato, perché fa soffrire e, cosa interessantissima, perché costringe ad amare e «andare», ad uscire dal nido, cioè a vivere. Il poeta esprime la sua paura di fronte all'ignoto del mondo esterno.

La vicinanza: è composta da poche, essenziali presenze: una siepe (v. 9) e un muro (v. 11) che svolgono il ruolo di delimitare lo spazio ristretto intorno all'IO, due peschi e due meli (v. 15), una strada bianca (vv. 21-22), un cipresso (v. 27), un orto (v. 29) e un cane (v. 30), simbolo per eccellenza della fedeltà, dell'amicizia, della sicurezza. Questo piccolo mondo è lo spazio dell'IO, lo spazio privato e soprattutto protetto in cui rinchiudersi per evitare «le cose lontane», l'ignoto e la negatività del mondo esterno. Il «qui» del v. 30, che riassume in sé tutto il mondo vicino, è messo particolarmente in rilievo dal fatto che è posto ad inizio del verso, e che è rinforzato dal successivo «questo».


Altri temi importanti:

Tra lo spazio vicino e quello lontano si trova la nebbia, che svolge un ruolo importantissimo perché è ciò che permette di separare questi due mondi, e quindi di assicurare al poeta la serenità. La nebbia svolge il suo ruolo protettivo grazie alla sua capacità di nascondere le cose, e quindi di rispondere al desiderio del poeta, più volte espresso, di non vedere (vedi la costante ripetizione del tema «Ch'io veda soltanto»).

La morte: riguardo alla morte il poeta prova dei sentimenti contraddittori. Da un lato per lui quello che è morto va celato e rimosso, perché triste e doloroso (vv. 6-7 e 13-14); ma dall'altro egli si sente legato ad essa perché sa che è l'ultimo, inevitabile rifugio dell'uomo. In altre parole, se è vero che la morte è triste e dolorosa perché racchiude un passato da dimenticare (le cose lontane), è altrettanto vero che essa è l'unica prospettiva indolore per l'uomo affranto, nella misura in cui gli offre un sonno, un riposo eterno. Il poeta sa che un giorno dovrà morire pure lui (dovrà fare «quel bianco di strada [] tra stanco don don di campane» - vv. 21-24), e questa è la sola prospettiva che vuole intravedere per il proprio futuro («Ch'io veda là solo quel bianco di strada» - vv. 21-22). Ad accentuare questo aspetto positivo della morte come di un sonno eterno ed indolore abbiamo, nell'ultimo verso, la figura del cane fedele che sonnecchia. L'idea della stanchezza, del sonno e della morte si trovano così ad essere intimamente legate.

La natura: che sia vegetale, animale o minerale, ha un ruolo protettivo per il poeta, e tiene lontana la visione del pianto, del mondo esterno, violento e ostile. Così, la siepe, l'orto e i quattro alberi riempiono di dolcezza il nero pane del poeta, cioè la sua vita quotidiana; il cane fedele offre un immagine insieme di pace, affetto e protezione; la nebbia è un fenomeno meteorologico positivo; e, allo stesso modo, i «lampi notturni» e i «crolli d'aeree frane» della prima strofa, pur nelle loro sembianze violente, non toccano affatto il poeta, che ne trae unicamente una visione suggestiva.


Le frequenti figure di ripetizione, la presenza di ritornelli sono una costante nella poesia di Pascoli.Il poeta malinconico esprime un forte bisogno d'affetto e di protezione, quasi come se fosse un bambino, e la poesia, col suo ritmo cantilenante, fa le veci di una figura materna, simbolo per eccellenza di amore e protezione.Il poeta, come un bambino, sente la necessità di rinchiudersi in un nido e sfuggire ai pericoli della vita, rifiutando persino di 'andare' ed 'amare' («Nascondi le cose lontane che vogliono ch'ami e che vada!» - vv. 19-20).




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