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G. Leopardi - La silenziosa sottomissione della ginestra alle leggi di natura




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G. Leopardi - La silenziosa sottomissione della ginestra alle leggi di natura



La Ginestra o fiore del del deserto è praticamente il testamento spirituale di Leopardi. Nella canzone si parla della coraggiosa e allo stesso tempo fragile resistenza, che la ginestra oppone alla lava del Vesuvio, il monte sterminatore, simbolo della natura crudele e distruttiva. Il delicato fiore coraggiosamente risorge sulla lava impietrata, e con la fragranza dei suoi arbusti sembra rallegrare queste lande desolate. Ma il suo destino è tragicamente segnato da una nuova eruzione, capace di annullare non solo la sua consolante presenza ma - ben più drammaticamente - la presenza dell'uomo in questi luoghi. La ginestra diviene simbolo della condizione umana.


Dunque la vera rivolta, la vera lotta che l'uomo deve ingaggiare è contro la natura crudele che non esita a devastare ogni opera umana con la sua inarrestabile forza. Nell' eterno impari confronto con la natura l'uomo deve avere ben presente la sua debolezza, ma anche la sua dignità. Non deve essere né arrogante né supplice, ma dignitosamente pronto a farsi da parte quando lo strapotere delle forze di natura lo opprima. Prima di quel momento deve consorziarsi con i suoi simili per affrontare  i dolori della sua condizione, sostenuto dalla solidarietà dei suoi simili.


Il concetto di ribellione, di rivolta e di lotta contro gli elementi che necessariamente condizionano il destino umano ( contrassegnato dal dolore ) è da Leopardi ricondotto ad una meditazione filosofica - di carattere pessimistico - sulla pochezza del sapere ottocentesco.  E' inutile pensare di imbrigliare la natura e di sconfiggerla con le armi del progresso e della tecnica. Essa sarà sempre più forte dell'uomo. Anche la religione dà scarse vie d'uscita alla disperante insignificanza della natura umana e la speranza nell'aldilà provvidenziale cristiano è solo una sciocca e vile illusione per Leopardi. Non certo una certezza consolante come per Manzoni.



La ginestra o il fiore del deserto


Qui su l'arida schiena

del formidabil monte

sterminator Vesevo,

la qual null'altro allegra arbor né fiore,

tuoi cespi solitari intorno spargi,

odorata ginestra,

contenta dei deserti. Anco ti vidi

de' tuoi steli abbellir l'erme contrade

che cingon la cittade

la qual fu donna de' mortali un tempo,

e del perduto impero

par che col grave e taciturno aspetto

faccian fede e ricordo al passeggero.


Or ti riveggo in questo suol, di tristi

lochi e dal mondo abbandonati amante,

e d'afflitte fortune ognor compagna.

Questi campi cosparsi

di ceneri infeconde, e ricoperti

dell'impietrata lava,

che sotto i passi al peregrin risona;

dove s'annida e si contorce al sole

la serpe, e dove al noto

cavernoso covil torna il coniglio;

fur liete ville e colti,

e biondeggiàr di spiche, e risonaro

di muggito d'armenti;

fur giardini e palagi,

agli ozi de' potenti

gradito ospizio; e fur città famose

che coi torrenti suoi l'altero monte

dall'ignea bocca fulminando oppresse

con gli abitanti insieme. Or tutto intorno

una ruina involve,

dove tu siedi, o fior gentile, e quasi

i danni altrui commiserando, al cielo

di dolcissimo odor mandi un profumo,

che il deserto consola. A queste piagge

venga colui che d'esaltar con lode

il nostro stato ha in uso, e vegga quanto

è il gener nostro in cura

all'amante natura. E la possanza

qui con giusta misura

anco estimar potrà dell'uman seme,

cui la dura nutrice, ov'ei men teme,

con lieve moto in un momento annulla

in parte, e può con moti

poco men lievi ancor subitamente

annichilare in tutto.

Dipinte in queste rive

son dell'umana gente

le magnifiche sorti e progressive .


Qui mira e qui ti specchia,

secol superbo e sciocco,

che il calle insino allora

dal risorto pensier segnato innanti

abbandonasti, e volti addietro i passi,

del ritornar ti vanti,

e procedere il chiami.

Al tuo pargoleggiar gl'ingegni tutti,

di cui lor sorte rea padre ti fece,

vanno adulando, ancora

ch'a ludibrio talora

t'abbian fra sé. Non io

con tal vergogna scenderò sotterra;

ma il disprezzo piuttosto che si serra

di te nel petto mio,

mostrato avrò quanto si possa aperto:

ben ch'io sappia che obblio

preme chi troppo all'età propria increbbe.

Di questo mal, che teco

mi fia comune, assai finor mi rido.

Libertà vai sognando, e servo a un tempo

vuoi di novo il pensiero,

sol per cui risorgemmo

della barbarie in parte, e per cui solo

si cresce in civiltà, che sola in meglio

guida i pubblici fati.

Così ti spiacque il vero

dell'aspra sorte e del depresso loco

che natura ci diè. Per questo il tergo

vigliaccamente rivolgesti al lume

che il fe' palese: e, fuggitivo, appelli

vil chi lui segue, e solo

magnanimo colui

che sé schernendo o gli altri, astuto o folle,

fin sopra gli astri il mortal grado estolle.

Uom di povero stato e membra inferme

che sia dell'alma generoso ed alto,

non chiama sé né stima

ricco d'or né gagliardo,

e di splendida vita o di valente

persona infra la gente

non fa risibil mostra;

ma sé di forza e di tesor mendico

lascia parer senza vergogna, e noma

parlando, apertamente, e di sue cose

fa stima al vero uguale.

Magnanimo animale

non credo io già, ma stolto,

quel che nato a perir, nutrito in pene,

dice, a goder son fatto,

e di fetido orgoglio

empie le carte, eccelsi fati e nove

felicità, quali il ciel tutto ignora,

non pur quest'orbe, promettendo in terra

a popoli che un'onda

di mar commosso, un fiato

d'aura maligna, un sotterraneo crollo

distrugge sì, che avanza

a gran pena di lor la rimembranza.


Nobil natura è quella

che a sollevar s'ardisce

gi occhi mortali incontra

al comun fato, e che con franca lingua,

nulla al ver detraendo,

confessa il mal che ci fu dato in sorte,

e il basso stato e frale;

quella che grande e forte

mostra sé nel soffrir, né gli odii e l'ire

fraterne, ancor più gravi

d'ogni altro danno, accresce

alle miserie sue, l'uomo incolpando

del suo dolor, ma dà la colpa a quella

che veramente è rea, che de' mortali

madre è di parto e di voler matrigna.

Costei chiama inimica; e incontro a questa

congiunta esser pensando,

siccome è il vero, ed ordinata in pria

l'umana compagnia,

tutti fra sé confederati estima

gli uomini, e tutti abbraccia

con vero amor, porgendo

valida e pronta ed aspettando aita

negli alterni perigli e nelle angosce

della guerra comune. Ed alle offese

dell'uomo armar la destra, e laccio porre

Al vicino ed inciampo,

stolto crede così qual fora in campo

cinto d'oste contraria, in sul più vivo

incalzar degli assalti,

gl'inimici obbliando, acerbe gare

imprender con gli amici,

e sparger fuga e fulminar col brando

infra i propri guerrieri.

Così fatti pensieri

quando fien, come fur, palesi al volgo,

e quell'orror che primo

contra l'empia natura

strinse i mortali in social catena,

fia ricondotto in parte

da verace saper, l'onesto e il retto

conversar cittadino,

e giustizia e pietade, altra radice

avranno allor che non superbe fole,

ove fondata probità del volgo

così star suole in piede

quale star può quel ch'ha in error la sede.

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