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".guardatevi dal lupo; se viene, vi mangia tutti in un boccone. Quel furfante spesso si traveste, ma lo riconoscerete subito dalla voce rauca e dalle zampe nere."
"Il lupo racconta" è un audiolibro che raccoglie undici brevi brani scritti e interpretati da un gruppo di 14 detenuti della "Nave", reparto a trattamento avanzato del carcere milanese di S. Vittore.
E' un progetto che nasce pensando principalmente ai detenuti in qualità di genitori, infatti i testi sono fiabe che i papà-lupi raccontano ai loro figli per fargli sapere quali sono state le vicende che li hanno portati ad imboccare la strada sbagliata e le soglie del carcere.
La fiaba aiuta ad aprire le porte al dialogo, poiché, per i detenuti è più facile raccontarsi essendo un po' camuffati dal fitto pelo del lupo e per i figli è più facile ascoltare perché la durezza della realtà è smorzata da un linguaggio metaforico addolcito dallo stile fiabesco.
Ritengo importante occuparmi di questo progetto poiché è un esempio brillante di come la semplice autobiografia possa insegnare qualcosa sia agli autori che ai lettori. I detenuti nello scrivere non si sono costruiti piedistalli dall'alto dei quali impartire lezioni di vita, ma, partendo dal racconto dei loro più bassi e brucianti fallimenti, hanno saputo comunque far emergere l'ammonizione: "il crimine non vale la pena!".Questa è infatti la morale di tutte le favole ambientate a "Lupandia".
"Il lupo racconta", come ho detto, nasce come libro rivolto ai figli dei detenuti, ma in questo caso la parola figli è usata in senso molto allargato, infatti vuole includere tutte le persone che cimentandosi nella lettura delle undici fiabe vorranno riflettere su di un mondo poco conosciuto come lo è quello del carcere.
Di questo interessante progetto che è caratterizzato da un'attenzione al tema della genitorialità ma che si colloca, come si vedrà, nella più ampia prospettiva della pena a scopo rieducativo, tratteggerò tutte le fasi che da semplice sogno lo hanno reso realtà.
Trattandosi di un libro di fiabe mi sembra opportuno iniziare con.
"C'era una volta".ma purtroppo continua ad esserci, una lunga fila di bambini accompagnati dai parenti che ogni giorno in Viale Papiniano a Milano attende l'ingresso in carcere per poter incontrare il proprio genitore recluso.
E' stato a partire da questa triste constatazione che alla giornalista Emilia Patruno, alla cui iniziativa molti dei progetti compiuti dai detenuti di S. Vittore devono l'esistenza, è venuta l'idea di un libro di fiabe che i papà-detenuti avrebbero potuto raccontare ai propri figli.
Il suo obiettivo era quello di dare ai "lupi" la possibilità di fare qualcosa di edificante e nello stesso tempo dare ai loro figli un motivo per essere orgogliosi dei propri genitori.
Durante una delle tante interviste che mi ha concesso, la giornalista infatti afferma: ".l'aspetto che mi ha sempre colpita dei colloqui sono i lunghi silenzi che caratterizzano il prima, il durante e il dopo (Fig. 1). così ho pensato che un libro di fiabe potesse rappresentare un buon inizio per un dialogo".
(Il termine corretto per definire l'incontro fra detenuti e familiari è "colloquio" che, come è possibile leggere sul glossario, un libretto scritto dai detenuti che riporta la spiegazione delle parole di comune uso in carcere, ha una durata settimanale di due ore per un totale di non più di sei ore mensili)[2]
Sembra impossibile, per chi non frequenta il carcere, pensare che le poche ore a disposizione per l'incontro fra padri e figli siano caratterizzate da lunghi silenzi, ma bisogna considerare che, come scrive Emilia Patruno su un articolo di "Famiglia Cristiana": "il colloquio avviene in una sala apposita sotto la stretta sorveglianza degli agenti e alla presenza di almeno altri cinque detenuti con i rispettivi familiari. E' caratterizzato dall'intenso vociare, dalle grida dei bambini che hanno atteso per ore e sono esasperati. In questo breve lasso di tempo bisogna trasferire e ricevere affetto, informazioni familiari e legali dimostrarsi buoni padri, compagni, figli o fratelli."[3]
Ecco che dalla osservazione della realtà nasce l'idea della fiaba. Emilia Patruno afferma che fin dall'inizio le erano chiari il titolo e la forma che avrebbe assunto questa raccolta di racconti, e cioè, l'audiolibro.
Spiega la scelta del titolo in modo molto preciso: "Il lupo è sempre il personaggio cattivo delle fiabe, difficilmente gli viene data la parola ma viene sempre descritto dalla voce degli altri e descritto in modo negativo.". Poi aggiunge: "non intravedi qualche analogia con la situazione che vivono i detenuti? Ebbene io ho voluto ribaltare la situazione e far parlare per una volta il lupo cattivo.che poi cattivo non lo è così tanto!"
Alla mia domanda sul perché di un audiolibro e non, ad esempio, un libro audio-video risponde: "Nella fiabe non è importante vedere chi parla, ma ascoltare.mi piaceva molto l'idea della contrapposizione tra la dolcezza del racconto e il "vocione" dei lupi che sono persone che hanno visitato i lati più oscuri della vita." E' importante sottolineare che il progetto prevedeva che le fiabe fossero interpretate dagli stessi autori o da altri detenuti nel ruolo di voci narranti.
Quanto scritto finora riassume le motivazioni che hanno portato Emilia Patruno ad ideare "Il lupo racconta", ma, questo, non è che l'inizio del racconto. Infatti fino a questo momento l'audiolibro era solo la bozza di quello che sarebbe diventato un valido "risultato", parola con cui lo definirà il suo editore nel giorno della presentazione alla stampa. Ma.andiamo con ordine!
Nel Luglio del 2003 nella mente di Emilia Patruno il progetto de "Il lupo racconta" era già completo, però, ironia della sorte, era orfano di padre, quindi, bisognava che la giornalista trovasse qualcuno disposto ad apprezzarlo, adottarlo e finanziarlo.
Ecco che senza troppe difficoltà "Il lupo racconta" viene adottato da un papà di eccezione, il Dottor Dario Foà, direttore del Servizio Area Penale e Carceri della ASL di Milano, che ritiene opportuno inserire il lavoro tra le iniziative del Progetto Relais figlio-genitore, progetto europeo che si occupa del miglioramento delle condizioni di vita tra i detenuti genitori e i loro figli (paragrafo 2). In questo modo la ASL di Milano, che ha a disposizione dei fondi per finanziare le iniziative del Progetto Relais, avrebbe potuto finanziare l'audiolibro.
A quel punto il progetto era completo e definito nei dettagli, bisognava che avessero inizio i lavori di stesura dei brani, ma per farlo doveva essere scelto il gruppo di autori e interpreti; a questo proposito all'inizio di novembre 2003 Emilia Patruno e Dario Foà incontrano i detenuti del reparto "La Nave" di S. Vittore (paragrafo 1.2.2), dove presentano il progetto e dove senza difficoltà allestiscono il team di lavoro al quale spiegano la traccia che doveva essere seguita nel racconto della loro storia.
Ai detenuti viene spiegato che nelle fiabe dovevano raccontare in chiave metaforica quello che gli era successo nel momento in cui erano stati incastrati, nel momento in cui, cioè, si erano dovuti confrontare con la norma trasgredita.
Nel libro viene riproposto il rapporto tra inseguito e inseguitore, come scrive Angelo Aparo, psicoterapeuta, nell'introduzione al libro: "Il lupo si chiede chi lo insegue e perché; se lo chiede e lo racconta in parte a se stesso, in parte a quell'interlocutore dal quale vorrebbe essere cercato e dal quale, tante volte, si sente invece braccato."[4]
Il rapporto inseguito-inseguitore ripropone a volte il rapporto padre-figlio, a volte il rapporto cittadino-norma altre quello di guardia-ladro.ecco perché i racconti descrivono scenari diversi in cui come sostiene il dottor Aparo: " a volte l'inseguitore è tragicamente incapace di ascoltare il senso di soffocamento e di panico di chi si sente inseguito; a volte chi insegue è un padre che vorrebbe salvare un figlio in fuga da se stesso; a volte l'inseguito è braccato e bloccato dalla sua stessa difficoltà di emanciparsi; altre volte ancora, cacciatore e cacciato, finalmente si raggiungono.
Rimane, in ogni caso, l'obiettivo di far sì che inseguitore e inseguito si parlino e si riconoscano"[5].ecco il perché de "Il lupo racconta".
La Nave è un reparto di recupero a trattamento avanzato rivolto a persone con problemi di tossicodipendenza, gestito dalla ASL ente al quale deve l'esistenza. Infatti, nel 2001, alcuni esponenti dell'azienda sanitaria locale, la Dottoressa Graziella Bertelli e la Dottoressa Serena Pellegrini, hanno chiesto al direttore di S. Vittore un reparto da ristrutturare e gestire in modo diverso rispetto a tutti gli altri, la risposta del Dottor Pagano è stata evidentemente positiva dal momento che nel giro di poco tempo era tutto pronto per. il linguaggio metaforico è d'obbligo. salpare!
Inizialmente al reparto, per volontà del Dottor Dario Foà, non è stato attribuito nessun nome perché si preferiva che fossero gli stessi detenuti a sceglierne uno man mano che lo vivevano. Il nome "La Nave", infatti, è stato scelto dai suoi abitanti ispirandosi al gergo marinaresco con cui il direttore definiva la agenda sulla quale viene segnato tutto quello che si fa durante il giorno nel reparto, e cioè "diario di bordo".
La Nave è un reparto molto particolare, dove si è creato uno spazio minimo di libertà e contratto sociale. Difatti, per entrare a farne parte i detenuti fanno liberamente richiesta e una volta accettati godono di alcuni privilegi sconosciuti in altri reparti (celle chiuse solo di notte, possibilità di fare terapie con psicologi, "alloggi" accoglienti e corridoi spaziosi). Ma sanno perfettamente che dovranno regolare il proprio comportamento esattamente come farebbe il marinaio di un equipaggio.
Per far parte della Nave, infatti, bisogna avere un requisito fondamentale e cioè aver maturato la volontà di curarsi (non dimentichiamo che si sta parlando di tossicodipendenti). Infatti, in questo reparto non vengono somministrate medicine come ansiolitici, sonniferi o antidepressivi, e in caso di difficoltà i detenuti possono "solo" usufruire di personale specializzato e fare terapie.
Alla Nave le regole che i detenuti devono rispettare sono molto rigide: ad esempio se succedesse di trovare qualche "marinaio" in possesso di sostanze stupefacenti questo verrebbe immediatamente allontanato dal reparto, a meno che non sia lui stesso a confidare la propria debolezza al terapeuta.
Alla Nave, come afferma il suo direttore, "non viene condannato l'errore ma l'omertà, il prezzo da pagare per fare parte dell'equipaggio è quello di dover crescere e imparare che nascondersi non serve!"
Gli autori de "Il lupo racconta", esponenti della Nave, devono aver imparato bene questa filosofia di vita infatti dai loro brani si può notare che non si nascondono, non si giustificano ma si limitano a raccontare. Nelle loro storie è possibile leggere, ad esempio:".è vero sono colpevole.lo ripeto: sono colpevole."[6]
Prima che i detenuti iniziassero a scrivere le loro storie sotto forma di fiabe è sembrato opportuno dare loro una preparazione che li aiutasse nella stesura, così gli stessi hanno partecipato ad un corso di scrittura creativa e ad alcuni incontri con lo psicoterapeuta.
Il corso di scrittura creativa è stato tenuto dal Professor Francesco D'Adamo, autore di romanzi per ragazzi, che in quattro incontri ha cercato di insegnare agli aspiranti "cantastorie" come si scrive una fiaba.
Questo corso, come afferma lo stesso D'Adamo, si poneva l'obiettivo di insegnare ad usare la scrittura come filtro tra quella che è la realtà e quello che rappresenta il racconto, dimensione in cui le vicende reali si mimetizzano nell'immaginario della finzione.
La modalità per riuscire in questo intento è quella di cercare le parole giuste per raccontarsi imparando ad usare punti di vista inconsueti come ad esempio l'auto ironia.
Leggendo i testi de "Il lupo racconta" si può concludere che l'intento del professor D'Adamo è riuscito pienamente. Infatti è possibile notare che i racconti non risultano né violenti né tragici, pur nella loro drammaticità, e questo dipende dall'uso ragionato della scrittura e dalla meticolosa scelta delle parole operata dagli autori, aspetto importantissimo considerando che i destinatari sono i più giovani.
Il professore si dichiara soddisfatto dell'esperienza fatta e anche dei risultati del lavoro dei detenuti. Infatti, come si può leggere in un articolo apparso sul Corriere della sera, dichiara:".inizialmente ero intimorito dal contesto, ma poi ho trovato molto entusiasmo, una gran voglia di riflettere sulla propria vita tramite la narrazione.
Il risultato non sono delle semplici schegge autobiografiche, ma dei veri e propri racconti sviluppati attorno ad un nucleo di verità."[7]
"Ho rivissuto il mio passato con fatica, ma avendo due figli l'ho fatto volentieri, per dare un messaggio concreto."[8]
Con questa frase Giuseppe P., uno degli autori de "Il lupo racconta", commenta il significato che ha assunto per lui l'esperienza del raccontarsi. E' comprensibile il disagio provato nel dover rivisitare i momenti più difficili della propria vita anche perché, come si può notare leggendo i brani dell'audiolibro, sono spesso legati a vicende familiari, in qualche modo fallimentari, quindi, emotivamente coinvolgimenti.
E' stato a partire dalla constatazione di questa difficoltà avvertita dai detenuti-autori e dal rispetto per la loro emotività che i coordinatori del progetto hanno ritenuto opportuno supportarli con qualche seduta collettiva di psicoterapia.
Il dottor Angelo Aparo, psicoterapeuta a S. Vittore e consulente per il ministero della giustizia, dice: "I racconti descrivono sentieri difficili, percorsi in salita, a volte contorti, eppure sempre capaci di lanciare una domanda cui non si può rinunciare: chi sono io per mio padre, quale funzione svolge mio padre per me?".[9]
L'idea del libro nasce dal presupposto che restituire vitalità a tale domanda, provando a riarticolarla attraverso i racconti, possa essere di vitale importanza per tutti: autori e lettori, detenuti e liberi.
E' fondamentale riflettere su tale domanda, ed è interessante che siano i detenuti a porsela, poiché, sempre parlando con le parole del Dottor Aparo: "la domanda nasce in carcere, proprio dove assai spesso conducono le domande abortite, quelle che non c'è stato modo di formulare, quelle che sono state sostituite da gesti di ribellione e condotte auto ed etero distruttive."[10]
Secondo lo psicoterapeuta questa domanda ".è alla base del reciproco riconoscimento nella relazione con il padre e con la legge ed è una domanda irrinunciabile anche per chi trascorre la propria vita negandola."[11], ecco perché è stato attorno a questo tema che si sono svolti gli incontri fra il Dottor Aparo e gli autori, al fine di favorire una riflessione e una analisi che servisse ai detenuti per comprendersi meglio nel ruolo di figli prima e di padri poi.
Dopo aver chiarito le finalità dei racconti, aver dato una preparazione di base agli autori, "Il lupo racconta" attendeva di essere scritto e prendere finalmente forma.
Ecco che alla fine di dicembre 2003 i detenuti iniziano a scrivere i loro racconti che vengono pronti nel giro di un mese.
Ho intervistato alcuni di loro perché ero interessata a sapere se avevano incontrato difficoltà nello scrivere parte della loro storia, ma devo dire che inaspettatamente le risposte hanno rivelato che gli autori non hanno fatto fatica a raccontarsi ma che anzi lo hanno fatto con molto piacere.
Roberto ad esempio mi ha detto: "Ho sempre avuto difficoltà a raccontare il mio passato, persino mia moglie lo conosceva solo in parte e quello che sapeva derivava dai racconti di mia madre non miei.scrivere per "Il lupo racconta" mi è servito a superare questo blocco, scrivere è più facile che parlare".
Francesco afferma: "Non ho avuto difficoltà a scrivere la storia, era la mia, quindi la conoscevo bene.è una storia vera, mi sono limitato ad ambientare nel fantastico la vita reale, non ho inventato niente ho romanzato".
Mi incuriosiva anche sapere per quale motivo avevano accettato di far parte del gruppo di autori, e mi ha fatto piacere constatare attraverso le loro parole che non lo hanno fatto solo per loro ma soprattutto per gli altri, per chi sta fuori ed è bene che ci resti.
La maggiore preoccupazione di chi ha scritto è stata quella di ammonire chi legge che finire in carcere è molto più facile di quello che può sembrare, che molto spesso ciò che può essere considerato una "ragazzata" può diventare il primo passo verso un sentiero in discesa.
Infine ho chiesto loro con quali modalità avessero scritto i brani, per capire il tempo impiegato e il luogo in cui avevano composto; per quanto riguarda il tempo impiegato la maggior parte di loro afferma di aver scritto "di getto" (non si deve dimenticare che alcuni di loro sono già membri della redazione di un giornale e che quindi hanno familiarità con carta e penna), per quanto riguarda il dove, praticamente tutti hanno "creato" in cella, qualcuno addirittura di notte.
I partecipanti al progetto "del lupo" sono 14 tra autori e narratori. Solo la metà di loro ha figli e quindi nello scrivere erano facilitati poiché pensavano di mandare un messaggio proprio ai loro bambini, mentre l'altra metà si rivolgeva potenzialmente a tutti i piccoli lettori; comunque dopo aver parlato con i detenuti-autori credo di poter affermare senza sbagliarmi che "Il lupo racconta" è stato considerato da tutti un progetto importante che rifarebbero.
A fine gennaio 2004 le storie erano pronte, era arrivato il momento di registrarle su cd.
Inizialmente gli organizzatori del progetto, constatata la bellezza inaspettata delle fiabe, avevano pensato che sarebbe stato bello coinvolgere per l'interpretazione grandi nomi, come Sermonti o Dario Fò per assicurare successo di pubblico al progetto.
Fortunatamente il dubbio sulla persona da interpellare è stato sciolto dai detenuti che, appena sono venuti a conoscenza dell'intenzione di far interpretare a qualcun altro i loro brani, si sono categoricamente rifiutati adducendo come motivazione che il lavoro riassumeva le loro storie e che nessun esterno avrebbe potuto interpretarle come si deve.qualcuno ha detto: "quello che deve arrivare fuori. è una voce da dentro!".
Deciso che gli interpreti sarebbero stati gli stessi autori insieme ad altri detenuti che si prestavano come voci narranti, si inizia a predisporre tutto per la registrazione, che ha trovato un fondamentale aiuto nella regista Cristina Colombo, che da due anni tiene corsi di teatro in carcere, la quale ha messo a disposizione tutte le tecnologie necessarie per la registrazione.
Un altro valido aiuto si deve al musicista Alejandro Jaraj che ha contribuito con la sua professionalità alla sonorizzazione dei racconti, che è avvenuta completamente in carcere grazie ad un data base di suoni elaborato da un programma professionale.
Per la registrazione del cd è stata allestita una sala di incisione in "stile S. Vittore", cioè una stanza con il minimo indispensabile per lavorare, che ha comunque reso possibile un ottimo risultato che chiunque, ascoltando le fiabe, potrà constatare.
Il dottor Dario Foà mi ha confidato che quando ha ascoltato il cd si è reso conto della poca fiducia che aveva riposto nelle capacità interpretative dei detenuti quando aveva pensato che un esterno avrebbe potuto fare di meglio, e mi ha detto:" I detenuti mi hanno dato una lezione che non finisce più!"
Nel giro di un mese anche il cd era pronto, ma si era arrivati all'inizio di marzo e "Il lupo racconta" si presentava ancora in veste "casereccia" con brani scritti su fogli volanti e un cd tecnicamente bello ma sprovvisto di matrice, era giunto il momento di cambiargli l'abito e mettergli quello delle grandi occasioni perché il suo debutto, previsto non a caso per il giorno della festa del papà, era vicino.
La copertina del libro viene creata, modificando una fotografia, dal Dottor Gianfranco Pardi, artista e marito della Dottoressa Emilia Patruno, che si è occupato anche dell'impaginazione dei brani che poi, insieme alla copertina, sono stati rilegati dalla Tipografia Milanese.
La sua scelta ricade su un immagine bellissima di un lupo che "mordicchia" teneramente l'orecchio del suo cucciolo, immagine che da sola è in grado di riassumere il messaggio che i papà-lupi hanno voluto trasmettere con i racconti.sembra voler dire, infatti: "Ascoltami."
La stessa immagine è diventata la matrice del cd che è stato duplicato e per il quale sono stati chiesti i diritti SIAE che risultano a nome di Dario Foà che ne è l'editore.
A lavori finiti, "Il lupo racconta" si presenta come un libricino di 34 pagine che, oltre a poche righe di introduzione e ringraziamenti, racchiude in 11 brevi racconti le parole e le voci di un gruppo di detenuti; nella terza di copertina c'è una taschina trasparente che contiene il cd audio della durata di 57 minuti con i testi recitati dagli autori.
All'antivigilia del 19 marzo il lavoro era finito, completo e bellissimo, pronto ad affrontare il "grande" pubblico, momento che non tarderà ad arrivare.
La presentazione de "Il lupo racconta" è avvenuta il giorno 18 marzo 2004 fra le mura del carcere di S. Vittore. In quella occasione, alla presenza dei giornalisti, gli organizzatori del progetto hanno spiegato le motivazioni che li hanno mossi e le fasi in cui si è articolato il lavoro.
Sono intervenuti tutti coloro che hanno preso parte al progetto: Emilia Patruno, Dario Foà, Francesco D'adamo, Angelo Aparo, Cristina Colombo e anche esponenti di associazioni come il Telefono Azzurro che hanno dato la loro opinione in merito al valore che avrebbe assunto questo progetto per i bambini.
Il denominatore comune di tutti gli interventi è stata la grande soddisfazione per il risultato raggiunto e per l'impegno che i detenuti hanno mostrato.
Io ero presente e credo di poter dire che il momento più emozionante sia stato quello in cui, per dare un saggio della qualità del "Lupo", Cristina Colombo ha fatto ascoltare un brano del cd dal titolo "Una curva non cieca"[12]. Ho potuto constatare l'incredulità e la commozione dei presenti, qualcuno dei quali ha mormorato: "sembra impossibile che lo abbiano fatto in carcere.".
Il giorno successivo, 19 marzo 2004, "Il lupo racconta" varca per la prima volta il cancello del carcere per approdare al museo della Scienza e della Tecnologia, dove viene nuovamente presentato, questa volta come tassello di un più ampio disegno, quello del Progetto Relais figlio-genitore (paragrafo 2), progetto che quello stesso giorno segnava una tappa importante e cioè l'inaugurazione della stanza verde (paragrafo 2.3), luogo in cui da quel momento in poi i figli dei detenuti accompagnati dai parenti potranno aspettare il momento del colloquio con il proprio genitore recluso.
Ecco come due importanti quotidiani, "La Stampa" e il "Corriere della Sera" hanno intitolato gli articoli dedicati alla presentazione de "Il lupo racconta" (Fig. 4).
Figura 4: Dall'alto rispettivamente articolo de La Stampa (18 marzo 2004) e articolo del Corriere Della Sera (18 marzo 2004)
In questo paragrafo ho intenzione di descrivere il modo in cui il "Progetto Relais figlio-genitore" è approdato in Lombardia, ed in particolare a S. Vittore, perché è stato grazie all'esistenza di questo progetto che è stata possibile la realizzazione de "Il lupo racconta". Infatti l'audiolibro è stato inserito tra le attività di tale progetto, poiché aveva in comune con esso e con le altre sue attività l'attenzione al tema della genitorialità negata dalla reclusione. Accennerò ad un'altra iniziativa del "Progetto Relais figlio-genitore" e cioè alla Stanza Verde (paragrafo 2.3), perché è stata inaugurata lo stesso giorno de "Il lupo racconta" con l'obiettivo di evidenziare l'unità di intenti tra le due iniziative.
Nel 1996 il Dottor Dario Foà si è recato in visita alla Casa Circondariale "Les Baomettes" di Marsiglia, carcere simile a quello milanese di S. Vittore, per studiare i programmi attivati in favore della prevenzione dell' HIV.
In quell'occasione è venuto a conoscenza dell'esistenza di un progetto che presta attenzione alle conseguenze tragiche che la detenzione può creare nel rapporto tra genitori detenuti e figli, tale progetto prende il nome di Relais enfants parents e le sue iniziative evidenziano molta sensibilità verso un aspetto della vita del detenuto troppo spesso trascurata, la sua genitorialità.
La brillante iniziativa francese, che mira a migliorare le condizioni di incontro tra i detenuti e i loro figli, consiste nell'aver creato, vicino a molte carceri, una sede nella quale i bambini possono aspettare, in un clima sereno, l'ingresso in carcere per il colloquio con i propri parenti reclusi.
Queste sedi mirano a ricreare una sorta di ambiente familiare. Sono infatti degli appartamentini provvisti di bagno, cucina e giocattoli adatti a stimolare bambini di tutte le età; ma la vera "genialità" consiste nel mettere a disposizione dei piccoli ospiti un equipe di personale qualificato in grado di fornire supporto psicologico sia prima che dopo i colloqui.
In alcuni fortunati casi è possibile trovare il comfort di questi ambienti addirittura all'interno del carcere con gli indubbi vantaggi che questa situazione può creare nel rapporto fra genitori reclusi e figli. I bambini, infatti, per qualche ora possono fingere di vivere una situazione domestica "normale", cioè simile a quella dei propri coetanei.
In Francia esiste una rete di "Progetti Relais" che coinvolge più carceri e questi sono tutti coordinati da un unico presidente il Dottor Alain Bouregba che ha trasmesso al Dottor Foà la convinzione che la reclusione mortifichi senza ragione la genitorialità dei detenuti e che ciò avvenga per problemi organizzativi.
Ostacolare in qualunque modo il rapporto genitori reclusi e figli è un abuso di potere poiché non esiste un codice penale che preveda che con la reclusione si debbano interrompere i legami con i familiari.
Continuare con questa mortificazione è un po' come infliggere al detenuto una pena aggiuntiva per la quale però non ha subito regolare processo.
Il viaggio a Marsiglia del Dottor Foà e l'incontro con l'esperienza del Relais francese hanno aperto una nuova stagione di iniziative che hanno coinvolto il carcere di S. Vittore, e che hanno condotto nel giro di qualche anno a risultati concreti.
Il Dottor Foà, insieme a diverse associazioni (paragrafo 2.2.1), si è confrontato in più convegni sul tema della genitorialità negata dalla reclusione, al fine di stabilire delle linee guida da seguire per intraprendere anche a S. Vittore la strada seguita in Francia; in alcuni di questi convegni è anche intervenuto il presidente dei Relais francesi che ha aiutato nella comprensione degli aspetti organizzativi considerati vincenti in Francia.
Viene così progettata nel 2000 la prima iniziativa che prende il nome di progetto Gazebo, la quale prevede la costruzione di un gazebo fra le mura del carcere di S. Vittore, ma in uno spazio all'aperto nel quale i detenuti avrebbero potuto incontrare i loro figli in un clima di serenità.
(La proposta di questo progetto è stata possibile perché nel 1999 il Dottor Foà aveva presentato un progetto regionale che essendo stato accettato gli consentiva di muoversi nell'area "genitori-figli" in carcere.)
Purtroppo il progetto Gazebo, che era stato pensato nei dettagli, è stato interrotto a causa, neanche a dirlo, di problemi organizzativi, cioè la ristrutturazione prevista a S. Vittore non lasciava lo spazio fisico che era stato predisposto per l'installazione del gazebo.
Fortunatamente gli organizzatori del progetto non si sono scoraggiati ma hanno cominciato a cercare un altro spazio, questa volta esterno al carcere, da adibire all'accoglienza dei bambini.
Si sono susseguite diverse proposte tra cui: una sede presso il Mac Donalds (poi considerato inadatto), una stanza presso il teatrino delle marionette (che però stava a sua volta per subire uno sfratto), ed infine, quasi per caso, il Museo della scienza e della tecnologia che si trova proprio a pochi passi dal carcere.
Come mi ha spiegato il Dottor Foà il Museo ha diversi pregi: è un luogo nel quale si va liberamente con la volontà di scoprire cose nuove, è sempre pieno di bambini, presenta sia aree al chiuso che aree all'aperto, inoltre, non è di nessuno in particolare ma è della città, quindi di tutti.
Si crea una sorta di empatia con la direzione del Museo della scienza e della tecnologia che sposa il progetto, così, viene chiesto un finanziamento al comune di Milano per ristrutturare la stanza messa a disposizione dal museo (poiché lo sponsor che avrebbe dovuto appoggiare il progetto si era ritirato). Il finanziamento viene accordato così i lavori di ristrutturazione possono cominciare.
Il progetto della ristrutturazione viene fatto dall'architetto del museo, poiché si voleva creare un ambiente che non stridesse con il resto dell'edificio per non far sentire "diversi" i figli dei detenuti rispetto ai bambini che entrano al museo per diletto.
Fortunatamente la ristrutturazione non ha subito né intoppi, né arresti così dopo circa un anno di lavori vede la luce la Stanza Verde (2.3).
Il Dottor Foà, direttore del Servizio Area Penale e Carcere dell'ASL di Milano, ha costituito nel 2000 una carta di intenti del "Relais figlio- genitore", con la quale tutte le risorse del progetto si impegnano a lavorare con gli stessi obiettivi senza crearsi vicendevolmente problemi.
Come afferma lo stesso Foà: "Lo abbiamo fatto per non creare all'interno del Progetto Relais le stesse scissioni che affliggono le famiglie dei detenuti". Infatti il motto che sottostà alla carta di intenti è lavoriamo tutti sui pezzi di uno stesso sistema.
Le risorse del "Progetto Relais figlio-genitore" sono: ASL di Milano, Direzione della Casa Circondariale di S. Vittore, educatori della C. C. di S. Vittore, Agenti della C. C. di S. Vittore, CSSA di Milano, Regione Lombardia, Università Bicocca di Milano, Caritas Ambrosiana, Enaip Lombardia, Arecs Milano, associazioni di volontariato che si occupano di bambini a S. Vittore (Telefono Azzurro, Bambini Senza Sbarre), Tribunale di Sorveglianza, il Tribunale dei Minori e il Museo della scienza e della tecnologia di Milano.
Gli obiettivi comuni sono stati discussi in molti convegni, il primo dei quali è avvenuto a Milano il 19 Ottobre 2000.
Il Progetto Relais figlio-genitore di S. Vittore si è concentrato in particolare sulla figura del padre piuttosto che su quella della madre, questa scelta è motivata dal fatto che i detenuti uomini sono la stragrande maggioranza e molti di loro hanno figli (Tabella 3).
I dati che riporto di seguito riguardanti la popolazione detenuta italiana, con particolare attenzione della Lombardia, mi sono stati forniti dal Dottor Foà. Essi sono utili per comprendere quanto il problema della paternità negata dalla reclusione sia scottante. Per capirlo basta confrontare le tre tabelle e notare che i detenuti uomini sono molti di più delle donne (52.453 contro 2.343) e che di loro molti hanno figli (18.512).
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Detenuti Con Figli |
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Italia |
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Lombardia |
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Tabella 1: Mostra il numero totale di detenuti e di detenuti con figli in Italia e in Lombardia, (Fonte: Ministero Della Giustizia- D.A.P.-Situazione al 1 Luglio 2000).
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Detenute Donne |
Detenute Donne Con Figli |
Italia |
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Lombardia |
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Tabella 2: Mostra il numero totale delle detenute e delle detenute con figli in Italia e in Lombardia, (Fonte: Ministero Della Giustizia- D.A.P.-Situazione al 1 Luglio 2000).
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Totale Detenuti Uomini |
Detenuti Uomini Con Figli |
Italia |
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Lombardia |
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Tabella 3: Mostra il numero totale dei detenuti uomini e dei detenuti uomini con figli in Italia e in Lombardia, (Fonte: Ministero Della Giustizia- D.A.P.-Situazione al 1 Luglio 2000).
Il Progetto Relais vuole, come afferma il Dottor Foà: ".rimettere in moto il problema sociale della paternità", poiché la figura paterna, che anche in società finisce sempre di più sullo sfondo, ha molte ragioni per riemergere soprattutto per i figli che vivono la situazione del genitore recluso.
Come ho sentito affermare durante la presentazione de "Il lupo racconta" dalla coordinatrice dell'associazione Bambini Senza Sbarre, le statistiche mostrano che quando il legame di affettività tra padre e figlio si spezza a causa della reclusione del genitore c'è una altissima probabilità che anche i figli seguano le orme paterne sulla strada della criminalità.
E' sulla linea di questa considerazione che è stato accettato dal Dottor Foà il progetto dell'audiolibro come attività attinente al Progetto Relais figlio-genitore, poiché mira a dare la possibilità ai detenuti di aprire un dialogo con i propri figli, contatto necessario per non interrompere quel rapporto che li fa essere non solo padri biologici ma papà presenti.
La Stanza Verde è un locale di circa 90 mq in pianta ottagonale, che si trova all'interno del Museo della scienza e della tecnologia di Milano.
Al momento per accedervi è necessario passare dall'ingresso principale del museo, ma per non essere vincolati ai suoi orari è già stato predisposto un secondo ingresso da via S. Vittore.
E' una stanza che ripropone un ambiente familiare, infatti, sulla scia dell'esperienza francese, si compone di bagno con fasciatoio, cucina e spazio adibito al gioco per i bambini di tutte le età.
E' stata arredata di verde e arancione che sono i colori del logo del "Progetto Relais figlio-genitore " (Fig. 5), ed è provvista di computer, telefono, fax, segreteria telefonica ed e-mail.
La Stanza Verde è provvista anche di porticato, ossia un luogo all'esterno, antistante alla stanza prima descritta. Grazie a questo spazio i bambini/ospiti possono giocare anche all'aria aperta.
Al momento vi prestano servizio ex detenute che hanno, a loro volta, goduto dei vantaggi del "Progetto Relais figlio-genitore", ma l'obiettivo è quello di mettere a disposizione dei bambini sempre più personale pedagogicamente preparato. Intanto alle ore 10 di ogni sabato i bambini possono usufruire della presenza di una guida del museo che li conduce alla scoperta delle scienze e delle tecnologie, questo risponde all'obiettivo di rendere la Stanza Verde anche un luogo di cultura e non solo un parcheggio.
La Stanza Verde è stata inaugurata il giorno 19 marzo 2004, giorno in cui, come ho già detto, è stato presentato l'audiolibro "Il lupo racconta".
Ecco cosa riportava l'articolo apparso su "La Stampa" in merito all'inaugurazione della Stanza Verde.
"Il lupo racconta" è stato considerato un regalo che i detenuti hanno fatto al "Progetto Relais figlio-genitore" perché i fondi che si ricaveranno dalla vendita dell'audiolibro andranno a finanziare altre iniziative del "Progetto Relais figlio-genitore", creando così un cerchio che si autoalimenta.
Inoltre è possibile considerarlo un regalo fatto dai detenuti a tutti i cittadini, questo perché l'audiolibro offrirà a tutti genitori, che vorranno acquistarlo, validi spunti per aprire un dialogo con i propri figli.
Il progetto dell'audiolibro ha aiutato i detenuti che vi hanno lavorato a fare chiarezza nel proprio passato, nei sottili nessi che tengono insieme tutti gli avvenimenti di una vita. Infatti come scrive il Dottor Angelo Aparo nell'introduzione al libro: "Mentre sviluppavano i loro racconti, gli autori hanno potuto soffermarsi meglio su alcuni momenti significativi del loro tragitto.".
Continua il Dottor Aparo: ".con la loro consegna all'esterno, si apre lo spazio per un'alleanza importante: quella che, dal mondo esterno al carcere, il libero cittadino possa raccogliere la domanda degli autori e provare a tesserla insieme"[14].
La domanda degli autori, alla quale si fa riferimento in questa frase, è una richiesta di ascolto fatta alla società. "Il lupo racconta", in quest'ottica, ha il pregio di dare la possibilità ai detenuti/lupi di essere per una volta la voce narrante delle storie e non, come avviene di solito in tutte le fiabe, gli antagonisti che servono solo a far emergere le eroiche capacità del protagonista principale.
Il lupo nelle fiabe non ha mai la possibilità di replica, è solo il cattivo che viene sconfitto ed emarginato rendendo felice il lettore che ha così ottenuto il suo lieto fine, e che si sente protetto perché è stato eliminato il pericolo. Questo è quanto ci viene insegnato fin da piccoli, "scappare dal lupo".
L'audiolibro vuole ribaltare questa situazione, infatti, avendo la possibilità, per una volta, di parlare il detenuto/lupo vuol far capire che le cose non sono sempre come sembrano.e che vale la pena di ascoltare prima di giudicare.
Per fare un esempio di come le cose possono apparire diverse a seconda di chi le racconta, riporto, di seguito, una "versione particolare" della fiaba di "Cappuccetto rosso", da sempre l'emblema della figura del lupo cattivo.
La storia di Cappuccetto Rosso raccontata dal lupo La foresta era la mia casa. Ci vivevo e ne avevo cura cercavo di tenerla linda e pulita. Quando un giorno di sole, mentre stavo ripulendo della spazzatura che un camper aveva lasciato dietro di sé, udii dei passi. Con un salto mi nascosi dietro un albero e vidi una ragazzina piuttosto insignificante che scendeva lungo il sentiero portando un cestino. Sospettai subito di lei perché vestiva in modo buffo, tutta in rosso, con la testa nascosta da un cappuccio. Naturalmente mi fermai per controllare chi fosse.Le chiesi chi era, dove stava andando e cose del genere. Mi raccontò che stava andando a casa di sua nonna a portarle il pranzo.Mi sembrò una persona fondamentalmente onesta, ma si trovava nella mia foresta e certamente appariva sospetta con quello strano cappellino. Così mi decisi di insegnarle semplicemente quanto era pericoloso attraversare la foresta senza farsi annunciare e vestita in modo così buffo. La lasciai andare per la sua strada, ma corsi avanti alla casa di sua nonna.Quando vidi quella simpatica vecchietta, le spiegai il mio problema e lei acconsentì che sua nipote aveva immediatamente bisogno di una lezione. Fu d'accordo di stare fuori dalla casa fino a che non l'avessi chiamata, di fatto si nascose sotto il letto. Quando arrivò la ragazza, la invitai nella camera da letto mentre io mi ero coricato vestito come sua nonna.La ragazza, tutta bianca e rossa, entrò e disse qualcosa di poco simpatico sulle mie grosse orecchie. Ero già stato insultato prima di allora, così feci del mio meglio suggerendole che le mie grosse orecchie mi avrebbero permesso di udire meglio. Ora, quello che volevo dire era che mi piaceva e volevo prestare molta attenzione a ciò che stava dicendo, ma lei fece un altro commento sui miei occhi sporgenti.Adesso puoi immaginare quello che cominciai a provare per questa ragazza che mostrava un aspetto così carino ma che era evidentemente una bella antipatica. E ancora, visto che per me è ormai un atteggiamento acquisito porgere l'altra guancia, le dissi che i miei grossi occhi mi servivano per vederla meglio. L'insulto successivo mi ferì veramente. Ho infatti questo problema dei denti grossi. E quella ragazzina fece un commento insultante riferito a loro. Lo So che avrei dovuto controllarmi, ma saltai giù dal letto e ringhiai che i miei denti mi sarebbero serviti per mangiarla meglio. Adesso, diciamoci la verità, nessun lupo mangerebbe mai una ragazzina, tutti lo sanno, ma quella pazza di una ragazza cominciò a correre per la casa urlando, con me che la inseguivo per cercare di calmarla.Mi ero tolto i vestiti della nonna, ma è stato peggio. improvvisamente la porta si aprì di schianto ed ecco un grosso guardiacaccia con un'ascia. Lo guardai e fu chiaro che ero nei pasticci. C'era una finestra aperta dietro di me e scappai fuori. Mi piacerebbe dire che fu la fine di tutta la faccenda, ma quella nonna non raccontò mai la mia versione della storia.Dopo poco incominciò a circolare la voce che io ero un tipo cattivo e antipatico e tutti incominciarono ad evitarmi.Non so più niente di quella buffa bambina con il cappuccio rosso, ma dopo quel fatto non ho più vissuto felice. |
Adesso sfido chiunque a dire che il lupo è il cattivo.
Lontana da me ogni intenzione di far passare i detenuti come vittime di fraintendimenti sociali o giudiziari, con questa fiaba ho solo voluto sottolineare quello che è lo spirito de "Il lupo racconta", e cioè la volontà dei detenuti di essere ascoltati, dando per una volta la loro versione dei fatti.
Per onestà aggiungo che leggendo i brani dei detenuti non ho mai incontrato nessun tentativo da parte loro di "scaricare" le proprie colpe su altri per autoassolversi, hanno solo voluto raccontare.e in questi racconti non hanno mai omesso di dichiararsi "lupi" e lupi cattivi.
Per questo motivo credo di poter sostenere che l'audiolibro risponda all'ammonizione che il professor Duccio Demetrio impartisce a chiunque si accinga a scrivere brani autobiografici, e cioè: "Vanaglorioso e senza pudore è colui che si riscrive dimenticando tutto ciò che di "illogico" (immotivato, cretino, inutile, dissipativo.) ha fatto, pensato, amato. Un'autobiografia veridica non è il salotto buono; non è la vetrina degli oggetti spolverati; lo spot pubblicitario per nuovi amori e per il padreterno. Abbiamo a lungo parlato di coraggio autobiografico ed è quindi tempo che vi mettiate alla prova con carta e penna o assimilabili."[16]
Penso che i detenuti abbiano raccolto pienamente questa ammonizione e l'abbiano fatta propria, così chiunque deciderà di leggere e ascoltare le loro storie troverà solo "riassunti di verità", che mirano a sensibilizzare la società libera sul fatto che dietro ad ogni gesto ci sono delle motivazioni, e che prima di giudicare queste vanno comprese.
Ancora una volta.un invito al dialogo!
Dopo la descrizione di tutto il progetto dell'audiolibro credo si possa concludere che effettivamente "Il lupo racconta" si colloca fra le attività che mirano a rendere operante il recupero personale e sociale del detenuto, infatti per quanto riguarda il primo aspetto si è visto che gli autori hanno partecipato ad un corso di scrittura creativa, e a degli incontri con lo psicoterapeuta che hanno favorito quel percorso che l'autobiografia aiuta a fare, cioè la comprensione di se stessi. Per quanto riguarda il secondo aspetto, l'audiolibro ha contribuito a dare ai detenuti la possibilità di comunicare con l'esterno, aspetto importante anche ai fini della sensibilizzazione della società sul mondo del carcere.
Di seguito riporto le tracce delle interviste da me effettuate:
Dottoressa Emilia Patruno (giornalista di Famiglia Cristiana)
Come nasce l'idea de "Il lupo racconta" ?
Quando nasce il progetto?
Perché è stato proposto a Dario Foà?
Come sono stati scelti gli autori?
Hanno avuto una preparazione gli autori?
Come gli è stato spiegato il progetto?
Cosa ne pensavano gli autori?
Quali sono state le fasi in cui si è sviluppato il progetto?
Come è avvenuta la registrazione del cd?
Come è stata scelta l'immagine della copertina del libro?
Perché questo titolo?
Perché la forma di audio-libro?
(Intervista effettuata presso la sede di Famiglia Cristiana all'inizio di aprile 2004)
Dottor Dario Foà (direttore del Servizio Area Penale e Carceri della ASL di Milano)
Cos'è il Progetto Relais figlio-genitore?
Come nasce?
Come mai ha accettato il progetto de "Il lupo racconta"?
Cos'è e come è nata la stanza verde?
(Intervista effettuata presso la ASL di Milano all'inizio di aprile 2004)
Autori-detenuti
Hai figli?
Perché hai accettato di partecipare al progetto de "Il lupo racconta"?
Cosa ha rappresentato per te?
Hai avuto difficoltà a scrivere la tua storia?
Quanto tempo ci hai impiegato a scriverla?
Dove hai scritto?
Come valuti i corsi di scrittura creativa e gli incontri con lo psicoterapeuta?
Sei soddisfatto del risultato del progetto?
(Interviste effettuate presso la redazione de "ildue" a S. Vittore all'inizio di aprile 2004)
Raffaella Oliva, I papà di San Vittore si raccontano ai figli, "Corriere della Sera", Giovedì 18 marzo 2004, p. 57.
Brunella Giovara, Caro figlio ti scrivo le storie del lupo da dietro le sbarre, "La Stampa", Giovedì 18 marzo 2004, p.30.
Per la trattazione di questo argomento mi sono avvalsa delle informazioni e del materiale fornitomi dal Dottor Dario Foà, direttore del Servizio Area Penale e Carceri della ASL di Milano.
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