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Giosuč Carducci - Odi barbare
Delle Odi Barbare Libro II
Alla stazione in una mattina d'autunno
Il componimento č stato scritto in parte ( i vv. 37-48) nel 1875 dopo un incontro milanese con Lidia ( Carolina Cristofori Piva) avvenuto nel giugno di quell'anno, e per il resto nel 1876, rievocando perņ un giorno d'autunno del 1873, quando la donna partģ dalla stazione di Bologna. Mentre l'inserto scritto nel 1875 esprime la gioia dell'incontro d'amore, il resto č pervaso invece dalla tristezza dell'addio e del clima autunnale. Nella costruzione finale del testo, l'inserto riferito all'incontro estivo introduce una nota di contrasto con la tristezza autunnale dell'addio alla stazione, rafforzandone il pathos. In una lettera a Lidia il poeta scrisse: "Ripenso alla triste mattina del 23 ottobre 1873, quando ti accompagnai alla stazione, e tu mi t'involasti [= mi fosti portata via] in un'orribile carrozza di 2 classe, e il faccin mi sorrise l'ultima volta incorniciato in una infame abominevole finestrella quadrata, e poi il mostro, che si chiama barbaramente treno, ansņ, ruggģ, stridč, si mosse come un ippopotamo che corra fra le canne, e poi fuggģ come una tigre".
Oh quei
fanali come s'inseguono
accidļosi lą dietro gli alberi,
tra i rami stillanti di pioggia
sbadigliando la luce su 'l fango!
Flebile, acuta, stridula fischia
la vaporiera da presso. Plumbeo
il cielo e il mattino d'autunno
come un grande fantasma n'č intorno.
Dove e a che move questa, che affrettasi
a' carri
foschi, ravvolta e tacita
gente? a che ignoti dolori
o tormenti di speme lontana?
Tu pur pensosa, Lidia, la tessera
al secco taglio dąi de la guardia,
e al tempo incalzante i begli anni
dąi, gl'istanti gioiti e i ricordi.
Van lungo il nero convoglio e vengono
incappucciati di nero i vigili,
com'ombre; una fioca lanterna
hanno, e mazze di ferro: ed i ferrei
freni tentati rendono un lugubre
rintocco lungo: di fondo a l'anima
un'eco di tedio risponde
doloroso, che spasimo pare.
E gli sportelli sbattuti al chiudere
paion oltraggi: scherno par l'ultimo
appello che rapido suona:
grossa scroscia su' vetri la pioggia.
Gią il mostro, conscio di sua metallica
anima, sbuffa, crolla, ansa, i fiammei
occhi sbarra; immane pe 'l buio
gitta il fischio che sfida lo spazio.
Va l'empio mostro; con traino orribile
sbattendo l'ale gli amor miei portasi.
Ahi, la bianca faccia e 'l bel velo
salutando scompar ne la tčnebra.
O viso dolce di pallor roseo,
o stellanti occhi di pace, o candida
tra' floridi ricci inchinata
pura fronte con atto soave!
Fremea la vita nel tepid'aere,
fremea l'estate quando mi arrisero;
e il giovine sole di giugno
si piacea di baciar luminoso
in tra i riflessi del crin castanei
la molle guancia: come un'aureola
piś belli del sole i miei sogni
ricingean la persona gentile.
Sotto la pioggia, tra la caligine
torno ora, e ad esse vorrei confondermi;
barcollo com'ebro, e mi tócco,
non anch'io fossi dunque un fantasma.
Oh qual caduta di foglie, gelida,
continua, muta, greve, su l'anima!
io credo che solo, che eterno,
che per tutto nel mondo č novembre.
Meglio a chi 'l senso smarrķ de l'essere,
meglio quest'ombra, questa caligine:
io voglio io voglio adagiarmi
in un tedio che duri infinito.
METRICA: Strofe alcaiche, composte da: endecasillabo alcaico (verso primo e secondo di ogni strofa), reso dalla combinazione di due quinari, uno piano e l'altro sdrucciolo; enneasillabo alcaico (verso terzo), reso da un novenario; decasillabo alcaico (verso quarto), reso da un decasillabo.
PARAFRASI:
Oh quei lampioni come s'inseguono monotoni lą dietro gli alberi, tra i rami gocciolanti pioggia, gettando fiocamente la luce sul fango!
plumbeo: livido.
n'č intorno: ci č intorno
Dove e a che scopo corre questa gente, che si affretta alle tetre carrozze, imbacuccata e
silenziosa? A quali ignoti dolori o tormenti di speranza lontana?
Anche tu pensierosa, Lidia, dai il biglietto al secco taglio del controllore, e dai al tempo incalzante gli anni belli, gli istanti di gioia e i ricordi.
Camminano lungo il treno nero e avanzano incappucciati di nero i frenatori, come ombre: hanno una lanterna dalla scarsa luce e mazze di ferro: ed i ferrei freni saggiati mandano un lugubre lungo suono: in fondo all'anima risponde un eco di noia angosciosa che sembra [uno] spasimo.
Ormai il mostro [: il treno], consapevole della sua anima metallica, sbuffa, s'agita, ansima, accende i fanali luminosi; emette nel buio un fischio smisurato che sfida lo spazio.
Parte il crudele mostro; porta via l'amore mio con l'orribile fila dei vagoni sbattendo le ali.
O dolce viso roseo di pallore, o occhi rilucenti di pace, o candida pura fronte inclinata tra folti riccioli con gesto delicato!
La vita palpitava nella tiepida brezza, l'estate palpitava quando mi sorrisero e il primaverile sole di giugno si compiaceva di baciare luminoso la morbida guancia fra i riflessi castani della chioma: i miei sogni pił belli del sole circondavano la delicata figura come un'aureola.
[Io] torno ora sotto la pioggia, tra la nebbia, e vorrei confondermi con esse; barcollo come stordito, e mi tocco, [nel timore], che sia anch'io dunque un fantasma.
Oh quale caduta di foglie, gelida, ininterrotta, silenziosa, pesante sull'anima! Io credo che č soltanto novembre, che [č] per tutto il mondo.
[E'] meglio per chi perse la percezione del vivere, meglio quest'ombra, questa nebbia: io voglio io voglio adagiarmi in una malinconia che persista illimitata
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