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Le premesse più importanti su cui le parti concordano sono che lo Stato abbia il compito di difendere i singoli individui e la comunità[1], sulla la necessaria punizione del colpevole e sulla necessità che una punizione possa servire da deterrente per un'altra azione illecita contro la società. Inoltre le parti si trovano concordi sul fatto che la pena è un male che interviene come reazione morale e giuridica al male che è sta commesso con il reato alla cui gravità è proporzionato in modo da essere non una vendetta ma un castigo morale .
Il principale motivo che spinge all'approvazione della pena di morte è la convinzione che essa funga da deterrente per il reato in questione. Ad una prima analisi puramente teorica solo questa motivazione sembra riuscire a mantenere in piedi tutto il pensiero pro-pena di morte, ma in verità, come affermato dal prof. Roger Hood (direttore del centro di ricerca sulla criminologia dell'università di Oxford), non esistono prove della deterrenza della pena di morte. La tesi del professor Hood è inoltre supportata da dati statistici forniti dai più importanti organi giudiziari americani.
Come seconda maggiore motivazione pro-pena di morte, c'è la soddisfazione del risentimento dei parenti delle vittime che eliminerebbe la tentazione di vendette private. Ma se questo fosse il vero motivo, le due modalità (la vendetta privata e la pena di morte) non portano allo stesso risultato, cioè la morte del reo?
Inoltre i sostenitori della pena capitale affermano che l'eliminazione definitiva del delinquente eviterebbe poi il ripetersi di altri reati da parte dello stesso che, pur condannato, per condoni o altri meccanismi forniti dalla legge, potrebbe essere liberato. Allora se si mette la questione su questo piano diventa un problema di legislazione e quindi non del condannato. Così, stando alla tesi della parte pro-pena, il criminale dovrebbe pagare per gli errori commessi da altri che, errando l'analisi dei fatti, lo potrebbero scarcerare.
In accordo, poi, con le premesse e con il senso comune si vorrebbe applicare la pena di morte solo in casi estremi cioè quando si ha la "matematica certezza" della colpevolezza dell'imputato. In questo modo si ha piena fiducia e quindi, in pratica, si ammette la "perfezione" del proprio sistema giudiziario e giuridico, falsando quindi la tesi precedente secondo la quale la legge non è in grado, senza la pena di morte, di punire un condannato,evitando che egli ripeta il crimine . Più semplicemente si affermerebbe una bella utopia: che la legge fosse perfetta e indirettamente che il giudizio finale non dipenda affatto dalla bravura dell'avvocato.
Anche questo tesi è supportata da dati statistici, infatti dal 1973 al 1995 (solo negli Stati Uniti) più di due terzi delle sentenze di morte sono state commutate in appello "a causa degli errori con cui sono stati condotti i casi o le indagini"[4]-
Come afferma John Locke, ogni uomo possiede dei diritti "naturali" inalienabili (riproposto anche dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 12 dicembre 1948 firmata dai membri delle Nazioni Unite e della Società delle Nazioni), cioè quelli di libertà, vita ed autodifesa. Egli, per evitare faide e vendette sommarie, consegna allo Stato solo quello di autodifesa e lo Stato però deve impegnarsi a difendere ogni singolo cittadino. Questo è quello che si chiama "contratto sociale". Insito in questa tesi c'è già la proibizione della "morte legale" ma per i sostenitori della pena capitale lo Stato deve comunque, anche scavalcando il contratto sociale, proteggere la comunità da individui socialmente pericolosi. Se si permette, però, allo Stato di effettuare la violazione del contratto sociale (in questo caso per Locke ci sono i presupposti per una rivoluzione) niente gli impedirebbe in futuro di toglierci gli altri diritti. Quindi, citando il Beccaria,
"quale può essere il diritto che si attribuiscono gli uomini di trucidare i loro simili?" ed inoltre "come mai nel minimo sacrificio delle libertà (democrazia) di ciascuno vi può essere quello del massimo tra tutti i beni, la vita?"[6].
Dal punto di vista cattolico-cristiano è noto che nella Bibbia ci sono riferimenti a punizioni che assomigliano alla pena di morte ma e noto anche che il personaggio più importante dell'intero universo cristiano, Gesù, fu condannato ingiustamente a morte. Nell'episodio di Gesù, infatti, quando il "presunto" reo, muore ed avvengo episodi soprannaturali un centurione romano confessa lo sbaglio e con esso l'impossibilità di rimediare. Anche nella recente enciclica "Evangelium Vitae" il pontefice Giovanni Paolo II afferma che "sono praticamente inesistenti i casi in cui le società si debbano difendere dal crimine applicando la pena di morte". Nella stessa enciclica egli afferma, giustificando il fatto che la Bibbia consentisse una così atroce punizione, che i mezzi a disposizione degli stati contemporanei consentono loro di combattere la criminalità senza ricorrere alla pena capitale, e per questo i casi estremi in cui essa veniva ammessa dalla Chiesa si riducono a zero.[7]
Per evitare conclusioni con moralismi inutili e a volte falsi vi lascio con una frase che mi ha fatto riflettere: nel 1968 un uomo per la prima volta portò l'umanità sulla Luna. Nel 1998 1600 uomini sono morti, uccisi "legalmente".
James Liebman- prof. alla facoltà di legge della Columbia University tratto da: Emengency n°17 Agosto 2000
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