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Il postmoderno. tra omologazione e impossibilitÀ di scelta.




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Il postmoderno. Tra omologazione e impossibilità di scelta.

Innanzitutto occorre fare chiarezza su cosa sia il postmoderno e come sia nato tale termine.

Il termine Postmoderno è stato assunto come definizione generale dell'età in cui viviamo. Tale periodo per alcuni sta ad indicare l' "era" cominciata attorno agli anni Trenta con la rivoluzione epistemologica ed il Relativismo, mentre altri ne fanno risalire la nascita intorno agli anni Cinquanta e Sessanta, con l'inizio dell'era postindustriale e il trionfo della civiltà mediatica e telematica.  Alcuni filosofi, come Vattimo, lo esaltano perché vedono in esso il crollo di sistemi ideologici "forti" e costrittivi e la possibilità di un'emancipazione per l'uomo, altri, invece, come il critico letterario Luperini, lo considerano un'età di decadenza, ravvisandovi una sorta di esaurimento della civiltà, di impotenza creativa e appiattimento delle coscienze, che tende ad esaltare in modo acritico una realtà piuttosto negativa.


Realtà e libertà secondo Vattimo:

Secondo il filosofo italiano Gianni Vattimo, il postmoderno è stata essenzialmente una grande svolta storica dall'accezione positiva.

Questa svolta sarebbe stata determinata dalla crisi della concezione della storia e dell'ideale di progresso scaturite principalmente dalle speculazioni teoretiche delle filosofie di fine '800 (Nietzsche, Marx), che rifiutavano una visione unitaria e predeterminata della storia, così come l'esistenza di un fine in essa inscritto: se non esiste nella realtà un fine razionale e collettivo, il sistema creato dalla civiltà moderna intriso di razionalità non è più sostenibile. Un ulteriore elemento di distacco del postmoderno rispetto al moderno è dato, secondo Vattimo, dall'avvento dei mezzi di comunicazione di massa, ritenuti dal filosofo un elemento fondamentale per l'esplosione di nuove "visioni del mondo" da parte di classi sociali o minoranze etniche che prima d'allora non avevano avuto la possibilità di esprimersi.

È interessante, a questo proposito, analizzare il ragionamento del filosofo italiano riguardo alla realtà e alla libertà dell'individuo. L'intensificazione della possibilità di informazione, grazie ai mass media, rende inconcepibile l'idea metafisica di una realtà vista come unica possibile. La moderna idea di realtà, spiega, non può essere posta al di fuori del "fantasmagorico mondo dei mass media", perciò la libertà vera non può essere più un concetto assoluto di valore universale, bensì una libertà ed un'emancipazione fondate sulla pluralità delle realtà che ci vengono proposte dai media: è un ideale di libertà basato sull'erosione del "principio di realtà".


Vattimo continua spiegando che la libertà derivante dalla perdita del senso di realtà consiste in una sorta di oscillazione tra appartenenza e spaesamento. Oscilliamo tra la volontà di appartenere ad una realtà particolare che emerge grazie anche ai media e lo spaesamento che proviamo quando ci rendiamo conto che la nostra realtà è solo una tra le infinite nel mondo.


Vattimo contro Adorno:

Vattimo dunque si pone in maniera positiva nei confronti del postmoderno e dà una definizione positiva della libertà in relazione ai mass media. Tutto ciò è in contrasto con quello che, invece, aveva affermato tempo prima il filosofo tedesco Theodor Adorno, secondo cui con l'avvento dei mezzi di comunicazione di massa le relazioni interumane si sarebbero ridotte a pura apparenza. La vita individuale sarebbe divenuta pura funzione delle forze oggettive che governano la società di massa e la sfera individuale ridotta all'ambito fittizio del consumo senza possibilità di scelta. Dunque, secondo Adorno, il progresso telematico nella società postmoderna diviene un mero strumento di dominio sulle cose e sugli uomini e i mass media sono visti come un trampolino di lancio per la nascita di governi totalitari e dittature attraverso la promozione di visioni del mondo stereotipate, che consentono di ottenere un controllo capillare sugli individui, ingabbiandoli in un'omologazione senza scampo.


Critica e pessimismo di Luperini

Luperini fa parte, al contrario di Vattimo, di coloro che affermano che il postmoderno sia solamente una continuazione del moderno e che non si possa parlare di vera e propria svolta epocale; inoltre, il suo pensiero è agli antipodi rispetto a quello del filosofo italiano poiché si pone in modo critico e pessimista nei confronti del postmoderno e dei valori da esso proposti.

Luperini parla della società paragonandola ad una moderna fabbrica dove l'automatizzazione del controllo, che rende inutile la figura del sorvegliante, estende il processo di sottomissione del lavoro agli aspetti addirittura psicologici, alienando il lavoratore. Lo stesso modello di funzionamento viene esteso anche alla società, dove ormai l'automazione del controllo è tale, tramite la pubblicità, la spettacolarizzazione dell'esistenza e la sua riduzione a mera "apparenza", da rendere superflua qualsiasi intermediazione ideologica. Esso, inoltre, è nelle mani di una ristretta cerchia "oligarchica" che si trova in cima alla nostra piramide sociale e non ha neppure più bisogno della persuasione ideologica, agendo, ormai, a livello inconscio. Nell'individuo è radicata una mentalità tale da non consentirgli  più nemmeno la ricerca di un'alternativa a questo suo vivere passivo ed impersonale, poiché il sistema riesce bene, con il suddetto sistema di controllo, a "narcotizzare" le masse, a renderle omologate ed incapaci di scegliere vie alternative e, magari, più etiche.

L'uomo a una dimensione


« Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno del progresso tecnico »


Così Herbert Marcuse inizia la sua opera L'uomo a una dimensione. In essa emerge il modello di vita dell'individuo che si riduce al bisogno atavico di produrre e consumare, senza possibilità di resistenza. Marcuse denuncia il carattere fondamentalmente repressivo dalla società industriale avanzata, che appiattisce l'uomo alla dimensione di consumatore euforico e ottuso, la cui libertà risiede solo nella possibilità di scegliere tra molti prodotti diversi.

Di seguito riporterò alcuni passi significativi tratti dall'opera suddetta oltre alle mie personali considerazioni.


Passi proposti tratti da:

H. Marcuse, L'uomo a una

dimensione, Einaudi,

Torino 1967, pp. 22-26.


I bisogni "falsi" sono quelli che vengono sovrimposti all'individuo da parte di interessi sociali particolari cui preme la sua repressione: sono i bisogni che perpetuano la fatica, l'aggressività, la miseria e l'ingiustizia»


Secondo Marcuse è probabile che l'individuo trovi estremo piacere nel soddisfare questi falsi bisogni, ma questa felicità è una condizione che non deve essere protetta e conservata poiché serve solo ad arrestare lo sviluppo della capacità di riconoscere la "malattia"dell'insieme e ad impedire che si possa curare:


Il risultato è pertanto un'euforia nel mezzo dell'infelicità»


Ogni individuo dovrebbe essere in grado di dire quali sono i bisogni veri e quali quelli falsi. Questo è possibile solo quando la persona è libera di dare una propria risposta non influenzata dagli interessi dominanti della società:


Fintanto che (gli uomini) sono ritenuti incapaci di scegliere autonomamente, fintanto che sono indottrinati e manipolati sino a livello degli istinti, la risposta che essi danno a tale domanda (ovvero su quali siano i veri bisogni) non può essere accettata come fosse la loro»


Marcuse si chiede in che modo degli uomini che sono stati oggetto di un dominio efficace e produttivo, siano in grado di creare da soli le condizioni della loro libertà. Questo è un punto che tocca da vicino anche la civiltà odierna.


A mio parere, la condizione di "libertà apparente" che ci vengono offerta dalla nostra società risulta andare a genio a gran parte delle persone  che tendono ad estraniarsi e preferiscono non farsi domande o sono talmente assuefatte dal sistema che non si rendono realmente conto di quella che è la loro vera condizione. Come si sa, una soluzione assoluta non esiste, o magari non interessa a tutti. Un punto di partenza ideale, caratteristicamente marxiano, è sicuramente la necessità di presa di coscienza del problema da parte di ogni individuo ed il risveglio della propria capacità di scegliere.

"Scegliere di scegliere" è tanto il problema quanto la soluzione.


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