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GIUSEPPE PARINI
La vita
Giuseppe Parino (che preferì più tardi
modificare il proprio cognome in Parini) nacque nel
Nel 1752 pubblica una
raccolta di versi, Alcune poesie di Ripano Eupilino, che ottiene un buon successo
nell'ambiente milanese. Ciò gli consentì di
accedere all'Accademia dei Trasformati e quindi di entrare in contatto con gli
ambienti più colti dell'intellettualità lombarda. I Trasformati erano fautori
di una conciliazione tra le esigenze di una cultura moderna, civilmente impegnata,
e la tradizione classica. Parini incontrò così un
ambiente culturale che rispondeva perfettamente ai suoi orientamenti ideologici
e letterari, e ai lavori dell'Accademia collaborò assiduamente con componimenti
poetici e contributi saggistici. Nel 1754 per potersi mantenere, fu costretto
ad integrare la piccola rendita impiegandosi come precettore presso i duchi Serbelloni, dove rimase fino al 1762. Fu questo
l'osservatorio privilegiato dal quale poté conoscere la vita nobiliare,
soprattutto nei suoi aspetti più fatui; da questa conoscenza diretta prese
avvio l'opera critica di un certo tipo di nobiltà. Proprio per protesta verso
il comportamento sprezzante e inutilmente crudele dei nobili, il poeta si
allontanò dalla famiglia Serbelloni; l'episodio venne ripreso in altra forma nel Giorno, la sua opera maggiore, e riguarda i maltrattamenti che
aveva dovuto subire una fanciulla, figlia di un musicista, da parte della
duchessa. Sempre su questo tema scrive nel 1757 il Dialogo sopra la nobiltà, una satira sulle degenerate abitudini di
questa classe sociale che mette in rilievo il ruolo educativo del poeta.
L'opera è ambientata in una tomba dove sono seppelliti insieme un nobile e un
popolano, che discutono sull'uguaglianza degli uomini prima e dopo la morte.
Dal 1762 divenne precettore di Carlo Imbonati
conservando l'incarico fino al 1768. Nel frattempo aveva pubblicato due
poemetti satirici contro la nobiltà oziosa e improduttiva, il Mattino (1763) e il Mezzogiorno (1765) che gli conferirono
fama e notorietà, tale da vedersi affidare, nel 1768 dal governatore della
Lombardia, il conte Firmian, la direzione della
"Gazzetta di Milano" e, nel 1769, ricevere la nomina di professore di eloquenza
all'Accademia di Belle Arti di Brera. Nel 1780
l'impero austriaco passa da Maria Teresa a Giuseppe II che in nome di
un'astratta furia razionalistica, sconvolse tutta una serie di istituzioni,
imponendo direttive autoritarie sulla cultura. Il poeta, ferito e deluso nelle
sue più profonde convinzioni, si ripiegò su se stesso e si allontanò
dall'attività intellettuale militante. Scoppiata la rivoluzione francese nel
Struttura del Giorno
Il Giorno è l'opera più importante di Parini, alla quale lavorò per circa 40 anni senza peraltro riuscire a portarla a compimento. E' un poema in endecasillabi sciolti che mira a rappresentare satiricamente l'aristocrazia del tempo.
Inizialmente il progetto del poeta era quello
di un'unica opera divisa in tre sezioni, appunto il Mattino, il Mezzogiorno e
Non dunque dal filo narrativo deriva l'indubbia complessità dell'opera, bensì dalla sovrapposizione di due modelli letterari diversi, quello didascalico e quello satirico. Il primo aspetto consiste nel fatto che viene narrata una storia-non storia, una giornata cioè totalmente vuota di accadimenti, riempita soltanto di occupazioni fisse, che scandiscono formalmente le ore, e da personaggi stereotipati che le popolano. La satira, invece, nasce dall'utilizzo della figura retorica dell'ironia, da quel modo cioè di dire ciò che si pensa affermando il contrario.
Nel Mattino il nobile viene colto nel momento in cui si corica, all'alba, dopo una notte trascorsa a teatro o al tavolo da gioco; vengono quindi descritti il suo risveglio a mattina inoltrata, la colazione, la lunga e laboriosa toeletta. Alla fine il giovin signore è pronto per uscire e recarsi a trovare la sua dama. Uno dei motivi centrali della rappresentazione pariniana è infatti il fenomeno del cicisbeismo, per cui ogni donna sposata aveva diritto ad un cavalier servente, che l'accompagnasse costantemente al posto del marito, una sorta di adulterio socialmente legittimato.
Nel Mezzogiorno il giovin signore viene seguito in visita alla dama, pranzano insieme e nel pomeriggio si recano al corso, cioè al passaggio delle carrozze, dove si ritrova tutta la nobiltà cittadina.
L'impianto didascalico è più sensibile nella prima parte e sfuma nella seconda, alla tavola della dama, dove compaiono altre figure e l'andamento si fa più descrittivo. Tale struttura didascalico-descrittiva non è che un pretesto per veicolare la satira dell'aristocrazia. Infatti tutto il discorso del precettore è impostato in chiave ironica e si fonda sull'antifrasi (affermare il contrario di ciò che si vuole fare intendere). Il precettore finge di accettare il punto di vista, i gusti e i giudizi aristocratici ma lo fa tramite celebrazioni in termini iperbolici di vite futili e vuote, descrivendoli come veri e propri "semidei terreni", esaltando gesti banali come fossero sublimi. In realtà la vera essenza di quel mondo, vacua e insulsa, traspare dietro tale ironica enfasi celebrativa e alle spalle della figura del precettore si delinea chiaramente quella del poeta, con il suo atteggiamento di ferma, sdegnata condanna.
La critica pariniana si avvale anche di altri strumenti, come ad esempio di un particolare trattamento del tempo e dello spazio. Innanzitutto non viene scelta una giornata particolare, che si segnali per qualche accadimento di rilievo, degno di essere ricordato, ma una giornata tipo, uguale a infinite altre, sufficiente per dare il senso di una vita vuota e banale. Inoltre il tempo in cui si collocano gli eventi è molto breve ma alla lettura si ha l'impressione di un tempo lunghissimo; tale effetto è creato dall'indugio che dilata a dismisura il tempo reale, in cui si ripetono meccanicamente gesti e parole. La noia, dunque, è uno dei temi centrali dell'opera. Stesso effetto si ottiene con lo spazio, ristretto, chiuso, in cui si ha l'impressione di una chiusura asfittica e insieme al tempo rende l'idea di un mondo morto, privo di energia vitale.
La vergine cuccia: la tenera cagnolina della dama di cui il 'Giovin Signore' è cicisbèo. Questa cagnetta conta di più delle persone al servizio del palazzo nobiliare. L'episodio è uno dei momenti poetici più significativi, alti e commossi del 'Giorno'. Dapprima l'episodio è narrato nel modo in cui apparve alla dama, poi subentra, con tono sempre più fermo, il poeta con la sua ironia che ben presto trapassa, in un crescendo poetico sempre più intenso, nel sarcasmo, nello sdegno e nella indignazione morale: è questo il momento culminante della tensione morale e ugualitaria del 'Giorno'. L'episodio è introdotto durante il banchetto della dama dal vegetariano che superficialmente della cultura illuministica accoglie solo la pietà per gli animali e non quella per 'i bisogni e le piaghe' degli uomini. La commiserazione del vegetariano per le povere bestie, vittime dell'ingordigia umana, desta così nella dama il ricordo della sua tenera cagnolina, la quale, colpita dal piede 'sacrilego' del servo, che essa aveva morsicato con i suoi candidi dentini d'avorio, fu severamente vendicata dalla sua padrona che cacciò "l'empio servo', il quale, non trovò più casa nobiliare che lo assumesse, e fu così costretto, con la moglie e i figli, a chiedere per la strada l'elemosina.
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