Il Neorealismo
E' interessante
ripercorrere brevemente la storia della parola 'neorealismo', perché
ci permette di cogliere due aspetti fondamentali della natura di questo
movimento: lo stretto legame che esso ebbe con il cinema, e da cui trae origine
il titolo e il taglio del presente lavoro, e la problematicità che ha
accompagnato fino ad oggi questo movimento culturale.
Infatti, anche se il termine 'neorealismo' si cominciò ad usare alla
fine degli anni Venti con riferimento alle tendenze artistiche del tempo e alla
parola tedesca Neue Sachlichkeit (Nuova oggettività), chi lo usò in modo nuovo
nel 1942 fu il montatore cinematografico per il film Ossessione di Visconti, e
questo ne provocò una rapida diffusione nell' ambito cinematografico. Già dopo
il 1943 il termine si estese anche nell'ambito letterario con diverse
interpretazioni e sovrapposizioni con altri termini tra cui il realismo in
generale.
Attraverso la storia del termine 'neorealismo' siamo quindi arrivati
al problema della definizione cronologica di questo movimento. In generale si è
d'accordo sul fatto che l'esplosione del neorealismo sia propria dell'età che
va dal 1943 al 1949, ma, anche se in modi diversi, il periodo terminale degli
anni trenta viene considerato come fondamentale anticipatore di questo fenomeno
culturale: c'è chi parla appunto di 'nuovo realismo' e chi e chi vede
in esso il periodo della semina: 'il periodo della preparazione e della
semina era cominciato pressappoco nel 1930 col consolidarsi delle prime
reazioni degli intellettuali, in Italia e fuori, alla dittatura fascista ormai
stabilizzata. E' giusto riconoscere che l'Italia, culla del fascismo, fu anche
il primo paese che offrì un'attiva opposizione contro di esso, sul piano
dell'azione come su quello delle idee.
Sul paino letterario è
interessante, per capire questo momento rifarsi ad I. Calvino che
nell'introduzione a Il sentiero dei nidi di ragno dice testualmente:
'L'esplosione letteraria di quegli anni in Italia fu, prima che un fatto
d'arte, un fatto fisiologico, esistenziale, collettivo. Avevamo vissuto la
guerra, e noi più giovani - che avevamo fatto appena in tempo a fare il
partigiano - non ce ne sentivamo schiacciati, vinti, 'bruciati', ma
vincitori, spinti dalla carica propulsiva della battaglia appena conclusa,
depositari esclusivi d'una sua eredità. Questo ci tocca oggi, soprattutto:
la voce anonima dell'epoca, più forte delle nostre riflessioni individuali ancora
incerte. L'essere usciti da un'esperienza -- che non aveva risparmiato
nessuno, ristabiliva un'immediatezza di comunicazione tra lo scrittore e il suo
pubblico: si era faccia a faccia, alla pari, carichi di storie da raccontare,
ognuno aveva avuto la sua, ognuno aveva vissuto vite irregolari drammatiche
avventurose, ci strappava la parola di bocca. La rinata libertà di parlare fu
per la gente al principio smania di raccontare: nei treni che riprendevano a
funzionare, gremiti di persone e pacchi di farina e bidoni d'olio, ogni
passeggero raccontava agli sconosciuti le vicissitudini che gli erano occorse,
e così ogni avventore ai tavoli delle 'mense del popolo', ogni donna
alle code ai negozi; il grigiore delle vite quotidiane sembrava cosa d'altre epoche;
ci muovevamo in un multicolore universo di storie.
Chi cominciò a scrivere allora si trovò così a trattare la medesima materia
dell'anonimo narratore orale: alle storie che avevamo vissuto di persona e
delle quali eravamo stati spettatori si aggiungevano quelle che ci erano
arrivate già come racconti, con una voce, una cadenza, un'espressione mimica.
Durante la guerra partigiana le storie appena vissute si trasformavano e
trasfiguravano in storie raccontate la notte attorno al fuoco, acquistavano già
uno stile, un linguaggio, un umore come di bravata, una ricerca d'effetti
angosciosi e truculenti'