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Giovanni Pascoli - L'attaccamento al <<nido>> e ai morti, La visione del mondo, La poetica, I temi della poesia pascoliana, Le soluzioni formali




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Giovanni Pascoli


L'attaccamento al <<nido>> e ai morti

La chiusura gelosa nel <<nido>> familiare e l'attaccamento morboso alle sorelle rivelano la fragilità della struttura psicologica del poeta, che, fissato ad una condizione infantile, cerca entro le pareti del <<nido>> la protezione da un mondo esterno, quello degli adulti, che gli appare minaccioso ed irto di insidie. A questo si unisce il ricordo ossessivo dei suoi morti, le cui presenze aleggiano continuamente nel <<nido>>, riproponendo il passato di lutti e di dolori, inibendo al poeta ogni rapporto con la realtà esterna, ogni vita di relazione, che viene sentita come un tradimento nei confronti dei legami oscuri, viscerali del <<nido>>. Questa serie di legami inibisce anche il rapporto con l'"altro" per eccellenza, quel rapporto in cui si misura la maturità e la pienezza della persona: non vi sono relazioni amorose nell'esperienza del poeta, che conduce una vita, come egli stesso confessa, forzatamente casta. C'è in lui lo struggente desiderio di un vero <<nido>>, in cui esercitare un'autentica funzione di padre, ma il legame ossessivo con il <<nido>> infantile spezzato gli rende impossibile la realizzazione del sogno. La vita amorosa ai suoi occhi ha un fascino torbido, è qualcosa di proibito e di misterioso, da contemplare da lontano, con palpiti e tremori. Egli, nella sua fantasia, non sa concepire il rapporto con la donna se non nelle forme morbose della violenza, dello strazio. Le esigenze affettive del poeta sono, a livello conscio, interamente soddisfatte dal rapporto sublimato con le sorelle, che rivestono un'evidente funzione materna.

Questa complessa situazione affettiva del poeta è una premessa indispensabile per penetrare nel mondo della sua poesia, perché costituisce il punto d'avvio della sua esperienza fantastica, il materiale su cui egli lavora. Ed è una chiave necessaria per cogliere il carattere turbato, tormentato, morboso della poesia di Pascoli, carattere che si cela dietro l'apparenza dell'innocenza e del candore fanciulleschi, della celebrazione delle piccole cose, delle realtà più semplici e umili: senza tener presente quel punto di partenza si rischia (come si è largamente verificato, in effetti, nella storia della critica pascoliana) di scambiare la sua poesia per un modesto idillio, senza scorgere la sua vera, inquietante e proprio per questo affascinante sostanza.


La visione del mondo

La formazione di Pascoli fu essenzialmente positivistica: tale matrice è ravvisabile nell'ossessiva precisione con cui, nei suoi versi, egli usa la nomenclatura ornitologica e botanica, e di impianto positivistico sono spesso le fonti da cui trae le osservazioni sulla vita degli uccelli, protagonisti di tanti suoi componimenti poetici (ad esempio I puffini dell'Adriatico); così come da letture di testi di astronomia ispirati alle cognizioni scientifiche del tempo scaturiscono i temi astrali che occupano un posto rilevante nella sua poesia. Ma in Pascoli si riflette quella crisi della scienza che caratterizza la cultura di fine secolo, segnata dall'esaurirsi del Positivismo e dall'affermarsi di tendenze spiritualistiche e idealistiche. Anche in lui insorge una sfiducia nella scienza come strumento di conoscenza e di ordinamento del mondo: come per tanti della sua epoca che vivono la stessa crisi, anche per lui, al di là dei confini limitati raggiunti dall'indagine scientifica, si apre l'ignoto, il mistero, l'inconoscibile, verso cui l'anima si protende ansiosa, tesa a captare i messaggi enigmatici che ne provengono, non traducibili in nessun sistema logicamente codificato.

Il mondo, nella visione pascoliana, appare frantumato, disgregato. Le sue componenti si allineano sulla pagina come si offrono ad una percezione casuale, ad un'impressione momentanea, non si compongono mai in un disegno unitario e coerente, in obbedienza ai dettami della logica comune. Non esistono neppure gerarchie d'ordine fra gli oggetti: ciò che è piccolo si mescola a ciò che è grande, il minimo, apparentemente trascurabile particolare può essere ingigantito sino ad occupare tutto il quadro, e ciò che è grande può essere rimpicciolito, miniaturizzato, come se fosse visto con il cannocchiale alla rovescia.

Gli oggetti materiali hanno un rilievo fortissimo nella poesia pascoliana, ma ciò non significa affatto che vi sia in essa un'adesione di tipo veristico all'oggettività del dato: i particolari sensibili sono filtrati attraverso la visione soggettiva del poeta, e in tal modo si caricano di valenze allusive e simboliche, rimandano sempre a qualcosa che è al di là di essi. La sfera dell'io si confonde con quella della realtà oggettiva, le cose acquistano una fisionomia antropomorfizzata, si caricano di significati umani (si veda il gelsomino notturno, la siepe, la digitale purpurea). Come si vede, la visione del mondo pascoliana si colloca a buon diritto entro le coordinate della cultura decadente e presenta cospicue affinità, al di là della difformità di tono, con la visione dannunziana.


La poetica

Da questa visione del mondo scaturisce con perfetta coerenza la poetica pascoliana, che trova la sua formulazione più compiuta e sistematica nell'ampio saggio Il fanciullino, pubblicato nel 1897. L'idea centrale è che il poeta coincide col fanciullo che sopravvive al fondo di ogni uomo: un fanciullo che vede tutte le cose come per la prima volta, con ingenuo stupore e meraviglia, come dovette vederle il primo uomo all'alba della creazione. Al pari di Adamo, il poeta <<fanciullino>> dà il nome alle cose e per questo deve usare un linguaggio che si sottragga ai meccanismi mortificanti della comunicazione abituale e sappia andare all'intimo delle cose, scoprirle nella loro freschezza originaria, rendere il <<sorriso>> e la <<lacrima>> che c'è in ognuna di esse. Dietro questa metafora del <<fanciullino>> è facile scorgere una concezione della poesia come conoscenza prerazionale, alogica e immaginosa, concezione che ha le radici ancora nel terreno romantico, ma che Pascoli piega ormai in direzione decisamente decadente. Grazie al suo modo alogico di vedere le cose, il poeta-fanciullo ci fa sprofondare immediatamente nell'<<abisso della verità>>. L'atteggiamento irrazionale e intuitivo consente quindi una conoscenza profonda della realtà, permette di cogliere direttamente l'essenza segreta delle cose, senza mediazioni. Non solo, ma il <<fanciullino>> scopre le relazioni tra le cose, cioè quella trama di rispondenze misteriose tra le presenze del reale che le unisce come in una rete di simboli e che sfugge alla percezione abituale. Il poeta, in una parola, appare come un "veggente", dotato di una vista più acuta di quella degli uomini comuni.

In questo quadro culturale si colloca la concezione della poesia pura: per Pascoli la poesia non deve avere fini estrinseci, pratici; il poeta canta solo per cantare, non vuole perseguire obiettivi civili, morali, pedagogici, propagandistici. Tuttavia, precisa Pascoli, la poesia, proprio perché spontanea e disinteressata, può ottenere <<effetti di suprema utilità morale e sociale>>. A riprova del suo asserto, cita come esempio Virgilio, che proprio attraverso l'effusione immediata del canto <<insegnava ad amare la vita in cui non fosse lo spettacolo né doloroso della miseria né invidioso della ricchezza: egli voleva abolire la lotta tra le classi e la guerra tra i popoli>>.

Questo rifiuto della <<lotta tra le classi>> si trasferisce al livello dello stile. Pascoli ripudia il principio aristocratico del classicismo che esige una rigorosa separazione tra ciò che è alto e ciò che è basso e accetta solo la prima categoria di oggetti. Ricchi di poesia per lui non sono solo gliu argomenti elevati e sublimi, ma anche quelli più umili e dimessi. La poesia è anche nelle piccole cose, che hanno un loro "sublime" particolare, una dignità non minore di quelle auliche. In tal modo Pascoli, come ha osservato Contini, porta alle estreme conseguenze la rivoluzione romantica, che estendeva il <<diritto di cittadinanza a tutti gli elementi della realtà>>.


I temi della poesia pascoliana

Pascoli incarna esemplarmente l'immagine del piccolo borghese, appagato della sua mediocrità di vita, chiuso nella sfera limitata e protettiva degli affetti domestici, degli studi, del lavoro di insegnante, nella pace raccolta del <<nido>> costruito entro le mura della sua casetta, acquistata con tanti sacrifici nella campagna lucchese. Dal punto di vista letterario, l'immagine del poeta corrisponde perfettamente a quella dell'uomo: Pascoli si presenta programmaticamente come il celebratore della realtà piccolo borghese e dei suoi valori.

Ma al di là del poeta pedagogo, cantore della normalità piccolo borghese, si delinea un grande poeta dell'irrazionale, capace di raggiungere, nell'esplorazione di questa zona inedita ed affascinante del reale, profondità inaudite: è il Pascoli che proietta nella poesia le sue ossessioni profonde, portando alla luce le zone oscure e torbide della psiche ad esempio attraverso il simbolo del fiore maligno, velenoso e ammaliatore (Digitale purpurea); che traduce nel simbolo della pianta parassita la consapevolezza della duplicità della psiche, dell'urgere di forze profonde e sconosciute che possono stravolgere gli impulsi razionali (Il vischio); che sa esprimere, pur proiettandole nell'eroe antico, le sconfitte esistenziali e le delusioni dell'anima moderna, il fascino delle forze oscure che si agitano oltre il limite della conoscenza umana (Alexandros).


Le soluzioni formali

Il modo nuovo di percepire il reale si traduce, nella poesia pascoliana, in soluzioni formali fortemente innovative, che aprono la strada alla poesia novecentesca. La coordinazione prevale sulla subordinazione, di modo che la struttura sintattica si frantuma in serie paratattiche di brevi frasi allineate senza rapporti gerarchici tra loro, spesso collegate non da congiunzioni, ma per asindeto. Di frequente, inoltre, le frasi sono ellittiche, mancano del soggetto, o del verbo, o assumono la forma dello stile nominale (successione di semplici sostantivi).

La frantumazione pascoliana rivela il rifiuto di una sistemazione logica dell'esperienza, il prevalere della sensazione immediata, dell'intuizione, dei rapporti analogici, allusivi, che indicano una trama di segrete corrispondenze tra le cose, al di là del visibile.

Al livello del lessico, Pascoli non usa un lessico fissato entro un unico codice, ma mescola tra loro codici linguistici diversi: come le cose convivono senza gerarchie, così avviene delle parole che le designano. E' un principio formulato nel Fanciullino: il poeta, come vuole abolire la lotta fra le classi sociali, così vuole abolire la "lotta" fra le 'classi di oggetti e di parole.

Grande rilievo hanno poi, nella poesia pascoliana, gli aspetti fonici. Le forme che più colpiscono sono quelle <<pregrammaticali>>, quelle espressioni, cioè, che si situano al di sotto del livello strutturato della lingua e non hanno un valore semantico, non rimandano ad un significato concettuale, ma imitano direttamente l'oggetto. Sono in prevalenza riproduzioni onomatopeiche di versi di uccelli (<<videvitt>>, <<scilp>>, <<chiù>>, <<chio chio>>) o suoni di campane (<<don don>>). Queste onomatopee non mirano certo ad una riproduzione puramente naturalistica del dato oggettivo: indicano invece un'esigenza di aderire immediatamente all'oggetto, di penetrare nella sua essenza segreta evitando le mediazioni logiche del pensiero e della parola codificata, rientrando quindi in quella visione alogica del reale che è propria di tutta la poesia pascoliana.

Procedimento caro al gusto simbolistico decadente, è la sinestesia, che possiede un'intensa carica allusiva e suggestiva, fondendo in un tutto indistinto diversi ordini di sensazioni: <<Dormi! bisbigliano, Dormi!/là, voci di tenebra azzurra>> (La mia sera). In questo caso, la sensazione visiva e cromatica del cielo buio si fonde con una sensazione fonica: il colore diviene una voce.

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