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Futurismo - Pirandello: il saggio Arte e coscienza d'oggi, Pirandello: la poetica dell'umorismo




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Futurismo


Il 20 febbraio 1909 sul «Figaro» è pubblicato il primo Manifesto del futurismo. Autore ne è Filippo Tommaso Marinetti . Vi si proclama come forme di espressione del futurismo l'aggressività, la temerarietà, il salto mortale, lo schiaffo, il pugno. Contro i valori tradizionali si esalta il dinamismo della vita moderna, i miti della macchina e della guerra, la violenza come affermazione di individualità. L'impegno a creare un'arte omologa alla società industriale e tecnologica più avanzata implica nei futuristi la necessità di combattere la tradizione, i musei, la concezione umanistica e classicistica. Il pubblico, legato al passato, deve essere provocato e costretto attraverso uno choc violento ad accettare la nuova tendenza. Nel 1910 Marinetti con il Manifesto tecnico della letteratura futurista indicò come specifico mezzo di espressione letteraria le «parole in libertà», le sole in grado di tradurre per analogia e suggestione i meccanismi psichici e la frenesia della vita moderna, la velocità, il peso, l'odore, il suono: quindi verbi all''infinito, abolizione della sintassi, della punteggiatura, delle parti qualificative del discorso come aggettivi e avverbi, introduzione dei segni matematici, ma anche la manipolazione dei caratteri di stampa, disposti in maniere suggestive e inusitate.


Pirandello: il saggio Arte e coscienza d'oggi

Nella produzione di Luigi Pirandello antecedente alla poetica dell'umorismo, notevole è la coscienza della crisi delle ideologie e dei valori culturali della tradizione ottocentesca. Nasce da questa constatazione il saggio Arte e coscienza d'oggi pubblicato nel 1893, di cui si evidenzia il seguente brano:


Crollate le vecchie norme, non ancor sorte o bene stabilite le nuove; è naturale che il concetto della relatività d'ogni cosa si sia talmente allargato in noi, da farci quasi del tutto perdere l'estimativa. Il campo è libero ad ogni supposizione? L'intelletto ha acquistato una straordinaria mobilità. Nessuno più riesce a stabilirsi un punto di vista fermo e incrollabile. I termini astratti han perduto il loro valore, mancando la comune intesa, che li rendeva comprensibili.

Non mai, credo, la vita nostra eticamente ed esteticamente fu più disgregata. Slegata, senz'alcun principio di dottrina e di fede, i nostri pensieri turbinano entro i fati attuosi, che stan come nembi sopra una rovina. Da ciò, a parer mio, deriva per la massima parte il nostro malessere intellettuale. Aspettiamo, e invano, pur troppo! che sorga finalmente qualcuno ad annunziarci il verbo nuovo

lo non so se la coscienza moderna sia veramente così democratica e scientifica come oggi comunemente si dice. Non capisco certe affermazioni astratte. A me la coscienza moderna dà l'immagine d'un sogno angoscioso attraversato da rapide larve or tristi or minacciose, d'una battaglia notturna, d'una mischia disperata, in cui s'agitino per un momento e subito scompaiano, per riapparirne delle altre, mille bandiere, in cui le parti avversarie si sian confuse e mischiate, e ognuno lotti per sé, per la sua difesa, contro all'amico e contro al nemico. E in lei un continuo cozzo di voci discordi, un'agitazione continua. Mi par che tutto in lei tremi e tentenni.


Nel saggio Pirandello descrive la crisi intellettuale e morale della sua stessa generazione affetta da "inanismo", "egoismo", "spossatezza morale", e incapace di elaborare nuovi valori, dopo aver scoperto (come Pirandello stesso) la relatività di ogni cosa. In un vero e proprio esame di coscienza del ceto intellettuale, la modernità appare all'autore un intreccio contraddittorio di spinte e controspinte, senza vie d'uscita, un continuo cozzo di voci discordi, ciascuna delle quali appare condannata alla relatività del proprio punto di vista e perciò incapace di aspirare alla verità.


Pirandello: la poetica dell'umorismo

L'elaborazione della poetica dell'umorismo avviene tra il 1904 e il 1908, anno in cui esce il saggio L'umorismo. L'umorismo pirandelliano non è solo una poetica; è anche l'espressione coerente del pensiero e della cultura del relativismo filosofico, e nasce in lui da una riflessione sulla modernità. Nel saggio egli contrappone l'arte umoristica all'arte epica e tragica, constatando che nella modernità la poesia fondata sul tragico e sull'eroico non è più possibile. Le categorie di bene e di male, di vero e di falso, su cui si basavano la tragedia e l'epica, sono infatti venute a mancare. L'umorismo è l'arte del tempo moderno in cui tali categorie sono entrate in crisi e in cui non esistono più parametri certi di verità. Perciò l'umorismo non propone valori, né eroi che ne siano portatori, ma un atteggiamento esclusivamente critico-negativo e personaggi problematici e dunque inetti nell'azione pratica; esso non risolve positivamente le questioni che affliggono l'uomo ma mette in rilievo le contraddizioni e le miserie della vita, irridendo e compatendo nello stesso tempo. L'arte umoristica è volta continuamente a evidenziare il contrasto tra forma e vita e tra personaggio e persona. L'uomo ha bisogno di autoinganni: deve cioè credere che la vita abbia un senso e perciò organizza l'esistenza secondo convenzioni, riti, istituzioni che devono rafforzare in lui tale illusione. Gli autoinganni individuali e sociali costituiscono la forma dell'esistenza. Essa blocca la spinta anarchica delle pulsioni vitali, la tendenza a vivere momento per momento al di fuori di ogni scopo ideale e di ogni legge civile: essa cristallizza e paralizza la vita. Quest'ultima è una forza profonda e oscura che fermenta sotto la forma ma che riesce a erompere solo saltuariamente nei momenti di sosta o di malattia, di notte o negli intervalli in cui non siamo coinvolti nel meccanismo dell'esistenza. Il soggetto costretto a vivere nella forma non è più una persona integra, coerente e compatta, fondata sulla corrispondenza armonica fra desideri e realizzazione, passioni e ragione; ma si riduce a una maschera (o a un personaggio) che recita la parte che la società esige da lui e che egli stesso si impone attraverso i propri ideali morali. Il personaggio non è coerente, solido, unitario, perché non è più persona. Ha davanti a sé solo due strade: o sceglie l'incoscienza, l'ipocrisia, l'adeguamento passivo alle forme, oppure vive consapevolmente, amaramente e autoironicamente la scissione fra forma e vita. Nel primo caso è solo una maschera, nel secondo diventa una maschera nuda dolorosamente consapevole degli autoinganni propri e altrui, ma impotente a risolvere la contraddizione che pure individua. Più che vivere, il personaggio "si guarda vivere", cioè si pone fuori dell'esperienza vitale: condannato all'estraneità, guarda da fuori e compatisce non solo gli altri ma se stesso. Questo distacco riflessivo, amaro, pietoso e ironico insieme, è il segno distintivo dell'umorismo.

Nella Premessa Seconda a Il fu Mattia Pascal, scritto nel 1903 e dunque primo romanzo umoristico di Pirandello, si legge che il relativismo moderno e il conseguente umorismo sono fatti dipendere dalla scoperta di Copernico e dalla fine dell'antropocentrismo tolemaico: la rivelazione che l'uomo non è più al centro del mondo ma costituisce un'entità minima e trascurabile di un universo infinito e inconoscibile rende assurde le sue pretese di conoscenza e di verità e "relative" tutte le sue fedi. Inoltre, ne Il fu Mattia Pascal Pirandello sottolinea il carattere artificiale della costruzione romanzesca, togliendole ogni aspetto di "naturalezza" e di "storicità"; mentre nella premessa chiamata Avvertenza sugli scrupoli della fantasia egli sostiene la plausibilità della vicenda raccontata. Si ha così una sorta di sdoppiamento del romanzo: da un lato esso è presentato come storia accaduta, dall'altro si discute se tale storia può essere accaduta o meno. Ogni verità, insomma, è relativa, anche quella romanzesca.



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