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IL BIANCO E NERO DI BEARDSLEY
La breve vita di Beardsley , verso la fine dell'era vittoriana, sembra opporsi allo spirito e alla morale di una società ipocrita e conformista, che lo condannava per la spregiudicata indipendenza dagli schemi tradizionali del costume britannico e per l'ardita affermazione di un nuovo stile grafico, rifiutato dai più, e che doveva invece rappresentare, in seguito, una delle espressioni più tipiche dell'arte « fin de siècle ».
L'ironia, il sarcasmo, il disprezzo erano le armi di Beardsley, che si calava nella parte del dandy alla Oscar Wilde, e che nel dandysmo aveva trovato una propria etica e una propria estetica, che furono espressione delle inquietudini e delle ribellioni del tempo.
L'arte decadente, nella vasta opera grafica di Beardsley, si configura, alle soglie del nuovo secolo, in una specie di bizantinismo raffinato e nevrotico, in cui i grandi temi della poesia, della letteratura, delle arti figurative si corrompono nelle forme spesso perverse e nelle eleganza stilistica del simbolismo e dell'« Art Nouveau ».
Beardsley, nato da in una famiglia piccolo borghese, da giovane impiegato in una società di assicurazioni, di una sensibilità acuta in un corpo reso fragile dalla malattia, reagisce con una volontà forte e disperata alla condizione sociale che minacciava di relegarlo nell'ombra di un ambiente mediocre, e scopre la sua vera vocazione di artista e di letterato, cercandosi poi da solo i propri maestri e i propri mezzi di espressione.
I suoi maestri furono Burne-Jones, Morris e Gustave Moreau, i preraffaelliti e i simbolisti. Beardsley era un uomo capace di dominarsi, di chiudersi, coi propri insuperabili complessi, dietro la maschera di un personaggio crudele e indifferente. Mentre Baudelaire era dovuto discendere negli abissi del satanismo, sotto l'azione dell'assenzio e delle droghe, per sottrarsi alla responsabilità di una vita normale, Beardsley, invece, ormai incapace di vincere la malattia che lo annientava, combattuto fra l'erotismo e il sadismo, aveva accettato anche lo sfacelo morale, l'incesto, le ambigue esperienze sessuali, come pretesti necessari alla sua tormentata ispirazione artistica e al raggiungimento di una impassibilita' esteriore marmorea e ipocrita. Nel giro di pochi anni, il piccolo borghese si era trasformato in un aristocratico, in un eletto dei sensi e dello spirito.
È proprio questo che differenzia Beardsley dal dandysmo di Oscar Wilde, più estroverso e afflitto dalla sua immagine pubblica, dominatore di salotti mondani con la verve di una conversazione brillante, costellata d'innumerevoli paradossi. La relazione tra Beardsley e Wilde si deve a Salomé, tragedia tradotta in inglese da lord Alfred Douglas, il protagonista della vicenda giudiziaria, che portò l'incauto accusatore sul banco degli accusati e alla condanna a due anni di prigione nel carcere di Reading. L'artista contribuì alla realizzazione dell'opera fornendo i disegni che dovevano abbellire le pagine. L'interpretazione di Beardsley di tale figura si mantiene nei termini di quella ambiguità, che non trova origine soltanto nella misoginia dell'artista. Salomè rappresenta il trionfo dell'estetismo, spinto all'eccesso da una contemplazione morbosa, da voyeur. Beardsley, da intellettuale snob orgoglioso, non esita a tradurre la testa tagliata del Battista nei modi più sconcertanti dell'estetismo figurativo. Siamo qui oltre i semplici decorativismi formali di Whistler: sembra che nei suoi bianchi e neri sia racchiuso il segreto dell'arte, della letteratura e del costume del tempo. Il tragico si veste spesso d'ironia, e diviene grottesco. Ed è questo gusto per la deformazione, l'inquietudine placata dal formalismo da dandy, la concezione pessimistica della vita che colloca Beardsley nel decadentismo.
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