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Gabriele D'Annunzio - La maschera dell'esteta e il desiderio di successo
Come Wilde in
Inghilterra, il "Vate in Italia, creò un nuovo stile di vita: il Novecento
Italiano venne profondamente segnato dalla figura di Gabriele D'Annunzio.
Nacque nel 1863 a Pescara da famiglia borghese in condizioni agiate, studiò presso un collegio aristocratico (Cicognini, Prato) e ad appena 17 anni esordì con la raccolta di poesie "Primo Vere", ben accolta dalla critica. Diplomato, si trasferì a Roma per frequentare l'università ma, attratto dalla vita mondana, lasciò gli studi: divenne subito famoso per la produzione di versi erotici e per il suo stile di vita.
Grazie ad avventure
galanti, al lusso, ai duelli d'onore si creò la maschera dell'esteta, un
individuo superiore che fugge la borghesia per vivere la sua opera d'arte.
L'estetismo dannunziano attraversò un periodo di crisi, superata grazie al mito
del superuomo: non d'azione, per il momento, ma dedito alla letteratura, in
attesa dell'occasione di riscatto (Prima guerra mondiale).
D'Annunzio mirava a creare uno stile di vita inimitabile: tutti restarono
colpiti dalla sua villa vicino a Fiesole (Villa del Capponcino) dove viveva
come un principe rinascimentale; dalle sue avventure amorose, di cui la più
importante fu quella con Eleonora Duse, famosa attrice (il suo amore per lei
era probabilmente dovuto al suo
interesse per il teatro). Si avvicinò così ben presto a cinema e teatro.
L'estetismo dannunziano è una sorta di risposta ideologica
alla nuova società italiana che tende ad emarginare l'artista: D'Annunzio non
si rassegna, vuole successo e fama nella realtà, e questi sono i suoi unici
obiettivi.
Per raggiungere il suo scopo si
preoccupa di scrivere opere di successo sfruttando economicamente la pubblicità
dei suoi scandali: propone una nuova forma di intellettuale, fuori dalla vita
borghese, che vive una situazione privilegiata scomparsa ormai da tempo.
La sua vita di sperperi, basata sul lusso, è spesso legata all'utilitarismo.
Il poeta sembra quindi vivere un'esistenza noncurante della realtà e dei
sentimenti altrui.
Il Piacere
Durante gli anni 80
l'estetismo di D'Annunzio diventa preponderante anche nelle sue opere: è il
periodo di pubblicazione de Il Piacere.
Il romanzo prende spunto dal realismo ottocentesco, c'è l'ambizione di creare
un quadro sociale con aristocratici oziosi e corrotti, ma soprattutto l'autore
mira a costruire un romanzo psicologico in cui contano i processi interiori del
protagonista, Andrea Sperelli.
Questi è "Impregnato d'arte", l'alter ego letterario di D'Annunzio, tipico
dandy che non segue le regole della società, ma basa la sua vita sul culto del
bello.
Nell'opera l'arte è il modello di vita, cui tutto il resto è subordinato.
"Bisogna fare la propria vita come si fa un'opera d'arte [.]. La volontà aveva ceduto lo scettro agli istinti; il senso estetico aveva sostituito il senso morale. Codesto senso estetico [.] gli manteneva nello spirito un certo equilibrio. [.] Gli uomini che vivono nella Bellezza, [.] conservano sempre, anche nelle peggiori depravazioni, una specie di ordine. La concezion della Bellezza è l'asse del loro essere interiore, intorno a cui tutte le loro passioni ruotano".
Andrea scopre ben presto che l'unico amore possibile è proprio quello nei confronti dell'arte, "fonte della gioia pura, vietata alle moltitudini, concessa agli eletti; il prezioso alimento che fa l'uomo simile a Dio", il cui culto diventa per il protagonista l'unica ragione di vita, che condiziona anche i suoi rapporti con le donne (Elena Muti e Donna Maria Ferres).
Messo da parte
l'atteggiamento raffinato quasi in maniera patologica, l'accostamento di arte e
vita è una risposta nei confronti della massificazione dell'arte e la
mercificazione del letterato e della letteratura.
Il Piacere è l'agonia dell'ideale aristocratico di bellezza: viene
raccontata la decadenza della società aristocratica vicina al proprio
annichilimento morale, poiché il valore del profitto ha sostituito quello della
bellezza.
È evidente la corruzione morale del protagonista, tipica del dandy, che egli stesso vive con intima
sofferenza, dovuta alla degradazione della sua personalità, incapace di
scegliere e di godere appieno il piacere, sempre destinato al fallimento,
soprattutto in amore.
Ecco che compare nuovamente il tema della crisi dei valori e degli ideali
aristocratici a causa della violenza del mondo borghese.
Emblematica è la fine del romanzo: Andrea, vinto, disfatto dalle proprie
avventure amorose, vaga per le antiche stanze del palazzo del ministro del
Guatemala, disabitato, in rovina, il cui arredamento è stato venduto all'asta.
D'Annunzio compone l'opera nel periodo di crisi dell'estetismo in cui si rende conto della debolezza della figura dell'esteta. Andrea è ciò che D'Annunzio è e che vorrebbe essere, poiché impersona le sue esperienze effettive e quelle aspirate, è nobile e ricco, intellettuale e seduttore, a tratti timido o cinico come Don Giovanni, accede facilmente ai ritrovi mondani e ai salotti della nobiltà. In realtà il D'Annunzio narratore critica l'anima camaleontica del protagonista, la sua falsità; il personaggio si scinde, infatti, in ciò che è internamente e ciò che deve essere in realtà, in ciò che è e ciò che vorrebbe essere.
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