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Il ciclo di aspasia




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Il CICLO DI ASPASIA

Creazione: canzone composta a Napoli nell'autunno del 1833 o nella primavera del 1834 (per qualcuno addirittura all'inizio del 1835) e pubblicata per la prima volta nell'edizione Starita; non se ne conserva alcun autografo; Aspasia è il nome dell'etera amata da Pericle e questo nome assume per Leopardi Fanny Targioni Tozzetti: l'identificazione è testimoniata da Antonio Ranieri in una lettera alla stessa Fanny.
Metro: Quattro stanze di endecasillabi sciolti.

Tema centrale

         Aspasia è il canto dell'amore e del disinganno, dell'addio non alla donna ma all'amore e alla vita, ed è un canto in cui traspare un dolorosa intimità, che qui, dopo la presa di coscienza di un amore finito o mai realizzato, assume la forma di un libero corso effusivo dei propri pensieri, del disinganno provato e delle illusioni improvvisamente spezzate, quelle illusioni che erano state ad arte incitate e accarezzate dalla stessa Fanny colla sua bellezza, coi suoi atteggiamenti civettuoli non solo di madre ma anche di donna (che abbraccia le sue tre bambine e mentre le stringe al seno le bacia lasciando lampeggiare la bianca e conturbante nudità del collo).
         Il cuore del poeta si presenta aperto e la sua anima è nuda e disarmata. Il sorriso che chiude la canzone non è di disperazione; è piuttosto il sorriso di chi ha capito che per lui non c'è più spazio e inevitabilmente bisogna accettare il destino, per quanto amaro e angoscioso possa essere, di chi nelle cose del mondo ha scoperto la definitiva infinita vanità. Alla fine nella nostra mente resta proprio questo sorriso, così lontano da ogni pessimismo ma così vicino alla vera profonda infelicità che possiede ogni essere umano che dal destino si vede negata la sola cosa veramente bella che esiste: l'amore, tanto da fargli dire che la morte è la seconda cosa bella e desiderabile. Ma il pensiero della morte non esiste nel sentimento d'amore: subentra come una liberazione quando l'amore non c'è più o si rivela irrealizzabile.
         Il canto è chiusa da un sorriso finale; ma questo sorriso non è quello di un misantropo che mostra la sua avversione per il genere umano o di un misogino che mostra il suo impotente odio per le donne, ma è il sorriso di colui che è ormai andato oltre le umane miserie prospettate dal destino, che ha accantonato i desideri più veri, che ha smesso di essere schiavo dell'amore, cioè dell'unico vero sentimento per cui vale la pena lottare e soffrire.

Struttura

Indubbiamente la canzone può essere divisa in due parti.

- La prima (vv. 1-60) si presenta con un carattere più generale in cui Leopardi mostra che l'uomo amando vagheggia e desidera un'idea che a suo modo si forma nella sua mente, idea alla quale solo raramente corrisponde la figura della donna che gliel'ha suscitata: la donna, anzi, non sarebbe nemmeno capace di comprendere le alte ispirazioni che suscita nell'uomo colla sua bellezza.

- La seconda (dal v. 61 alla fine) parla di e di Aspasia, calando nella realtà quello che ha in generale dell'uomo e della donna, ed incomincia riprendendo e ampliando il concetto esposto nei vv. 50-52: la donna non pensa, né potrebbe comprendere, a ciò che ispira il fascino della sua stessa bellezza nel generoso amante.

Aspasia

         La scelta del nome non è molto lusinghiera per la donna che un giorno aveva suscitato amore nel suo cuore. Aspasia era il nome della figlia, bellissima e coltissima, di Asioco di Mileto, come narra Plutarco nella vita di Pericle; è la più famosa delle etere (cortigiane) greche, celebre anche per la conoscenza dell'arte oratoria, rara soprattutto in una donna; ammiratrice di Socrate, che amava recarsi presso di lei coi suoi discepoli che aveva familiarità anche con gli intellettuali più in vista di Atene; fu prima amante e poi moglie di Pericle, del quale divenne l'ispiratrice politica sul piano della protezione delle arti. Nel 1779 alcuni fortunati scavi archeologici restituirono alla luce un busto di Pericle e poco lontano uno proprio si Aspasia.
         Nella vita reale Aspasia è Fanny Ronchivecchi, moglie del professor Antonio Targioni Tozzetti, che a Firenze abitava in via Ghibellina; nata nel 1805 (all'epoca aveva quindi venticinque anni) e morta nel 1889, era donna assai in vista nella società fiorentina per la sua bellezza e per le sue pretese letterarie, ma anche per i pettegolezzi che circolavano sul suo conto e sul numero dei suoi amanti: così da Firenze in una lettera del 18 maggio 1830 ad Antonio Ranieri racconta Alessandro Poerio, che aveva presentato Leopardi e lo stesso Ranieri alla Fanny:

Commento

         Il poeta distingue la donna dalla immagine che l'innamorato si forma dentro il suo animo; l'una e l'altra producono in lui effetti straordinari, come la musica. Il lampeggiare degli sguardi di una donna e dei suoi fuggevoli sorrisi che dicono e tacciono, che promettono e negano, creano quell'inganno inesplicabile nel quale l'uomo innamorato spera e quasi crede, restandone avvolto. Per qualche attimo l'illusione della perfetta corrispondenza tra l'immagine creata e la reale donna esistente si concretizza: Leopardi si innamora veramente di Fanny, ma Aspasia-Fanny è combattuta tra due sentimenti, quello del rispetto per un uomo che merita attenzione per il suo disgraziato destino, per la sua genialità e la sua poesia, e quello di un certo disgusto per una figura fisica che a tutto poteva mirare fuorché ad attirare fisicamente una donna: guardandolo Fanny mai avrebbe potuto un'immagine amorosa da conservare gelosamente dentro di .


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