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Giacomo Leopardi
Discorso sopra lo stato presente
dei costumi degl'Italiani
In questo secolo presente, sia per l'incremento dello scambievole commercio e dell'uso de' viaggi, sia per quello della letteratura, e per l'enciclopedico che ora è d'uso, sicchè ciascuna nazione vuol conoscere più a fondo che può le lingue, letterature e costumi degli altri popoli, sia per la scambievole comunione di sventure che è stata fra' popoli civili, sia perché la Francia abbassata dalle sue perdite, e l'altre nazioni parte per le vittorie, parte per l'aumento della coltura e letteratura di ciascheduna sollevandosi, si è introdotta fra le nazioni d'Europa, una specie d'uguaglianza di riputazione sì letteraria e civile che militare, laddove per lo passato da' tempi di Luigi XIV, cioè dall'epoca della diffusa e stabilita civiltà europea, tutte le nazioni avevano spontaneamente ceduto di onore alla Francia che tutte le dispregiava; per qualcuna o per tutte queste cagioni le nazioni civili d'Europa, cioè principalmente la Germania, l'Inghilterra e la Francia stessa hanno deposto (forse anche pel progresso dei lumi e dello spirito filosofico e ragionatore che accresce i lumi e calma le passioni ed introduce uno abito di moderazione; e altresì per l'affievolimento stesso dell'amore e fervor nazionale, e generalmente di tutte le passioni degli uomini hanno, dico, deposto gran parte degli antichi pregiudizi nazionali sfavorevoli ai forestieri, dell'animosità, dell'avversione verso loro, e soprattutto del disprezzo verso i medesimi e verso le loro letterature, civiltà e costumi, quantunque si voglia differenti dai propri.
E cresciuto il gusto di conoscerli insieme colla stima de' medesimi e colla equità del giudicarli, infiniti sono i volumi pubblicati in ciascuna nazione, per informarla delle cose dell'altre. Fra' quali sono anche infiniti quelli pubblicati dagli stranieri e che si pubblicano tutto giorno sopra le cose d'Italia fatta oggetto di curiosità universale e di viaggi, molto più che ella non fu in altro tempo, e molto più generalmente, e più ancora che alcun altro paese particolare. Nei quali libri però gli scrittori incorrono senza loro colpa e per natura del soggetto in due inconvenienti, l'uno che spesso errano, essendo impossibile a uno straniero il conoscere perfettamente un'altra nazione, massime dopo non lunga dimora, l'altro che dicendo o il falso, o anche il vero, che sia alcun poco sfavorevole a quelli di cui parlano, benchè il dicano senz'animosità veruna (non essendo più mezzo di farsi grato alla propria nazione il dir male dell'altre, ed odiandosi in tali libri l'animosità, sempre che si scuopre) si concitano l'odio della nazione di cui scrivono. Il qual secondo male è più grave che mai ne' libri che trattano degli italiani, delicatissimi sopra tutti gli altri sul conto loro: cosa veramente strana, considerando il poco o niuno amor nazionale che vive tra noi, e certo minore che non è negli altri paesi. Cagione di ciò è sicuramente in gran parte che gl'italiani misurando gli altri da se medesimi (i quali camminando sempre addietro degli altri, non sono ancora così lontani da' pregiudizi e dall'animosità verso gli stranieri, e certo li conoscono e studiano di conoscerli cento volte meno che essi non fanno verso loro) attribuiscono sempre ad odio e malvolenza e invidia ogni parola men che vantaggiosa che sia profferita o scritta da un estero in riguardo loro. Certo è nondimeno che in questi ultimi anni si sono divulgate in Europa dalla Corinna in poi più opere favorevoli all'Italia, che non sono tutte insieme quelle pubblicate negli altri tempi, e nelle quali si dice di noi più bene che mai non fu detto appena da noi medesimi.
Alcune sono veri elogi nostri, scritti i più con entusiasmo di affezione e, in parte, di ammirazione verso le cose nostre. E generalmente parlando si vede nel mondo civile una inclinazione verso noi maggiore assai che fosse in altro tempo e che sia verso alcun altro paese, ed una opinione vantaggiosa di noi, la quale ardisco dire che supera di non poco il nostro merito, ed è in molte cose contraria alla verità. E ben si può dire che oggi, al contrario che nel passato, gli stranieri quando s'ingannano sul nostro conto, più tosto s'ingannano a favor nostro che in disfavore. Contuttociò e la Corinna e tutte le altre siffatte opere sono guardate dagl'italiani con gelosia, e molte cose vere ed utili hanno dette e scritte gli stranieri sui nostri costumi che per questa e per altre cause non ci sono di veruna utilità. Gl'italiani stessi non scrivono nè pensano sui loro costumi, come sopra niun'altra cosa che importi e giovi ad essi o agli altri: eccetto forse il solo Baretti, spirito in gran parte altrettanto falso che originale, e stemperato nel dir male, e poco intento e certo poco atto a giovare, e sì per la singolarità del suo modo di pensare e vedere, benchè questa niente affettata, sì per la sua decisa inclinazione a sparlare di tutto, e il suo carattere aspro e iracondo verso tutto, il più delle volte alieno dal tutto. Oltre i costumi e lo stato d'Italia sono incredibilmente cangiati dal suo tempo, cioè da prima della rivoluzione, al tempo presente. Allora, massime l'Italia meridionale, era quasi in quello stato di opinioni e di costumi in cui si è trovata fino agli ultimi anni ed ancora in grandissima parte si trova la Spagna. Ora per l'uso e il dominio degli stranieri, massime de' francesi, l'Italia è, quanto alle opinioni, a livello cogli altri popoli, eccetto una maggior confusione nelle idee, ed una minor diffusione di cognizioni nelle classi popolari. Queste opinioni però operano sullo stato e sulla vita degl'italiani in maniera diversa che presso gli altri, per la diversità somma delle sue circostanze, e quindi ne risulta che con opinioni appresso a poco, e massime in buona parte della nazione, conformi, essa è di costumi notabilmente diversa dagli altri popoli civili. Se io dirò alcune cose circa questi presenti costumi (tenendomi al generale) colla sincerità e libertà con cui ne potrebbe scrivere uno straniero, non dovrò esserne ripreso dagli italiani,, perché non lo potranno imputare a odio o emulazione nazionale, e forse si stimerà che le cose nostre sieno più note a un italiano che non sono e non sarebbero a uno straniero, e finalmente se questi non dee risparmiare il nostro amor proprio con danno della verità, perché dovrò io parlare in cerimonia alla mia propria nazione, cioè quasi alla mia famiglia e a' miei fratelli?
Non è da dissimulare che
considerando le opinioni e lo stato presente dei popoli, la quasi universale
estinzione o indebolimento delle credenze su cui si possano fondare i principii
morali, e di tutte quelle opinioni fuor delle quali è impossibile che il giusto
e l'onesto paia ragionevole, e l'esercizio della virtù degno d'un savio, e da
altra parte l'inutilità della virtù e la utilità decisa del vizio dipendenti
dalla politica costituzionale delle presenti repubbliche; la conservazione
della società sembra opera piuttosto del caso che d'altra cagione, e riesce
veramente maraviglioso che ella possa aver luogo tra individui che
continuamente si odiano s'insidiano e cercano in tutti i modi di muoversi gli
uni agli altri. Il vincolo e il freno delle leggi e della forza pubblica, che
sembra ora essere l'unico che rimanga alla società, è cosa da gran tempo
riconosciuta per insufficientissima a ritenere dal male e molto più a stimolare
al bene. Tutti sanno con Orazio, che le leggi senza i costumi non bastano, e da
altra parte che i costumi dipendono e sono determinati e fondati principalmente
e garantiti dalle opinioni. In questa universale dissoluzione dei principii
sociali, in questo caos che veramente spaventa il cuor di un filosofo, e lo
pone in gran forse circa il futuro destino delle società civili e in grande
incertezza del come elle possano durare a sussistere in avvenire, le altre
nazioni civili, cioè principalmente la Francia, l'Inghilterra e la Germania,
hanno un principio conservatore della morale e quindi della società, che benché
paia minimo, e quasi vile rispetto ai grandi principii morali e d'illusione che
si sono perduti, pure è d'un grandissimo effetto.
Questo principio è la società stessa. Le dette nazioni, oltre la società generalmente presa, cioè il convitto degli uomini per provvedere scambievolmente ai propri bisogni, e difendersi dai comuni danni e pericoli, hanno quel genere più particolare di società che suole essere chiamato con questo medesimo nome ridotto a significazione più stretta, e consiste in un commercio più intimo degl'individui fra loro, e massime di quelli, che dispensati dalla loro condizione dal provvedere coll'opera meccanica delle proprie mani alla loro e all'altrui sussistenza e forniti del necessario alla vita col mezzo delle fatiche altrui, mancando de' bisogni primi, vengono naturalmente nel secondo bisogno, cioè di trovare qualche altra occupazione che riempia la loro vita, e alleggerisca loro il peso dell'esistenza, sempre grave e intollerabile quando è disoccupata. Questa tal società che è principalmente fra questi tali uomini, ha per fine il diletto e il riempire il vuoto della vita cagionato dalla mancanza de' bisogni primi, e per causa ha i detti bisogni secondi, come quell'altro più largo e più comun genere di società ha per origine i primi bisogni e la naturale necessità. Per mezzo di quella società più stretta, le città e le nazioni intiere, e in questi ultimi tempi massimamente, l'aggregato eziandio di più nazioni civili, divengono quasi una famiglia, riunita insieme per trovare nelle relazioni più strette e più frequenti che nascono da tale quasi domestica unione, una occupazione, un pascolo, un trattenimento alla vita di quelli, che senza ciò menerebbero il tempo affatto vuoto, e tali sono, rigorosamente parlando, tutti gli uomini, salvo gli agricoltori e quelli che ci procurano il vestito di prima necessità. Coll'uso scambievole gli uomini naturalmente e immancabilmente prendono stima gli uni degli altri: cioè non già buona opinione, anzi questa è tanto minore in ciascuno verso gli altri generalmente, quanto il detto uso e quindi la cognizione degli uomini è maggiore; ma la stretta società fa che ciascuno fa conto degli uomini e desidera di farsene stimare (questa è propriamente la stima che si concepisce di loro) e li considera per necessarii alla propria felicità, sì quanto ad altri rispetti, sì quanto a questa soddisfazione del suo amor proprio che ciascuno in particolare attende desidera e cerca da essi, da' quali dipende, e non si può ricever d'altronde. Questo desiderio è quello che si chiama ambizione, vincolo e sostegno potentissimo della società che non d'altronde nasce che da essa società ridotta a forma stretta, poiché fuor di essa l'ambizione non ha luogo alcuno nell'uomo, e l'amor proprio naturale non prenderebbe mai questo aspetto, che pur sembra totalmente suo proprio ed essenziale e sommamente immediato. L'ambizione può aver varie forme e vari fini.
Una volta ella era
desiderio di gloria, passione che fu comunissima. Ma ora questa è cosa troppo
grande, troppo nobile, troppo forte e viva perch'ella possa aver luogo nella
piccolezza delle idee e delle passioni moderne, ristrette e ridotte in
angustissimi termini e in bassissimo grado dalla ragione geometrica e dallo
stato politico della società; perch'ella possa compatire collo stato di
freddezza e mortificazione che risulta universalmente nella vita civile dalle
dette cause; e la gloria è un'illusione troppo splendida e un nome troppo alto
perché possa durare dopo la strage delle illusioni, e la conoscenza della
verità e realtà delle cose, e del loro peso e valore. L'amore della gloria è
incompatibile colla natura de' tempi presenti, è cosa obsoleta come le usanze e
le voci antiquate, non sussiste più, o è così raro, e dove anche sussiste è
così debole e inefficace che non può esser principio di grandi beni alla
società e molto meno servirle di vincolo, quale egli era in gran parte una
volta. A' nostri tempi, presso quelle nazioni che hanno l'uso di quella società
intima definita di sopra, l'ambizione produce un altro sentimento tutto
moderno, e di natura sua, siccome di fatto e di nascita posteriore alle grandi
illusioni dell'antichità. Questo sentimento è quello che si chiama onore. È
un'illusione esso stesso, perché consiste nella stima che gl'individui fanno
della opinione altrui verso loro, opinione che rigorosamente parlando, è cosa
di niun conto; ma egli è un'illusione tanto poco alta e viva e luminosa, che
facilmente nasconde anche agli occhi esercitati dalla cognizione del vero, la
sua vanità, e può compatire collo stato presente e colla distruzione di quasi
tutte l'altre illusioni, alla quale ella non ripugna se non mediocremente,
atteso la sua natura, per così dire, fredda e rimessa. Questa illusione però è
potentissima nelle nazioni e nelle classi che hanno l'uso di quella intima
società da cui solo ella può nascere. E particolarmente in Francia, molti sono
stati filosofi di opinione fino all'ultimo grado, e conoscitori intimi del vero
in tutta la sua estensione, e il danno eziandio non piccolo in varie cose. Ma
nel fatto e nella vita è certissimo che nessuno di questi, non che degli altri
francesi, dal tempo della origine della società francese fino al presente, ha
mai potuto impetrar da se stesso, non solo di non curar veramente l'opinione
pubblica, ma neppure di non metterla quanto all'effetto e quanto al fondo del
suo animo, nellaù cima de' suoi pensieri e de' suoi fini, e di non volgere a
quella il più delle sue azioni e delle sue omissioni. Questa stima della
opinione pubblica, così piccola cosa come ella è, è pur da tanto che quasi
basta nelle dette nazioni (ciascuna delle quali ne partecipa a proporzione
delle sue circostanze sociali) a rimpiazzare i principii morali ugualmente
perduti appresso di loro, massime nelle classi non laboriose, e gli altri
vincoli della società, gli altri freni del male e stimoli del bene, in luogo
de' quali resta si può dire esso solo, ed è pur sufficiente a servire alla
società di legame. Piccolissima e freddissima cosa ella è, come ho detto, non
v'ha dubbio. Gli uomini politi di quelle nazioni si vergognano di fare il male
come di comparire in una conversazione con una macchia sul vestito o con un
panno logoro o lacero; si muovono a fare il bene per la stessa causa e con
niente maggiore impulso e sentimento che a studiar esattamente ed eseguir le
mode, a cercar di brillare cogli abbigliamenti, cogli equipaggi, coi mobili,
cogli apparati: il lusso e la virtù o la giustizia hanno tra loro lo stesso
principio, non solo rimotamente parlando, il che è da per tutto e fu quasi
sempre, ma parlando immediatamente e particolarmente. Qual cosa è più frivola
in sé cheù il far conto di una buona azione né più né manco che di un buon
motto o di un bell'abito, esser sollecito della propria probità per la sola
ragione per cui si ha cura di acquistare e conservare la bella maniera, evitare
una mala azione come una brutta riverenza, e il vizio come il cattivo tuono? Ma
bisogna pur confessare (che giova il parlar sempre dissimulatamente, e col
linguaggio antico nelle cose affatto nuove?) che effettivamente lo stato delle
opinioni e delle nazioni quanto alla morale è ridotto in questa precisa miseria
che il buon tuono è, non solo il più forte, ma l'unico fondamento che resti a'
buoni costumi, e che i buoni costumi non sono esercitati per altro,
generalmente parlando e delle classi civili, che per le ragioni per cui si
esercita il buon tuono, e che dove il buon tuono della società non v'è o non si
cura, quivi la morale manca d'ogni fondamento e la società d'ogni vincolo, fuor
della forza, la quale non potrà mai né produrre i buoni costumi né bandire o
tener lontani i cattivi. Così nelle dette nazioni la società stessa producendo
il buon tuono produce la maggiore anzi unica garanzia de' costumi sì pubblici
che privati che si possa ora avere, e quindi è causa immediata della
conservazione di sé medesima.
Gl'italiani dal tempo della
rivoluzione in poi, sono, quanto alla morale, così filosofi, cioè ragionevoli e
geometri, quanto i francesi e quanto qualunque altra nazione, anzi il popolo,
il che è degno di osservarsi, lo è forse più che non è quello d'altra nazione
alcuna. Voglio dire che quanto alla cognizione del nudo vero circa i principii
morali, quanto alle credenze che a questi appartengono, quanto all'abbandono
delle credenze antiche, la nazione italiana presa insieme e paragonando classe
a classe conforme e corrispondente tra lei e l'altre nazioni, è appresso a poco
a livello con qualunque altra più civile e più istruita d'Europa o d'America.
Per conseguenza da questa parte ella è priva come l'altre d'ogni fondamento di
morale, e d'ogni vero vincolo e principio conservatore della società. Ma oltre
di questo, a differenza delle dette nazioni, ella è priva ancora di quel genere
di stretta società definito di sopra. Molte ragioni concorrono a privarnela,
che ora non voglio cercare. Il clima che gl'inclina a vivere gran parte del dì
allo scoperto, e quindi a' passeggi e cose tali, la vivacità del carattere
italiano che fa loro preferire i piaceri degli spettacoli e gli altri diletti
de' sensi a quelli più particolarmente propri dello spirito, e che gli spinge
all'assoluto divertimento scompagnato da ogni fatica dell'animo e alla
negligenza e pigrizia; queste cose non sono che le menome e le più facili a
vincere tra le ragioni che producono il sopraddetto effetto. Certo è che il
passeggio, gli spettacoli, e le Chiese sono le principali occasioni di società
che hanno gl'italiani, e in essi consiste, si può dir, tutta la loro società
(parlando indipendentemente da quella che spetta ai bisogni di prima
necessità), perché gl'italiani non amano la vita domestica, né gustano la
conversazione o certo non l'hanno. Essi dunque passeggiano, vanno agli
spettacoli e divertimenti, alla messa e alla predica, alle feste sacre e
profane. Ecco tutta la vita e le occupazioni di tutte le classi non bisognose
in Italia.
Conseguenza necessaria di
questo è che gl'italiani non temono e non curano per conto alcuno di essere o
parer diversi l'uno dall'altro, e ciascuno dal pubblico, in nessuna cosa e in
nessun senso. Lascio stare che la nazione non avendo centro, non havvi
veramente un pubblico italiano; lascio stare la mancanza di teatro nazionale, e
quella della letteratura veramente nazionale moderna, la quale presso l'altre
nazioni, massime in questi ultimi tempi è un grandissimo mezzo e fonte di
conformità di opinioni, gusti, costumi, maniere, caratteri individuali, non
solo dentro i limiti della nazione stessa, ma tra più nazioni eziandio
rispettivamente. Queste seconde mancanze sono conseguenze necessarie di quella
prima, cioè della mancanza di un centro, e di altre molte cagioni. Ma lasciando
tutte queste e quelle, e restringendoci alla sola mancanza di società, questa
opera naturalmente che in Italia non havvi una maniera, un tuono italiano
determinato. Quindi non havvi assolutamente buon tuono, o egli è cosa così
vaga, larga e indefinita che lascia quasi interamente in arbitrio di ciascuno
il suo modo di procedere in ogni cosa. Ciascuna città italiana non solo, ma
ciascuno italiano fa tuono e maniera da sé.
Non avendovi buon tuono, non
possono avervi convenienza di società (bienséances). Mancando queste, e
mancando la società stessa, non può avervi gran cura del proprio onore, o
l'idea dell'onore e delle particolarità che l'offendono o lo mantengono e vi si
conformano, è vaga e niente stringente. Ciascuno italiano è presso a poco
ugualmente onorato e disonorato. Voglio dir che non è né l'uno né l'altro, perché
non v'ha onore dove non v'ha società stretta, essendo esso totalmente una idea
prodotta da questa, e che in questa e per questa sola può sussistere ed essere
determinata.
Benché gl'italiani, come ho
detto, sieno incirca a livello delle altre nazioni nella conoscenza generale
della realtà delle cose relativamente ai fondamenti dei principii morali, per
quanto almen basta a influire e dar norma alla condotta pubblica e privata di
ciascheduno; tuttavia è ben certo e da tutti gli stranieri, non meno che da
noi, conosciuto e consentito che l'Italia in fatto di scienza filosofica e di
cognizione matura e profonda dell'uomo e del mondo è incomparabilmente
inferiore alla Francia, all'Inghilterra, alla Germania considerando queste e
quella generalmente. Ma contuttociò è anche certissimo, benché parrà un
paradosso, che se le dette nazioni son più filosofe degl'italiani
nell'intelletto, gl'italiani nella pratica sono mille volte più filosofi del
maggior filosofo che si trovi in qualunque delle dette nazioni.
Primieramente dell'opinione
pubblica gl'italiani in generale, e parlando massimamente a proporzione degli
altri popoli, non ne fanno alcun conto. Corrono e si ripetono tutto giorno
cento proverbi in Italia che affermano che non s'ha da por mente a quello che
il mondo dice o dirà di te, che s'ha da procedere a modo suo non curandosi del
giudizio degli altri, e cose tali. Lungi che gl'italiani considerino, come i
francesi, per la massima delle sventure la perdita o l'alterazione dell'opinion
pubblica verso loro, e sieno pronti, come i francesi ben educati, a soffrire e
sacrificar qualunque cosa piuttosto che incorrere anche a torto in questo
inconveniente; essi non si consolano di cosa alcuna più di leggieri che della
perdita eziandio totale (giusta o ingiusta che sia) dell'opinione pubblica, e
stimano ben dappoco chi pospone a questo fantasma i suoi interessi e i suoi
vantaggi reali (o quelli che così si chiamano nel linguaggio della vita), e chi
non si cura d'incorrere per amor di quello in danni o privazioni vere,
d'astenersi da piaceri, ancorché minimi, e cose tali. Insomma niuna cosa,
ancorché menomissima, è disposto un italiano di mondo a sacrificare all'opinion
pubblica, e questi italiani di mondo che così pensano ed operano, sono la più
gran parte, anzi tutti quelli che partecipano di quella poca vita che in Italia
si trova. Non si può negare che filosoficamente e geometricamente parlando,
essi non abbiano assai più ragione dei francesi e degli altri che pensano e
operano diversamente, e che per conseguenza in questa parte essi non sieno,
quanto alla pratica, assai più filosofi. Al che li porta lo stato delle cose
loro, nel quale in realtà l'opinione pubblica, per la mancanza di società
stretta, pochissimo giova favorevole e pochissimo nuoce contraria, e la gente
per quanta ragione abbia di dir male o bene di uno, di pensarne bene o male,
prestissimo si stanca dell'uno e dell'altro; si dimentica affatto delle ragioni
che aveva di far questo o quello, benché certissime e grandissime, e torna a
parlare e pensare di quella tal persona con perfetta indifferenza, e come d'una
dell'altre.
Secondariamente, e questa è
cosa molto osservabile, come l'opinion pubblica, così la vita non ha in Italia
non solo sostanza e verità alcuna, che questa non l'ha neppure altrove, ma né
anche apparenza, per cui ella possa essere considerata come importante. Lascio
la totale mancanza d'industria, e d'ogni sorta di attività, e quella di
carriere politiche e militari, quella d'ogni altro istituto di vita e di professione
per cui l'uomo miri a uno scopo, e coll'aspettativa, coi disegni, colle
speranza dell'avvenire, rilevi il pregio dell'esistenza, la quale sempre che
manca di prospettiva d'un futuro migliore, sempre ch'è ristretta al solo
presente, non può non parer cosa vilissima e di niun momento, perché nel
presente, cioè in quello che è sottoposto agli occhi, non hanno luogo le
illusioni, fuor delle quali non esiste l'importanza della vita. Or la vita
degl'italiani è appunto tale, senza prospettiva di miglior sorte futura, senza
occupazione, senza scopo, e ristretta al solo presente. Ma lasciando questo e
restringendoci alla sola mancanza di società, certo è che uno de' grandissimi e
principali mezzi che restano oggi agli uomini per non avvedersi affatto della
nullità delle cose loro, o per non sentirla, benché conoscendola, per non
essere nella pratica persuasi della total frivolezza delle loro occupazioni
qualunque e della totale indegnità della vita ad esser con fatiche e con
sollecitudini coltivata, studiata ed esercitata, uno, dico, de' principali
mezzi e forse il principale assolutamente, è la società. L'uomo è animale
imitativo e d'esempio. Questa è cosa provata. Tale egli è sempre, anche dopo
emancipato (se egli arriva mai ad esserlo) dal giogo delle credenze e del modo
di pensare e di vedere altrui; anche filosofo: egli lo è men degli altri, ma
pure in gran parte. Questa sua imitazione è volta principalmente a' suoi
simili, questo esempio ch'ei ne prende, da loro principalmente lo piglia. Una
parte maggiore o minore, ma sempre una qualche parte, non solo della sua
condotta, non solo del suo carattere, de' suoi costumi, non solo del suo animo
generalmente, ma del suo stesso intelletto, e del suo modo di pensare, dipende,
imita, si regola, è modificata dall'esempio altrui, cioè precisamente e
massimamente di quella parte de' suoi simili colla quale ei convive, sia che ei
conviva per mezzo della lettura, sia specialmente colla persona, sia come si
voglia. Or dunque nella società stretta l'essere continuamente testimonio delle
cure che gli altri si danno (perciocché essa le richiede, e ne impone una
necessità, non paragonabile alle naturali, ma pur molto imperiosa ed efficace),
del peso che essi annettono, o che nell'estrinseco necessariamente e per legge
molto naturale di essa società, mostrano continuamente e totalmente di
annettere alle bagattelle della società medesima e di tutta la vita, fa che
ciascuno dal canto suo, non possa a meno, quanto alla pratica ed anche a una
certa parte del suo intelletto, di non fare una tal quale stima della vita e
delle cose umane, e di contarle per qualche che.
La perpetua e piena
dissimulazione della vanità delle cose, dissimulazione che tutti fanno verso
ciascuno nelle parole e nei fatti in una società stretta, e che ciascuno è
obbligato nello stesso modo a fare continuamente con tutti gli altri, inganna
in qualche guisa il pensiero, e mantiene come che sia e per quanto è possibile
l'illusione dell'esistenza. In una società stretta anche l'uomo più intimamente
persuaso per raziocinio, ed anche per sentimento, della vanità di se stesso,
della frivolezza altrui, della inutilità della vita e delle fatiche, della
niuna importanza d'essa società, anche il più perfetto filosofo in
ispeculazione, non può mai fare, non solo di non contenersi in atto come se il
mondo valesse pur qualche cosa, ma nemmeno che una parte del suo intelletto non
combatta coll'altra, affermando che le cose umane meritano pur qualche cura, e
combattendo non vinca il più del tempo, e non persuada confusamente alla
persona la detta cosa in dispetto, per dir così, della sua stessa persuasione.
Se non altro l'immaginativa che per natura ci porta a conceder qualche valore
alla vita, ha pure un pascolo nella società stretta, e facoltà di conservar
qualche parte della sua azione ed influenza sull'uomo. Tutto ciò non ha luogo
nella solitudine, ma meno ancora in una dissipazione giornaliera e continua
senza società. Nella solitudine anche dell'uomo il più sapiente esperimentato e
disingannato, la lontananza degli oggetti giova infinitamente a ingrandirli,
apre il campo all'immaginazione per l'assenza del vero e della realtà e della
pratica, risveglia e risuscita sovente le illusioni in luogo di sopirle o finir
di distruggerle, l'animo dell'uomo torna a creare e a formarsi il mondo a suo
modo; e finalmente la mancanza di occupazioni o distrazioni vive, e il continuo
e non diviso né divagato pensiero che necessariamente si pone nelle cose
presenti, e l'attenzione totale dell'animo che nasce dalla mancanza di
sensazioni che la trasportino qua e là, fanno che all'ultimo si dà peso a
menomissimi oggetti, e molto più che non si dava e che gli altri non danno nel
mondo a oggetti molto maggiori (o così detti), e vi si pone tanta cura che
finalmente essi riempiono tutto il tempo, ed occupano la vita, e alcune volte
eziandio d'avanzo. L'esperienza lo prova a quelli che hanno potuto farla in se
o in altri. Ma la detta dissipazione continua, senza società, quella che forma
la vita degl'italiani non bisognosi, è priva degli aiuti della lontananza,
priva delle risorse interne dell'immaginazione e dell'animo, per esser
dissipazione e per aver sempre la realtà sotto gli occhi; e priva da altra
parte de' soccorsi esterni della immaginazione, e di cose al di fuori che
mantengano o rialzino le illusioni, perché come trovarle fuor della
società? Per queste cagioni gl'italiani di mondo, privi come sono di
società, sentono più o meno ciascuno, ma tutti generalmente parlando, più degli
stranieri, la vanità reale delle cose umane e della vita, e ne sono pienamente,
più efficacemente e più praticamente persuasi, benché per ragione la conoscano,
in generale, molto meno. Ed ecco che gl'italiani sono dunque nella pratica, e
in parte eziandio nell'intelletto, molto più filosofi di qualunque filosofo straniero,
poiché essi sono tanto più addomesticati, e per dir così convivono e sono
immedesimati con quella opinione e cognizione che è la somma di tutta la
filosofia, cioè la cognizione della vanità d'ogni cosa, e secondo questa
cognizione, che in essi è piuttosto opinione o sentimento, sono al tutto e
praticamente disposti assai più dell'altre nazioni.
Or da ciò nasce ai costumi il
maggior danno che mai si possa pensare. Come la disperazione, così né più né
meno il disprezzo e l'intimo sentimento della vanità della vita sono i maggiori
nemici del bene operare, e autori del male e della immoralità. Nasce da quelle
disposizioni la indifferenza profonda, radicata ed efficacissima verso se
stessi e verso gli altri, che è la maggior peste de' costumi, de' caratteri, e
della morale. Non si può negare; la disposizione più ragionevole e più naturale
che possa contrarre un uomo disingannato e ben istruito della realtà delle cose
e degli uomini, senza però esser disperato né inclinato alle risoluzioni feroci,
ma quieto e pacifico nel suo disinganno e nella sua cognizione, come son la più
parte degli uomini ridotti in queste due ultime condizioni; la disposizione,
dico, la più ragionevole e quella d'un pieno e continuo cinismo d'animo, di
pensiero, di carattere, di costumi, d'opinione, di parole e d'azioni.
Conosciuta ben a fondo e continuamente sentendo la vanità e la miseria della
vita e la mala natura degli uomini, non volendo o non sapendo o non avendo
coraggio, o anche col coraggio, non avendo forza di disperarsene, e di venire
agli estremi contro la necessità e contro se stesso, e contro gli altri che
sarebbero sempre ugualmente incorreggibili; volendo o dovendo pur vivere e
rassegnarsi e cedere alla natura delle cose; - continuare in una vita che si
disprezza, convivere e conversar con uomini che si conoscono per tristi e da
nulla - il più savio partito è quello di ridere indistintamente e abitualmente
d'ogni cosa e d'ognuno, incominciando da se medesimo. - Questo è certamente il
più naturale e il più ragionevole. Or gl'italiani generalmente parlando, e con
quella diversità di proporzioni che bisogna presupporre nelle diverse classi e
individui, trattandosi di una nazione intiera, si sono onninamente appigliati a
questo partito. Gl'italiani ridono della vita: ne ridono assai più, e con più
verità e persuasione intima di disprezzo e freddezza che non fa niun'altra
nazione. Questo è ben naturale, perché la vita per loro val meno assai che per
gli altri, e perché egli è certo che i caratteri più vivaci e caldi di natura,
come è quello degl'Italiani, diventano i più freddi e apatici quando sono
combattuti da circostanze superiori alle loro forze. Così negl'individui, così
è nelle nazioni. Le classi superiori d'Italia sono le più ciniche di tutte le
loro pari nelle altre nazioni. Il popolaccio italiano è il più cinico di tutti
i popolacci. Quelli che credono superiore a tutte per cinismo la nazione
francese, s'ingannano. Niuna vince né uguaglia in ciò l'italiana. Essa unisce
la vivacità naturale (maggiore assai di quella de' francesi) all'indifferenza
acquisita verso ogni cosa e al poco riguardo verso gli altri cagionato dalla
mancanza di società, che non li fa curar gran fatto della stima e de' riguardi
altrui: laddove la società francese influisce tanto, com'è noto, anche nel
popolo, ch'esso è pieno di riguardi sì verso i propri individui, sì verso
l'altre classi, quanto comporta la sua natura. Se gli stranieri non conoscono
bene il modo di trattare degl'italiani, massime tra loro, questo viene appunto
dalla mancanza di società in Italia, onde è difficile a un estero il farsi una
precisa idea delle nostre maniere sociali ordinarie, mancandogli l'occasione
d'esserne facilmente e sovente testimonio, perocchè d'altronde non siamo soliti
a risparmiare i forestieri. Ma nel nostro proprio commercio, per le dette
ragioni, il cinismo è tale che supera di gran lunga quello di tutti gli altri
popoli, parlando proporzionatamente di ciascuna classe. Per tutto si ride, e
questa è la principale occupazione delle conversazioni, ma gli altri popoli
altrettanto e più filosofi di noi, ma con più vita, e d'altronde con più
società, ridono piuttosto delle cose che degli uomini, piuttosto degli assenti
che dei presenti, perché una società stretta non può durare tra uomini
continuamente occupati a deridersi in faccia gli uni e gli altri, e darsi
continui segni di scambievole disprezzo. In Italia il più del riso è sopra gli
uomini e i presenti. La raillerie il persifflage, cose sì poco proprie della
buona conversazione altrove, occupano e formano tutto quel poco di vera
conversazione che v'ha in Italia. Quest'è l'unico modo, l'unica arte di
conversare che vi si conosca. Chi si distingue in essa è fra noi l'uomo di più
mondo, e considerato per superiore agli altri nelle maniere e nella conversazione,
quando altrove sarebbe considerato per il più insopportabile e il più alieno
dal modo di conversare. Gl'Italiani posseggono l'arte di perseguitarsi
scambievolmente e di se pousser à bout colle parole, più che alcun'altra
nazione. Il persifflage degli altri è certamente molto più fino, il nostro ha
spesso e per lo più del grossolano, ed è una specie di polissonnerie, ma con
tutto questo io compiangerei quello straniero che venisse a competenza e
battaglia con un italiano in genere di raillerie. I colpi di questo, benché
poco artificiosi, sono sicurissimi di sconcertare senza rimedio chiunque non è
esercitato e avvezzo al nostro modo di combattere, e non sa combattere alla
stessa guisa. Così un uomo perito della scherma è sovente sconcertato da un
imperito, o uno schermitore riposato da un furioso e in istato di trasporto.
Gl'Italiani non bisognosi passano il loro tempo a deridersi scambievolmente, a
pungersi fino al sangue. Come altrove è il maggior pregio il rispettar gli
altri, il risparmiare il loro amor proprio, senza di che non vi può aver
società, il lusingarlo senza bassezza, il procurar che gli altri sieno contenti
di voi, così in Italia la principale e la più necessaria dote di chi vuole
conversare, è il mostrar colle parole e coi modi ogni sorta di disprezzo verso
altrui, l'offendere quanto più si possa il loro amor proprio, il lasciarli più
che sia possibile mal soddisfatti di se stessi e per conseguenza di voi.
Sono
incalcolabili i danni che nascono ai costumi da questo abito di cinismo, benché
per verità il più conveniente a uno spirito al tutto disingannato e intimamente
e praticamente filosofo, e da tutte le sovraespresse condizioni e maniere del
nostro modo di trattarci scambievolmente. Non rispettando gli altri, non si può
essere rispettato. Gli stranieri e gli uomini di buona società non rispettano
altrui se non per essere ripettati e risparmiati essi stessi, e lo conseguono.
Ma in Italia non si conseguirebbe, perché dove tutti sono armati e combattono
contro ciascuno, è necessario che ciascuno presto o tardi si risolva e impari
d'armarsi e combattere, altrimenti è oppresso dagli altri, essendo inerme e non
difendendosi, in vece d'essere risparmiato. È anche necessario ch'egli impari
ad offendere. Tutto ciò non si può conseguire prima che uno contragga un abito
di disistima e disprezzo e indifferenza somma verso se stesso, perché non v'è
cosa più nociva in questo modo di conversare che l'esser dilicato e sensibile
sul proprio conto. Oltre che allora tutti i ridicoli piombano su di voi, si è
sempre timido e incapace di offendere per paura di non soffrire altrettanto e
provocarsi maggiormente gli altri, incapace di difendersi convenientemente
perché la passione impedisce la libertà e la franchezza del pensare e
dell'operare e l'aggiustatezza e disinvoltura delle difese. E basta che uno si
mostri sensibile alle punture o abitualmente o attualmente perché gli altri più
s'infervorino a pungerlo e annichilarlo. Oltre di ciò in qualunque modo il
vedersi sempre in derisione per necessità produce una disistima di se stesso e
dall'altra parte un'indifferenza a lungo andare sulla propria riputazione. La
quale indifferenza chi non sa quanto noccia ai costumi? E certo che il
principal fondamento della moralità di un individuo e di un popolo è la stima
costante e profonda che esso fa di se stesso, la cura che ha di conservarsela
(né si può conservarla vedendo che gli altri ti disprezzano), la gelosia, la
delicatezza e sensibilità sul proprio onore. Un uomo senz'amor proprio, al
contrario di quel che volgarmente si dice, è impossibile che sia giusto, onesto
e virtuoso di carattere, d'inclinazioni, costumi e pensieri, se non d'azioni.
Di più quanto v'ha di
conversazione in Italia (ch'è la più parte ne' caffè e ridotti pubblici,
piuttosto che appresso i privati, appo i quali propriamente non si conversa, ma
si giuoca, o si danza, o si canta, o si suona, o si passeggia, essendo
sconosciute in Italia le vere conversazioni private che s'usano altrove); quel
poco, dico, che v'ha in Italia di conversazione, essendo non altro che una pura
e continua guerra senza tregua, senza trattati, e senza speranza di quartiere,
benché questa guerra sia di parole e di modi e sopra cose di niuna sostanza,
pure è manifesto quanto ella debba disunire e alienare gli animi di ciascuno da
ciascuno, sempre offesi nel loro amor proprio, e quanto per conseguenza sia
pestifera ai costumi divenendo come un esercizio per una parte, e per l'altra
uno sprone dell'offendere altrui e della nimicizia verso gli altri, nelle quali
cose precisamente consiste il male morale e la perversità dei costumi e la
malvagità morale delle azioni e de' caratteri. Ciascuno combattuto e offeso da
ciascuno dee per necessità restringere e riconcentrare ogni suo affetto ed
inclinazione verso se stesso, il che si chiama appunto egoismo, ed alienarle
dagli altri, e rivolgerle contro di loro, il che si chiama misantropia. L'uno e
l'altra le maggiori pesti di questo secolo. Così che le conversazioni d'Italia
sono un ginnasio dove colle offensioni delle parole e dei modi s'impara per una
parte e si riceve stimolo dall'altra a far male a' suoi simili co' fatti. Nel
che è riposto l'esizio e l'infelicità sociale e nazionale. E questa è la somma
della pravità e corruzion de' costumi. Ed anche all'amore e spirito nazionale è
visibile quanto debbano nuocere tali modi di conversare per cui trattiamo e ci
avvezziamo a trattare e considerar gli altri sì diversamente che come fratelli,
ed acquistiamo o intratteniamo ed alimentiamo uno spirito ostile verso i più
prossimi. Laddove presso l'altre nazioni la società e conversazione,
rispettandovisi ed anche pascendovisi per parte di tutti l'amor proprio di
ciascheduno, è un mezzo efficacissimo d'amore scambievole sì nazionale che
generalmente sociale; in Italia per la contraria cagione la società stessa,
così scarsa com'ella è, è un mezzo di odio e di disunione, accresce esercita e
infiamma l'avversione e le passioni naturali degli uomini contro gli uomini,
massime contro i più vicini, che più importa di amare e beneficare o risparmiare;
tanto che al paragone sarebbe assai meglio che ella non vi fosse affatto, e che
gli italiani non conversassero mai tra loro se non nel domestico, e per li soli
bisogni, come alcune nazioni poco polite e molto bisognose, o molto occupate e
industriose. Certo la società che avvi in Italia è tutta di danno ai costumi e
al carattere morale, senza vantaggio alcuno.
Queste sono le conseguenze
della poca società e della poca vita che avvi in Italia. Dalla poca società
nasce che non v'ha buona società e che quella poca nuoce al morale. E ciò nasce
ancora come s'è detto dal disprezzo della vita che naturalmente ha luogo più
che negli altri in quelli che nulla vi godono, e per chi niente ella vale, sì
stante le altre circostanze come atteso eziandio la mancanza di buona e non
tediosissima società. La poca società e la poca vita (cioè poca azione)
apparisce dalle sopraddette cose che sono naturalmente sinonimi di società e
vita cattiva e scostumata e noiosa e immorale.
O tutti o gran parte degl'inconvenienti
di sopra specificati hanno luogo proporzionatamente anche nelle nazioni più
sociali e nelle migliori conversazioni. Da per tutto v'ha inconvenienti, da per
tutto la società e l'uomo, considerato sì in se stesso e come individuo, sì
come sociale, è imperfettissimo. Di più i suoi difetti e quelli della società e
gl'inconvenienti di questa, presi generalmente e capo per capo all'ingrosso,
sono da per tutto i medesimi, massime in questi tempi di grandissimo commercio
d'ogni genere e quindi conformità fra le nazioni civili, anche le più distanti.
È impossibile nominare o descrivere un difetto e un inconveniente proprio d'una
nazione in generale, che non si trovi o al tutto uguale o con poca differenza e
modificazione in ciascun'altra. Io non intendo dunque di attribuire all'Italia
esclusivamente gl'incomodi che ho detti. Sono ben lontano dall'immaginarmi un
mondo diverso e più bello del nostro né paesi remoti da' miei occhi. In
particolare poi, dovunque v'ha società, quivi l'uomo cerca sempre d'innalzarsi,
in qualunque modo e con qualunque sia mezzo, colla depressione degli altri, e
di far degli altri uno sgabello a se stesso (o trattisi di parole o di fatti),
e l'amor proprio in nessun paese è scompagnato dall'avversione comunque sentita
e dalla persecuzione comunque esercitata verso i propri simili, e massime verso
quelli con cui si convive e che ci toccano più da presso o con gl'interessi o
con l'uso quotidiano. E questo accade più che mai nei popoli civili, e oggi più
che in qualunque altro tempo, essendo riconosciuto per caratteristico di questo
secolo, e per necessaria conseguenza delle opinioni e dello stato presente dei
popoli, quel genere di amor proprio che si chiama egoismo, il pessimo di tutti
i generi. Ma oltre che le modificazioni dei difetti e inconvenienti umani e
sociali possono essere differenti come ho detto, vi si dà anche il più e il
meno, e di essi altro può esser dominante e principale in un luogo, ed altro in
un altro. Quello dunque che io intendo di dire si è che gli accennati inconvenienti,
per le cagioni e circostanze nostre specificate, sono maggiori qui che altrove,
sono i dominanti in Italia, di peggior natura, più efficaci, più gravi, più
estesi e frequenti e divulgati, più dannosi, più caratteristici e distinti
nella nostra società e nella nostra vita che altrove.
Si vede dalle sopraddette cose
che l'Italia è, in ordine alla morale, più sprovveduta di fondamenti che forse
alcun'altra nazione europea e civile, perocché manca di quelli che ha fatti
nascere ed ora conferma ogni dì più co' suoi progressi la civiltà medesima, ed
ha perduti quelli che il progresso della civiltà e dei lumi ha distrutti. Sì
per l'una parte è inferiore alle nazioni più colte o certo più istruite, più
sociali, più attive e più vive di lei, per l'altra alle meno colte e istruite e
men sociali di lei, come dire alla Russia, alla Polonia, al Portogallo, alla
Spagna, le quali conservano ancora una gran parte de' pregiudizi de' passati
secoli, e dalla ignoranza hanno ancor qualche garanzia della morale, benché
sien prive di quella che dà alla morale la società e il sentimento delicato
dell'onore. Il quale stato della Spagna in particolare, fece dire allo
Chateaubriand prima della sua rivoluzione, che quando gli altri popoli rotti e
invecchiati dall'eccesso della civiltà e per conseguenza dalla corruzione
avrebbero perduta ogni virtù, e seco ogni forza, valore ed energia, la Spagna
ancor fresca, ancor vicina alla natura, si sarebbe trovata in quello stato di
vigore che nasce da' principii e da' costumi non corrotti di una nazione
serbata lontano e illesa dal commercio cogli altri popoli; e che quello sarebbe
stato il tempo in cui la Spagna sarebbe tornata a risplendere, e ricomparsa
superiore all'altre nazioni in Europa, come l'unica non corrotta. Nel che lo
Chateaubriand, come in molte altre cose, e per conseguenza necessaria di molti
suoi falsi principii, s'ingannava grandemente. Si potrà forse disputare non
poco se l'antica civiltà sia da preporre o posporre alla moderna, in ordine
alla felicità sì dell'uomo sì de' popoli ed alla virtù, valore, vita, energia
ed attività delle nazioni. Ma lo stato della Spagna non ha niente a fare con
l'antica civiltà. Tutto quello che la Spagna (e i popoli che se le
assomigliano) si distingue dagli altri d'Europa (prescindendo dalle differenze
di necessità occasionate dal clima e carattere nazionale: differenze che si
trovano fra tutte l'altre nazioni anche civilissime) appartiene alla barbarie
de' tempi bassi, è una derivazione, o piuttosto una continuazione di quella. Se
la Spagna differisce dalle altre europee e dalle sue vicine, più che tutte
queste altre non differiscono tra loro anche tra le più lontane ciò non accade
perch'ella abbia nulla d'antico o conservato o racquistato, ma perch'ella ha
conservato della barbarie dell'età media assai più ella sola che tutte l'altre
nazioni civili insieme. Ora i costumi, le opinioni e lo stato propriamente
antico favorivano, conducevano, e generavano il grande, ma quelli del tempo
basso in generale considerandoli, non hanno mai né favorito né prodotto niente
di grande, né sono di natura da poterne produrre o da esser compatibili colla
vera grandezza né dell'individuo né molto meno delle nazioni. È un falsissimo
modo di vedere quello di considerar la civiltà moderna come liberatrice dell'Europa
dallo stato antico. Questo falso concetto guasta generalissimamente il giudizio
e il vero modo di pensare sulla storia e le vicende del genere umano e delle
nazioni, ed è un errore o una svista sostanzialissima che turba e falsifica
tutta l'idea che un filosofo può concepire in grande sulla detta storia e sui
progressi o andamenti dello spirito umano. Il risorgimento è stato dalla
barbarie de' tempi bassi non dallo stato antico; la civiltà, le scienze, le
arti, i lumi, rinascendo, avanzando e propagandosi non ci hanno liberato
dall'antico, ma anzi dalla totale e orribile corruzione dell'antico. In somma
la civiltà non nacque nel quattrocento in Europa, ma rinacque. Certo ella non
fu totalmente conforme alla prima, anzi beaucoup s'en faut; le circostanze non
lo consentirono allora, e ne l'hanno forse più che mai allontanata in
progresso, ed allontanano ogni dì più, ma in quanto ella ci rende diversi dagli
antichi, si può forse molto dubitare se ella faccia un benefizio agl'individui
e alle nazioni e se giovi alla felicità, virtù e grandezza sì degli uni
separatamente considerati, e sì dell'altre considerate ciascuna in corpo, e
tutte insieme. Il grandissimo e incontrastabile beneficio della rinata civiltà
e del risorgimento de' lumi si è di averci liberato da quello stato egualmente
lontano dalla coltura e dalla natura proprio de' tempi bassi, cioè di tempi
corrottissimi; da quello stato che non era né civile né naturale, cioè
propriamente e semplicemente barbaro, da quella ignoranza molto peggiore e più
dannosa di quella de' fanciulli e degli uomini primitivi, dalla superstizione,
dalla viltà e codardia crudele e sanguinaria, dall'inerzia e timidità
ambiziosa, intrigante e oppressiva, dalla tirannide all'orientale, inquieta e
micidiale, dall'abuso eccessivo del duello, dalla feudalità del Baronaggio e
dal vassallaggio, dal celibato volontario o forzoso, ecclesiastico o secolare,
dalla mancanza d'ogn'industria e deperimento e languore dell'agricoltura, dalla
spopolazione, povertà, fame, peste che seguivano ad ogni tratto da tali
cagioni, dagli odii ereditarii e di famiglia, dalle guerre continue e mortali e
devastazioni e incendi di città e di campagna tra Re e Baroni, Baroni e
vassalli, città e città, fazioni e fazioni, famiglie e famiglie, dallo spirito
non d'eroismo ma di cavalleria e d'assassineria, dalla ferocia non mai usata
per la patria né per la nazione, dalla total mancanza di nome e di amor
nazionale patrio, e di nazioni, dai disordini orribili nel governo, anzi dal
niun governo, niuna legge, niuna forma costante di repubblica e
amministrazione, incertezza della giustizia, de' diritti, delle leggi,
degl'instituti e regolamenti, tutto in potestà e a discrezione e piacere della
forza, e questa per lo più posseduta e usata senza coraggio, e il coraggio non
mai per la patria e i pericoli non mai incontrati per lei, né per gloria, ma
per danari, per vendetta, per odio, per basse ambizioni e passioni, o per
superstizioni e pregiudizi, i vizi non coperti d'alcun colore, le colpe non
curanti di giustificazione alcuna, i costumi sfacciatamente infami anche ne'
più grandi e in quelli eziandio che facean professione di vita e carattere più
santo, guerre di religione, intolleranza religiosa, inquisizione, veleni,
supplizi orribili verso i rei veri o pretesi, o i nemici, niun diritto delle
genti, tortura, prove del fuoco, e cose tali. Da questo stato ci ha liberati la
civiltà moderna; da questo, di cui sono ancora grandissime le reliquie, ci
vanno liberando sempre più i suoi progressi giornalieri; da' suoi effetti e da'
suoi avanzi e dalle opinioni che li favoriscono proccura e sforzasi di
liberarci la nuova filosofia nata, si può dire, non ancor sono due secoli, e
intenta propriamente a terminare e perfezionare il nostro risorgimento dagli
abusi, pregiudizi (peggiori assai che l'ignoranza), depravazione e barbarie de'
tempi bassi; degna perciò solo di lode e gratitudine e gloria e favore e
coltura, e perciò solo utile o almeno perciò principalmente. Questo stato e
natura di cose, propriamente parlando, o gli effetti e avanzi suoi, o gli usi,
le opinioni e le forme ad essa appartenenti o corrispondenti, amano, difendono,
lodano, cercano di ritenere e salvare dalla distruzione a cui sono incamminate
i nemici della moderna filosofia, quelli che piangono, condannano, biasimano,
oppugnano, combattono la civiltà moderna o i lumi del secolo e i suoi
progressi, e quelli che fecero il simile ne''passati secoli, quelli che
richiamano o richiamarono l''ntico, e se ne chiamano difensori e conservatori e
lo prendono per loro divisa, e gridano e s'indegnano contro la novità; laddove
il vero antico è in gran parte quello appunto che essi combattono, e non v'è
cosa più propriamente antica di moltissime di quelle che essi chiamano novità e
che impugnano come tali e se ne maravigliano gravemente come cose finora ignote
al genere umano, e contrarie all'esperienza, e però perniciosissime. Vedi i
miei pensieri p. 162-163.
Da questa digressione tornando
al proposito, dico che la Spagna in particolare, e seco le nazioni d'Europa o
d'altrove che le somigliano più più o manco, benché sottoposte a infiniti
inconvenienti ed a uno stato in verità non invidiabile, hanno pur qualche
residuo di fondamento alla morale pubblica e privata, oltre alla forza, ne'
pregiudizi stessi e nella ignoranza di tante cose rivelate dai lumi moderni, e
nell'avanzo non piccolo della barbarie dell'età media. Il qual fondamento manca
all'Italia, senza che sia compensato da quello che la civiltà moderna istessa
offre alle nazioni d'Europa e d'America più sociali e più vive di lei.
Gl'italiani hanno piuttosto
usanze e abitudini che costumi. Poche usanze e abitudini hanno che si possano
dir nazionali, ma queste poche, e l'altre assai più numerose che si possono e
debbono dir provinciali e municipali, sono seguite piuttosto per sola
assuefazione che per ispirito alcuno o nazionale o provinciale, per forza di
natura, perché il contraffar loro o l'ometterle sia molto pericoloso dal lato
dell'opinione pubblica, come è nelle altre nazioni, e perché quando pur lo
fosse, questo pericolo sia molto temuto. Ma questo pericolo realmente non v'è,
perché lo spirito pubblico in Italia è tale, che, salvo il prescritto dalle
leggi e ordinanze de' principi, lascia a ciascuno quasi intera libertà di di
condursi in tutto il resto come gli aggrada, senza che il pubblico se ne
impacci, o impacciandosene sia molto atteso, né se n'impacci mai in modo da dar
molta briga e da far molto considerare il suo piacere o dispiacere,
approvazione o disapprovazione. Gli usi e i costumi in Italia si riducono
generalmente a questo, che ciascuno segua l'uso e il costume proprio, qual che
egli si sia. E gli usi e costumi generali e pubblici, non sono, come ho detto,
se non abitudini, e non sono seguiti che per liberissima volontà, determinata quasi
unicamente dalla materiale assuefazione, dall'aver sempre fatta quella tal
cosa, in quel tal modo, in quel tal tempo, dall'averla veduta fare ai maggiori,
dall'essere sempre stata fatta, dal vederla fare agli altri, dal non curarsi o
non pensare di fare altrimenti o di non farla (al che basterebbe il volere); e
facendola del resto con pienissima indifferenza, senz'attaccarvi importanza
alcuna, senza che l'animo né lo spirito nazionale, o qualunque, vi prenda
alcuna parte, considerando per egualmente importante il farla che il
tralasciarla o il contraffarle, non tralasciandola e non contraffacendole
appunto perché nulla importa, e per lo più con disprezzo, e sovente, occorrendo
con riso e scherno di quel tal uso o costume.
Da tutte le cose considerate
di sopra come cagioni della total mancanza o incertezza di buoni costumi in
Italia, e della mancanza eziandio di costumi propriamente italiani (la qual
mancanza è sempre compagna e causa di mali costumi), segue un effetto reale,
che può parere un paradosso, cioè che (siccome v'ha più propriamente costumi)
v'ha migliori o men cattivi costumi nelle capitali e città grandi d'Italia, che
nelle provincie, e nelle città secondarie e piccole. La ragione si è che in
quelle v'ha un poco più di società, quindi un poco più di cura dell'opinion
pubblica, e un poco più di esistenza reale di questa opinione, quindi un poco
più di studio e spirito di onore,, e gelosia della propria fama, un poco più di
necessità e di cura di esser conforme agli altri, un poco più di costume, e
quindi di buono o men cattivo costume. Al contrario di quello che può sembrar
verisimile, le città piccole e le provincie d'Italia sono di costumi e di
principii assai peggiori e più sfrenati che le capitali e città grandi, che
sembrerebbero dover essere le più corrotte, e per tali sono sempre state
considerate, e si considerano generalmente anche oggi, ma a torto. In generale
egli è certo che dopo la distruzione o indebolimento de' principii morali
fondati sulla persuasione, distruzione causata dal progresso e diffusione dei
lumi, si verifica una cosa, che spesso affermata, è stata forse falsa in ogni
altro tempo; cioè che nel mondo civile le nazioni, le provincie città, le
classi, gl'individui più colti, più politi, sociali, esperimentati nel mondo,
istruiti, e in somma più civili, sono eziandio i meno scostumati e immorali
nella condotta, e in parte ancora ne' principii, cioè in quei principii di
morale che si fondano sopra discorsi e ragioni al tutto umane. Tutto ciò è
esattamente vero nell'Italia in generale, non solamente quanto alle città e
provincie, ma eziandio quanto agl'individui e quanto alle classi, almeno almeno
a quelle non laboriose, paragonate fra loro. E forse in alcuni luoghi le classi
civili si troveranno più morali, per esempio, di più buona fede, anche
paragonandole alle classi laboriose; tanta è la diffusione de' principi
distruttivi della morale in Italia come altrove. I quali principii non hanno
nelle condizioni basse altra cosa che li compensi, oltre che in esse non sono accompagnati
da quegli altri principii che raffreddano le passioni e i desiderii degli
uomini illuminati e sperimentati sulla natura e il valore de' beni umani. Onde
la distruzione o indebolimento de' principii morali (ch'è il più pronto e il
più facile effetto della diffusione dei lumi, perché favorito sommamente dalle
inclinazioni naturali, e il lume che più agevolmente penetra e si abbraccia) è
accompagnato in queste tali condizioni collo stesso ardore di cupidità e di
passioni che prima avevano, il quale stato è il più pernicioso,, e il più
favorevole, anzi necessario compagno, alla scostumatezza, che mai possa darsi;
oltre alla viltà de' pensieri, alla bassezza d'animo, alla poca stima di se
stessi, propria di tali condizioni. Così discorrasi proporzionatamente
dell'altre classi, e delle provincie e popolazioni e nazioni comparativamente
l'une all'altre. La società che sotto molti aspetti è chiamata e veramente è
corruzione, pure infondendo lo spirito di onore mediante l'uso della società, e
la stima dell'opinion pubblica che di là nasce, e la gelosia e cura di quel che
gli altri pensino e dicano di te, o sieno per pensare e per dire, opera oggidì
in modo, che mancando generalmente, più o meno, gli altri principii morali, e
gli altri aiuti e garanti della morale, i costumi dove è minor civiltà, cioè
corruzione, quivi son più corrotti o vogliamo in somma dir più cattivi. Il che
negli altri tempi non poteva aver luogo, perché gli altri fondamenti della
morale pubblica e privata non erano distrutti, né mai forse furono così
indeboliti; e qualunque altro di tali fondamenti è molto maggiore e più
desiderabile e saldo di quel che offre la civiltà /fondamento ben superficiale,
nondimeno da tener carissimo perché oramai unico possibile); onde dov'era minor
civiltà quivi essendo più di quegli altri fondamenti (che la civiltà ha sempre
sapés), la morale doveva esservi migliore che dove era più civiltà. Del resto
la civiltà ripara oggi quanto ai costumi in qualche modo i suoi propri danni,
quando ella sia in un certo grado: e però non può farsi cosa più utile ai
costumi oramai che il promuoverla e diffonderla più che si possa, come rimedio
di se medesima da una parte, e dall'altra di ciò che avanza della corruzione
estrema e barbarie de' bassi tempi, o che a questa appartiene, e corrisponde al
di lei spirito, e all'impulso espresso e ai vestigi lasciati da lei nelle
nazioni civili. Parlando sommariamente e senza dissimulazione, ma chiaramente,
la morale propriamente è distrutta, e non è credibile che ella possa risorgere
per ora, né chia fino a quando, e non se ne vede il modo; i costumi possono in
qualche guisa mantenersi e sola la civiltà può farlo ad essere instrumento a
questo effetto, quando ella sia in un alto grado.
Fin qui abbiamo considerato
negli italiani la mancanza di società. A questa si deve anche aggiungere come
altra cagione de' medesimi o simili effetti la natura del clima e del carattere
nazionale che ne dipende e risulta. È tutto mirabile e simile a paradosso,
quanto vero, che non v'ha né individuo né popolo sì vicino alla freddezza,
all'indifferenza, all'insensibilità e a un grado così alto e profondo e
costante di freddezza, insensibilità e indifferenza, come quelli che per natura
sono più vivaci,più sensibili, più caldi. Collocati questi tali o popoli o
individui in uno stato e in circostanze o politiche o qualunque, in cui niuna
cosa conferisca all'immaginazione e all'illusione, anzi tutto contribuisca al
disinganno, questo disinganno per la vivacità stessa della loro natura e in
ragione diretta di essa vivacità è completo, totale, fortissimo, profondissimo.
L'indifferenza che ne risulta è perfetta, radicatissima, costantissima;
l'inattività, se si può così dire, efficacissima; la noncuranza effettivissima;
la freddezza è vero ghiaccio, come accade nel gran caldo che i vapori sono da
esso elevati a tanta altezza che quivi stringendosi nel più duro gelo,
precipitano ridotti in gragnuola. I popoli settentrionali meno caldi nelle
illusioni, sono anche meno freddi nel disinganno. Di più sono meno facili a
questo disinganno. Poca cosa basta ad alimentare la loro immaginazione e
conservare le loro illusioni. Così dico degl'individui poco sensibili. Ma la
gran forza del sentimento e dell'immaginazione ha bisogno di molto pascolo, di
aiuti vivi, di qualche sostentamento nelle cose reali. Altrimenti rivolgendo la
sua forza e il suo calore in se stessa si consuma da se tanto più presto e più
completamente quanto essa forza ed esso calore è più grande ed attivo. Uno
spirito delicato messo a contatto della durezza delle cose reali, e confricato
per così dire con essi, diviene tanto più presto e tanto maggiormente ottuso
quanto era più acuto e più fino, e tanto più facilmente e profondamente
incallisce, quanto era più delicato tenero e molle. Così accade nel fisico,
così nel morale. Or dunque se noi consideriamo da una parte questa proprietà
inseparabile dagli spiriti vivaci e sensibili, cioè di cadere tanto più
facilmente e altamente nelle qualità contrarie (proprietà comune a tutti gli
eccessi sempre proclivi e vicini ai loro opposti), e ciò anche in parità delle
altre circostanze rispetto agli spiriti riposati e temperati o freddi e
insensibili per natura; e dall'altra parte che non solo questa parità di
circostanze nel nostro caso non ha luogo, ma che l'Italia è in uno stato,
quanto alle cose reali che favoriscono l'immaginazione e le illusioni, molto
inferiore a quello di tutte l'altre nazioni civili (parlo delle circostanze
della vita e non di quelle del clima e naturali, che anzi nocciono per le dette
ragioni); non ci maraviglieremo punto che gl'italiani la più vivace di tutte le
nazioni colte e la più sensibile e calda per natura, sia ora per assuefazione e
per carattere acquisito la più morta, la più fredda, la più filosofa in
pratica, la più circospetta, indifferente, insensibile, la più difficile ad
esser mossa da cose illusorie, e molto meno governata dall'immaginazione
neanche per un momento, la più ragionatrice nell'operare e nella condotta, la
più povera, anzi priva affatto di opere d'immaginazione (nelle quali una volta,
anzi due volte, superò di gran lunga tutte le nazioni che ora ci superano), di
poesia qualunque (non parlo di versificazione), di opere sentimentali, di
romanzi e la più insensibile all'effetto di queste tali opere e generi (o
proprie o straniere). E d'altra parte non farà maraviglia che i popoli
settentrionali e massime i più settentrionali sieno oggi i più caldi di
spirito, i più immaginosi in fatto, i più mobili e governabili dale illusioni,
i più sentimentali e di carattere e di spirito e di costumi, i più poeti nelle
azioni e nella vita, e negli scritti e letterature. Questa è una verità di
fatto che salta agli occhi, sebben sembra singolare e mostruosa. E per recare
un esempio, dove mai si potrebbe se non in Germania e nel fondo del
settentrione, mantenere e sussistere a' tempi nostri e in tanto dissipamento
d'illusioni, la società dei Fratelli Moravi e molti altri simili stabilimenti e
costumi fondati sopra la sola forza dell'opinioni? e opinioni certo non
conformi all'esatta, secca e fredda filosofia geometrica-moderna. Che dirò del
quakerismo che ancora dura? e di cento simili cose d'Inghilterra, Germania, e
degli altri popoli del nord. Né mi si oppongano simili pratiche religiose o
qualunque degl'italiani, perché queste in Italia, come ho detto, sono usi e
consuetudini, non costumi, e tutti se ne ridono, né si trovano più in Italia
veri fanatici di nessun genere, appena tra quelli che per istato hanno
interesse alla conservazione di questa o quella specie di fanatismo e d'illusioni.
Certo le dette pratiche de' settentrionali sanno affatto di antico e niente di
moderno, e paiono incompatibili co' tempi nostri, e quasi innesti
dell'antichità in essi tempi. E notisi che esse pratiche sono in gran parte, e
forse le più, di origine modernissima, anzi nate dalle moderne rivoluzioni di
opinioni e di politica, e giornalmente ne nascono di simili.
Tutto questo, torno a dire,
sembra mostruoso e contraddittorio, se non si spiega colle considerazioni fatte
sopra. Ma tant'è. I popoli meridionali superarono tutti gli altri nella
immaginazione e quindi in ogni cosa, a' tempi antichi; e i settentrionali per
la stessa immaginazione superano di gran lunga i meridionali a' tempi moderni.
La ragione si è che a' tempi antichi lo stato reale delle cose e delle opinioni
ragionate favoriva tanto l'immaginazione quanto ai tempi moderni la sfavorisce.
E però in pratica l'immaginazione de' popoli meridionali era tanto più attiva
di quella de' settentrionali quanto è ora al contrario, perché la freddezza
della realtà ha tanta più forza sulle immaginazioni e sui caratteri quanto essi
sono più vivi e più caldi. E certo le nazioni settentrionali, e massime il
popolo, sono molto più paragonabili e simili oggidì alle antiche che non sono
le nazioni, e massime il popolo, del mezzogiorno, laddove è pur certo che
dovendo sceglier tra i climi e tra i caratteri naturali dei popoli una immagine
dell'antichità niuno dubiterebbe di scegliere i meridionali, e i settentrionali
viceversa per immagini del moderno.
A proposito delle quali
osservazioni, sia detto di passaggio che io non dubito di attribuire in gran
parte la decisa e visibile superiorità presente delle nazioni settentrionali
sulle meridionali, sì in politica, sì in letteratura, sì in ogni cosa, alla superiorità
della loro immaginazione. Né questa, né quella per conseguenza sono da
considerarsi per cose accidentali. Sembra che il tempo del settentrione sia
venuto. Finora ha sempre brillato e potuto nel mondo il mezzogiorno. Ed esso
era veramente fatto per brillare e prepotere in tempi quali furono gli antichi.
E il settentrione viceversa è propriamente fatto per tenere il disopra ne'
tempi della natura de' moderni. Ciò si vide in parte, per circostanze simili
de' popoli civili nelle età di mezzo. E come la detta natura e disposizione de'
tempi moderni non è accidentale né sembra potere essere passeggera, così la
superiorità del settentrione non è da stimarsi accidentale né da aspettarsi che
passi, almeno in uno spazio di tempo prevedibile. L'abbondanza e l'eccesso
della vita cede alla mediocrità ed anche alla scarsezza della medesima, da poi
che quella non ha più come alimentarsi nella realtà delle cose e dello stato
sociale, e che le opinioni ragionate contrastano seco e l'opprimono.
Come la vita e la forza
interna e dello spirito è naturalmente maggiore ne' meridionali, e
negl'individui sensibili e ne' fini ingegni, che non è negli altri, perciò essi
sono nelle loro azioni e nel loro carattere più determinati e governati, per
dir così, dall'animo, e meno macchinali che gli altri popoli e individui.
Quindi è che quando i principii e le persuasioni loro sono contrarie alle
illusioni, fredde, conducenti all'indifferenza, all'aridità, al puro calcolo,
anche i caratteri e le azioni loro sono al tutto e costantemente fredde,
calcolate, indifferenti, insensibili, più assai che negli altri popoli e
individui anche più istruiti, più filosofi, più fondati e provveduti di
principii contrarii alle illusioni e all'immaginoso, e conducenti alla
freddezza, indifferenza, insensibilità. La corrispondenza tra i principii e la
pratica è molto maggiore e più costante in quelli che non è negli altri.
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