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I luoghi, i tempi e le parole-chiave: Naturalismo, Simbolismo e Decadentismo
Il periodo storico che ci accingiamo a prendere in considerazione, intercorre dalla seconda metà dell'Ottocento ai primi anni del Novecento.
Dal punto di vista prettamente sociale, si assiste ad un passaggio da una borghesia liberista, che sino ad allora aveva promosso un forte sviluppo economico, basato sul libero scambio e sulla libera concorrenza, ad una borghesia di tipo imperialista che era invece favorevole alla formazione di grandi concentrazioni industriali monopolistiche tutelata in più dallo stato; ed è proprio grazie a questo cambiamento che si riuscirà ad uscire dalla "Grande depressione", fase storica di crisi economica che va dal 1873 al 1895.
In campo letterario le due tendenze dominanti sono senza dubbio il Naturalismo e il Simbolismo, e con l'affermarsi di esse termina la letteratura Romantica.
I caratteri fondamentali su cui si basa il movimento letterario del Naturalismo, possono ricercarsi nel rifiuto della letteratura romantica perché basata sulla fantasia; sul rifiuto dei canoni tradizionali del bello, in quanto per la prima volta sino ad allora, rientra nella concezione del bello, la realtà anche se volgare; nell'affermazione del metodo dell'impersonalità, ovvero l'eclissi dell'autore, il quale deve scomparire dietro l'opera senza lasciarvi le tracce della propria personalità; nell'impostazione scientifica della narrazione; nel primato del romanzo, considerato l'unico tra i generi letterari in grado di adeguarsi rigorosamente al metodo scientifico.
Nel Naturalismo, quindi, lo scrittore è come se diventasse uno specialista che si limita ad osservare per poi descrivere il più fedelmente possibile i meccanismi sociali, in conformità al presupposto secondo al quale la letteratura può analizzare e rappresentare la natura umana, con la stessa oggettività con cui le scienze trattano i fenomeni naturali.
Per quanto riguarda i contenuti naturalisti, devono rappresentare tutti i gradini della scala sociale, dai più bassi per risalire ai più elevati, seguendo così il metodo scientifico, che procede sempre dal semplice al complesso.
Nel Simbolismo invece, è presente una specializzazione linguistica che fa della poesia, genere letterario di gran lunga più adottato, un linguaggio assoluto, caratterizzato appunto da simboli che lo rendono spesso di difficile decifrazione.
Il Simbolismo rifiuta le pretese scientifiche di spiegazione razionale dell'universo.
Sia il Naturalismo che il Simbolismo hanno l'epicentro in Francia, ma si sviluppano poi in tutta l'Europa, e sebbene sembra che per un certo periodo convivano, il Simbolismo prende poi il sopravvento e domina infine incontrastato dal 1890 al 1905.
In questi anni il simbolismo confluisce nel Decadentismo, ovvero in quella civiltà letteraria e artistica affermatasi in Europa a cavallo tra i due secoli.
Il Decadentismo fa dell'estetismo, cioè del culto della bellezza e dell'arte, la sua principale parola d'ordine e dell'irrazionalismo la sua ideologia privilegiata, in quanto, il poeta rivelerebbe una verità superiore concepita intuitivamente o misticamente e dunque in modi del tutto sottratti alla razionalità.
Viene quindi radicalmente rifiutata la visione positivistica, poiché, il progresso, la ragione, la scienza, la concretezza, sono tutti valori che non possono dare la vera conoscenza della realtà, che è concepita come misteriosa ed enigmatica.
Si ha così la scoperta dell'inconscio, poiché l'arte tende sempre ad esprimere le associazioni profonde dell'io, la complessità dei sentimenti, e a collegare il mistero dell'anima a quello della vita stessa dell'universo.
Poiché nel decadentismo, la poesia è concepita come rivelazione dell'assoluto, il poeta è immaginato come il mediatore di tale rivelazione, mentre l'artista considerato come inventore e creatore, non deve più imitare la vita, come facevano gli scrittori naturalisti, ma crearla.
Sul piano politico gli scrittori decadenti appoggiano le nascenti ideologie nazionalistiche ed imperialistiche.
Per quel che riguarda la filosofia europea, possiamo dividere il periodo considerato, in due momenti: nel primo che dura fino all'ultimo decennio dell'Ottocento, domina la cultura del Positivismo, mentre nel secondo che va dalla fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, si assiste ad una reazione al Positivismo che arriva a mettere in discussione i caratteri e i metodi scientifici, che avevano prevalso sino ad allora.
Nelle società capitalisticamente più avanzate la cultura è rappresentata dall'insieme delle scuole pubbliche e private, che vanno dalle elementari alle università, e dal sistema editoriale, ovvero le pubblicazioni di libri, giornali e riviste.
Pian piano che il sistema editoriale cresceva si può benissimo capire come le riviste e i giornali svolgevano un ruolo fondamentale nella formazione culturale dei letterati, e come inevitabilmente si tendano a sostituire i caffè rispetto ai salotti, come luoghi d'incontro.
L'Antiromanzo
Nei primi anni del Novecento in tutta Europa si assiste al rifiuto in blocco della narrativa da parte della nuova generazione che giunge a mettere in discussione il romanzo e la novella secondo le strutture ottocentesche.
Nasce così l'Antiromanzo del Novecento, nuova forma narrativa capace di comunicare la situazione interiore dei personaggi, la loro visione deformata del mondo, i loro incubi e le loro allucinazioni, introducendo nuovi temi nell'immaginario degli scrittori: quelli della nevrosi, della memoria, della malattia, dell'uomo senza qualità.
La trama dell'Antiromanzo non è più quindi, caratterizzata da un fluire regolare dall'inizio alla conclusione della vicenda, ma si presenta senza un centro ben definito, infatti, è quasi impossibile individuare la fabula principale.
Lo spazio tende ad essere non più quello concreto di una città o di un paese, ma si configura come spazio simbolico, le descrizioni, infatti, mirano a creare uno sfondo dove evocare lo scenario delle crisi dei personaggi.
Il tempo non è più il tempo lineare,ma è ora caratterizzato da frequenti passaggi dal presente al passato e viceversa.
I personaggi hanno smarrito la loro identità, l'antieroe, il personaggio incerto, confuso ed incapace a definire la sua identità è il protagonista.
Le tecniche narrative sono spesso il racconto in prima persona, da parte di un io narratore, che si scruta, si auto analizza, scava nei propri ricordi; il narratore ha perduto ogni onniscienza, non sa nulla di più di quello che sappia il personaggio.
Luigi Pirandello
la cultura letteraria, filosofica e psicologica
Nasce ad Agrigento nel 1867, da una famiglia dell'agiata borghesia, proprietaria di una miniera di zolfo.
Sia la madre che il padre parteciparono attivamente alla campagna garibaldina in Sicilia. Dopo aver frequentato il liceo classico a Palermo, Pirandello si iscrive alla facoltà di Lettere dell'Università di Roma, dedicandosi soprattutto alla filologia romanza. In seguito a un violento litigio con un docente, si trasferisce a Bonn nel 1889, dove nel '91 si laurea con una tesi sul dialetto di Agrigento. A Bonn resta come lettore d'italiano per un anno. Nel '93 torna in Italia. L'anno dopo si sposa con la figlia di un socio di suo padre. Il matrimonio era stato quasi 'combinato'. Si stabilisce con la famiglia a Roma ed entra nella vita culturale e letteraria del suo tempo, collaborando a numerosi periodici: stringe amicizia con Luigi Capuana, mentre resta ostile al D'Annunzio. Nel '97 assume, come incaricato, l'insegnamento di Letteratura italiana (stilistica) presso l'Istituto superiore di Magistero a Roma; nel 1908 ne diventa professore ordinario insegnando sino al 1922.
Nel 1903 una frana con allagamento distrugge la miniera di zolfo nella quale erano stati investiti sia i capitali di suo padre che la dote di sua moglie, la quale, già sofferente di nervi (sospettava continuamente che il marito la tradisse), si ammalò gravemente, cominciando a manifestare i primi segni di uno squilibrio psichico che la condurrà poi in manicomio. Pirandello reagì a questa situazione conducendo a Roma vita ritirata (per non offrire pretesti alla follia della moglie, ma inutilmente) e lavorando intensamente, anche per far fronte alle difficoltà economiche (insegnava, scriveva e dava lezioni private).Tuttavia, le sue novelle, raccolte poi col titolo Novelle per un anno, e i suoi romanzi (L'esclusa, Il turno, Il fu Mattia Pascal e altri), nonché i suoi saggi (in particolare L'umorismo) passarono quasi inosservati. La celebrità gli giunse soltanto in età matura, quando -a partire dal 1916- si rivolse quasi interamente al teatro. Le sue commedie, talvolta accolte con dissensi clamorosi, si imposero al pubblico soprattutto dopo la fine della I guerra mondiale. Ottennero vasta risonanza Liolà, Pensaci Giacomino!, Così è (se vi pare), Sei personaggi in cerca d'autore, L'uomo dal fiore in bocca, Enrico IV e molte altre commedie.
Nel 1921 inizia ad ottenere grande successo anche all'estero (Praga, Vienna, Budapest, Usa, Sudamerica), oscurando la fama del D'Annunzio. Nel '24 si iscrive al partito fascista, pochi mesi dopo l'assassinio di Matteotti e forte sarà la sua polemica con Amendola. Tuttavia, Pirandello, che si era iscritto solo per aiutare il fascismo a rinnovare la cultura, restandone presto deluso, non si è mai interessato di politica. Nel '29 il governo Mussolini lo include nel primo gruppo dell'Accademia d'Italia appena fondata (insieme a Marinetti, Panzini, Di Giacomo): questo era allora il massimo riconoscimento ufficiale per un artista italiano, ma Pirandello non se ne dimostrò affatto entusiasta. Nel '25 assunse la direzione di una compagnia teatrale di Roma, che resterà in vita sino al '28. Nel '34 gli viene conferito il premio Nobel per la letteratura. Mussolini, attraverso il Ministero degli Esteri, cercò subito di sfruttarne la fama internazionale sperando di usarlo come portavoce estero delle ragioni del fascismo impegnato nella conquista dell'Etiopia. Nel luglio del '35 infatti il drammaturgo doveva partire per Broadway, per rappresentare alcuni suoi capolavori e sicuramente sarebbe stato intervistato dai giornalisti. Ma Pirandello non si prestò a tale servilismo. Durante le riprese cinematografiche de Il fu Mattia Pascal, effettuate a Roma, si ammala di polmonite e muore nel '36, lasciando incompiuto I giganti della montagna. A dispetto del regime fascista, che avrebbe voluto esequie di Stato, vengono rispettare le clausole del suo testamento: 'Carro d'infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m'accompagni, né parenti né amici. Il carro, il callo, il cocchiere e basta'. E così fu fatto.
Pirandello si inserisce indiscutibilmente nella tradizione naturalistica italiana ed europea del Novecento.
Tuttavia lo scrittore, attraverso l'accettazione dello schema tradizionale del romanzo giunge a rovesciarlo, dimostrando che la realtà può assumere molteplici sfaccettature.
Nel periodo della formazione e delle prime opere, la cultura di Pirandello presenta una forte influenza del pensiero positivista, assimilato però nella variante negativa tipica del Verismo siciliano, la scienza è concepita come una potenza capace di corrodere miti e credenze.
Con il trascorrere degli anni Pirandello comincerà comunque a porre in discussione il pensiero positivista, sostenendo che il mondo oggettivo è solo una proiezione del nostro sentimento.
In campo psicologico, particolare importanza ha la lettura del libro dello psicologo francese Alfred Binet, che appunto in "Le alterazioni della personalità" aveva indagato la compresenza dei diversi livelli della vita psichica, consci ed inconsci, e dunque la pluralità dell'io in cui possono convivere diverse personalità.
Dall'influenza del Verismo siciliano, deriva una critica al Simbolismo e all'Estetismo decadente, cominciando a considerare le possibilità offerte dall'umorismo, verso il quale si va indirizzando la sua ricerca artistica.
Il Relativismo Filosofico e la Poetica dell'Umorismo
L'elaborazione della poetica dell'Umorismo avviene tra il 1904 e il 1908, anno in cui esce il volume "L'Umorismo", mentre del 1904 sono le due premesse iniziali, ovvero i primi due capitoli del "Il fu Mattia Pascal", che gettano le basi della nuova poetica.
Pirandello ogni volta che parla di Umorismo oscilla sempre tra due visioni: da un lato egli vede un limite ontologico dell'uomo, che da sempre si crea una serie di autoinganni e di illusioni attraverso le quali cerca di dare significato all'esistenza; dall'altro egli individua l'uomo e la terra come entità minime e trascurabili di un universo infinito.
L'Umorismo pirandelliano è anche l'espressione del pensiero e della cultura del Relativismo Filosofico. Esso presuppone la messa in discussione del Positivismo sia con il suo criterio della realtà oggettiva garantita dalla scienza, sia con l'altro criterio dell'idea della verità soggettiva.
La poetica dell'Umorismo nasce da una riflessione sulla modernità, e proprio perché l'Umorismo è l'arte del tempo moderno, nel quale le categorie di bene e di male, di vero e di falso, su cui si basavano la tragedia e l'epica, sono venute a mancare, propone un atteggiamento esclusivamente critico e negativo, fatto di personaggi problematici, ed inoltre non vengono risolte positivamente le questioni che affliggono l'uomo, ma messe in rilievo le contraddizioni e le miserie della vita.
L'uomo ha bisogno di autoinganni che costituiscono la forma dell'esistenza, data dagli ideali che ci poniamo, dalle leggi civili, dal meccanismo della vita associata.
La forma blocca la tendenza a vivere momento per momento al di fuori di ogni scopo ideale e ogni legge civile, essa cristallizza e paralizza la vita, forza profonda ed oscura che riesce ad erompere solo saltuariamente nei momenti di sosta o di malattia, di notte o negli intervalli in cui non si è coinvolti nel meccanismo dell'esistenza.
Il soggetto costretto a vivere nella forma, non è più una persona integra, ma si riduce ad una maschera, che recita la parte che la società esige da lui.
La presa di coscienza di questa consistenza dell'io, suscita nei personaggi pirandelliani smarrimento e dolore: l'individuo, oltre ad avvertire di non essere più "nessuno", soffre ad essere fissato dagli altri in forme in cui non si riconosce.
L'unica via di relativa salvezza che si dà agli eroi pirandelliani è l'immaginazione, che trasporta altrove verso il fantastico, ed attraverso questa evasione essi possono sopportare l'oppressione del lavoro e della famiglia come nel "Il treno ha fischiato", oppure nella follia come in "Uno, nessuno e centomila".
Per Pirandello il personaggio non è coerente, perché non è più persona, ed ha davanti a sé soltanto due strade: o sceglie l'incoscienza, l'ipocrisia, l'adeguamento passivo alle forme; oppure vive amaramente, consapevolmente ed autoironicamente la scissione tra forma e vita.
Nel primo caso l'individuo è solo una maschera, nel secondo diventa una maschera nuda, consapevole degli autoinganni propri ed altrui, ma impotente a risolverli.
Le Opere
Molte sono le opere, che scritte da Pirandello, riscontrarono e continuano a riscontrare grande fortuna; noi adesso andremo ad analizzare quelle che ormai si considerano dei classici.
"Il fu Mattia Pascal" è sicuramente una delle opere più importanti di Pirandello, in esso si applica esplicitamente la poetica dell'umorismo, e compaiono i temi fondamentali dell'arte pirandelliana, ovvero il problema della doppia identità, la critica al moderno e alla civiltà delle macchine.
Al di là di ogni ambito naturalistico, "il fu Mattia Pascal", è la storia di un piccolo borghese imprigionato nella trappola di una famiglia insopportabile, e di una condizione sociale deprimente, e che in virtù di un caso fortuito, si trova improvvisamente padrone di se.
Il protagonista diviene economicamente autosufficiente grazie ad una cospicua vincita al casino di Monte Carlo, e successivamente apprende di essere ufficialmente morto in quanto, la moglie e la suocera lo hanno riconosciuto nel cadavere di un annegato.
Mattia Pascal si sforza così di costruirsi un'identità nuova, ma tutti i suoi tentativi si rivelano purtroppo vani, poiché per la legge è deceduto.
Il romanzo è raccontato dal protagonista stesso in forma retrospettiva, in quanto Mattia Pascal al termine della sua vicenda, affida ad un memoriale l'esperienza; inoltre il racconto è focalizzato non sull'io narratore, che ha già vissuto i fatti e quindi sa tutto, ma sull'io narrato, quindi sul personaggio mentre vive i fatti.
L'esempio più appropriato della frantumazione dell'io e del relativismo pirandelliano che evidenzia il contrasto tra apparenza e realtà, è il romanzo "Uno, nessuno e centomila", narrazione retrospettiva (cioè quando la storia viene raccontata, i fatti sono già accaduti) condotta da una prima persona che è insieme voce narrante e protagonista della vicenda.
Il protagonista, Vitangelo Moscarda, inetto per eccellenza, scopre di non essere per gli altri quell'Uno che è per sé, in quanto la moglie Dida, svelandogli che il suo naso pende verso destra, ha squarciato tutte le sue certezze, avviando una riflessione sull'intera esistenza. Ecco visualizzato lo sbriciolamento del reale che da univoco (Uno) diventerà poliedrico (Centomila) e sfocerà infine nel nulla (Nessuno).
Vitangelo allo specchio, simbolo dell'io davanti a sé stesso, scopre di vivere senza "vedersi vivere". Si getta quindi all'inseguimento dell'estraneo inscindibile da sé, che gli altri conoscono in centomila identità differenti; facendosi protagonista attivo e cosciente della propria liberazione, invece, di estraniarsi dal mondo arroccandosi in un atteggiamento critico-negativo, scopre la vita nel rifiuto della forma e nella adesione all'indistinto naturale.
Il protagonista, infatti, si stacca dal proprio "fantoccio vivente", per se stesso, così è ormai nessuno; la distruzione dell'io è definitivamente consumata.
Vitangelo Moscarda comincia anzitutto a ribellarsi all'opinione che gli altri hanno di lui all'identità che gli hanno attribuita. Per raggiungere questo obiettivo, deve dissolvere la propria immagine pubblica di figlio di un banchiere usuraio; e per far ciò lui che non si era mai occupato degli affari della banca, vi penetra dentro fra lo sgomento degli impiegati e dei soci.
Dopo la morte del padre, Moscarda esige di occuparsi direttamente della banca e dei beni paterni che gli spettano; una volta padrone, propone di liquidare la banca, in modo di togliersi di dosso l'immagine del figlio dell'usuraio, arricchito grazie alle malefatte del padre.
I soci della banca e la moglie, lo giudicano pazzo e lo vogliono interdire, ma con l'aiuto di Anna Rosa, amica della moglie Vitangelo si accorda con il vescovo per devolvere i propri beni in opere di carità.
Quando un giorno Vitangelo cerca di baciare Anna Rosa questa, sconvolta dal suo modo di ragionare, gli spara con una pistola ferendolo gravemente.
Al processo, Moscarda la scagiona attribuendo al caso l'accaduto.
Vitangelo, che si era recato in tribunale con la stessa divisa dei mendicanti che vivono nell'ospizio che egli stesso aveva fatto costruire con i soldi dell'eredità devoluti, saprà trovare soltanto in quel luogo per poveri, il proprio vero io che gli era stato negato.
Vitangelo concluderà così la sua esistenza, nella serenità della natura, senza passato né futuro, estraniandosi dalla vita troverà così l'unica via per sfuggire alle centomila costruzioni che falsificano la realtà e la imprigionano in una forma distorta.
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