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Gli intellettuali e la grande guerra




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Tipologia B: Saggio breve

Argomento: Chi vuole la guerra?




GLI INTELLETTUALI E LA GRANDE GUERRA






Neutralismo

Chi vuole la guerra? Nessusuno, verrebbe da rispondere e comunque non l'Italia, come avrebbero detto i neutralisti a riguardo del nostro intervento nel primo conflitto mondiale. Infatti, erano in molti, a quel tempo, a ritenere che la guerra fosse un affare che non ci riguardasse; lo si può notare, per esempio, da una lettera inviata a Giolitti da un gruppo di operai che dice: "Abbattete con tutti i mezzi i nemici dell'umanità, coloro che vogliono lavarsi le mani nel sangue proletario", sottolineando l'ideologia neutralista dei proletari e il concetto di guerra borghese da loro sostenuto. La lettera si conclude con: "Difendetevi liberamente; il popolo tutto è con voi e saprà difendervi anch'esso dalle accuse dei venduti". In quest'ultima affermazione, è da notare come si sottolinei la maggioranza neutralista italiana del tempo (il popolo tutto), che però non basterà ad evitare il nostro intervento.


Altro testimone dell'inutilità della guerra è lo scrittore Renato Serra, assolutamente non disposto a vedere la guerra come farmaco per ogni male, l'unico lato positivo che egli riesce in qualche modo a trovare in questa "perdita cieca", è la prospettiva di un riavvicinamento solidale dell'uomo: "Si impara a soffrire, a resistere, a contentarsi di poco, a vivere più degnamente, con più seria fraternità, con più religiosa semplicità, individui e nazioni: finché non disimpariamo". Non quindi una partecipazione in nome della patria, ma in nome della vita, che solo nel conflitto potrebbe ritrovare una sua legittimazione. Ma in ogni caso, egli conclude riprendendo la sua teoria originale: la guerra come perdita cieca, dolore, sperpero, distruzione enorme e inutile.



Interventismo

Ovviamente, non tutti la pensavano come Serra e i proletari già citati, vi era infatti un certo numero di persone e letterati che abbracciavano la guerra. Gabriele d'annunzio era uno di questi.

Questo scrittore, infatti, trova nel conflitto una nuova occasione per rendere spettacolare la sua esistenza: "No, noi non siamo, noi non vogliamo essere un museo, un albergo, un orizzonte ridipinto col blu di Prussia per le lune di miele internazionali". Questa frase, trasuda di protagonismo, d'Annunzio qui, vule risvegliare nel popolo quel sentimento nazionalista tanto forte in lui. Questi suoi spiriti nazionalistici e narcisisti, derivano soprattutto dalla divulgazione in Italia della filosofia Nietzscheana e del suo motivo portante: il superuomo, teoria che questo scrittore apprese in maniera indiretta e semplificatoria, attraverso gli spettacoli di Wagner.

Il superomismo, è la dottrina di Nietzsche, secondo la quale il superuomo è il protagonista della storia. Egli è coluiche realizzerà un nuovo esemplare di umanità al di là della morale comune, della mediocrità borghese, del bene e del male. Il superuomo è l'espressione della "Volontà di potenza", dell'esaltazione della forza, dello spirito agonistico: non presuppone nessuna pietà per i deboli, i quali sono inevitabilmente destinati a soccombere; ed è proprio in queste teorie che d'Annunzio vede l'intervento italiano nella prima guerra mondiale assolutamente necessario e benefico ai fini della società.


Altri esponenti dell'interventismo italiano, erano i futuristi, primo tra tutti Filippo Tommaso Marinetti, che ha scritto il manifesto. Questo scrittore, e in generale questo movimento letterale, vedeva la guerra come un'esperienza inebriante, quasi afrodisiaca; in ogni caso, assolutamente indispensabile per l'umanità. Marinetti, disprezza addirittura i neutralisti (immonda genia dei pacifisti), approva e addirittura istiga l'uso della violenza: "Abbiamo recentemente cazzottato con piacere, nelle vie e nelle piazze, i più febbricitanti avversari della guerra". Egli vede lo scontro come unica soluzione per la società umana, che ne uscirà più "pulita": "Noi futuristi che da più di due anni glorifichiamo [] l'amore del pericolo e della violenza, il patriottismo e la guerra, sola igiene del mondo", egli pensa inoltre che dopo la guerra l'Italia ritroverà la grandezza che aveva avuto l'impero romano: "Sia cancellato il fastidioso ricordo della grandezza romana con una grandezza italiana cento volte maggiore".


Nelle aree marginali del futurismo anche Giovanni papini,  vede la guerra come un'esperienza purificante definendola appunto un "caldo bagno di sangue". Egli crede che la guerra riequilibri le forze della natura, eliminando quegli umoini che "vivevano perché erano nati; che mangiavano per vivere, che lavoravano per mangiare, e maledicevano il lavoro senza il coraggio di rifiutar la vita"; lasciando quindi al mondo, solo coloro che davvero lo meritano, una sorta di "razza ariana", come dirà Hitler negli anni successivi Infatti, egli definisce le vittime dello scontro come il rifiuto della sociità: "Fra le tante migliaia di carogne abbracciate nella morte e non più diverse che nel colore dei panni, quanti saranno, non dico da piangere, ma da rammentare? Ci metterei la testa che non arrivino ai diti delle mani e dei piedi messi insieme". Non solo, egli sostiene inoltre, utile il massacro dei soldati, poiché "la guerra giova all'agricoltura e alla modernità", infatti i corpi concimeranno i campi per sfamare gli uomini rimasti, i migliori



Conclusioni

È difficile dire, col senno di poi, se la guerra fosse davvero necessaria, poiché probabilmente se non vi avessimo partecipato, qualcosa non sarebbe come è oggi, persino noi stessi potremmo non essere nati; viene quindi naturale dire che nonostante la sua brutalità sia stata necessaria per permetterci di nascere, va tuttavia considerato che se la guerra non fosse mai scoppiata, forse noi non ci saremmo, ma il mondo sarebbe comunque migliore. Fondamentalmente io sono contrario alla guerra, in generale, eccetto forse per quelle di liberazione dei popoli, ma la vedo comunque come un' "inutile strage", come venne definita anche dal papa Benedetto XV, questo perché "il gioco non vale la candela", Guccini, dirà in una sua canzone "Come ci fosse un modo, uno soltanto per riportare una vita troncata, tutta una vita da immaginare, Genova non ha scordato, perché è difficile dimenticare" Lui si riferisce ad un altro tempo, ad un'altra guerra, ma in fondo la differenza dov'è?

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