Il Neorealismo
Alla
fine della guerra, la rinascita politico economica del paese avvia una radicale
democratizzazione della cultura: lo sviluppo dell'editoria popolare, la nuova
scolarizzazione, il ruolo del cinema, la vitalità del giornalismo e della
radio, sono fattori alla base di una cultura realistica e popolare di forte
contenuto politico, che avrà nel Neorealismo la sua espressione più alta. Il
termine Neorealismo era già stato avanzato alla fine degli anni '30, per quegli
autori che si proponevano di riannodare i fili con la tradizione veristica di
Giovanni Verga e Federico Tozzi. Alla letteratura dei buoni sentimenti, cara al
regime fascista, si contrapponevano un nuovo modo espressivo e una nuova realtà
sociale, la questione delle plebi rurali del sud e del mondo operaio del nord.
Sulla nascita del Neorealismo del dopoguerra fu forte l'influenza della
narrativa americana, che, tradotta da scrittori come Elio Vittorini e Cesare
Pavese, si introdusse in un'Italia fascista e provinciale e generò il mito
americano. L'esigenza di un atteggiamento critico nei confronti dell'Italia
fascista, divenne un imperativo per quegli intellettuali, in gran parte
aderenti al partito comunista, che consideravano la letteratura come strumento
di denuncia e di impegno sociale. Il Neorealismo propriamente detto si sviluppò
dal 1940 al 1950, prediligendo la narrativa dominata dai filoni tematici della
guerra, della resistenza e della condizione degli emarginati.