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Francesco petrarca - vita, il classicismo di petrarca, le epistole, il bucolicon carmen, il conflitto interiore, le opere morali, le opere polemiche




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FRANCESCO PETRARCA








Nell'opera di Dante si manifestano ancora motivi tipici della tarda cultura medievale, motivi che nel secolo successivo si orienteranno verso nuovi sbocchi e nuove soluzioni, ma già in Petrarca fa la sua apparizione un mondo nuovo in cui si delineano i caratteri distintivi dell'età moderna.

Per la prima volta si avverte profondamente nel pensiero medievale la crisi italiana ed europea: la società di Petrarca è una società che si avvia alla ricerca di un nuovo equilibrio, mediante il quale l'uomo possa assolvere al suo compito di cittadino del cielo e della terra. Il travaglio che tale passaggio dall'antico al nuovo comporta  si estrinseca nelle opere del Poeta che, pur nelle inevitabili alterazioni e deformazioni, costituirà il modello esemplare per i letterati posteriori, sia italiani che europei.










1 Vita




Francesco Petrarca nacque ad Arezzo il 20 luglio del 1304, da ser Petracco, notaio fiorentino, esule perché di parte guelfa. Trascorsa la sua infanzia ad Incisa in Valdarno, poi a Pisa, seguì suo padre ad Avignone, dove aveva trovato lavoro presso la corte pontificia.

Qui sotto la guida di Convenevole da Prato, iniziò i primi studi di grammatica e retorica. A tredici anni iniziò a frequentare l'università di Montpellier, a sedici quella di Bologna per compiere gli studi legali a cui il padre lo aveva destinato, ma a cui preferiva quelli letterari.

A Bologna conobbe ed apprezzò Cino da Pistoia e strinse amicizia con la famiglia Colonna, tanto che il cardinale Giovanni lo nominò in seguito suo segretario e in tale vesti poté compiere numerosi viaggi in Europa (Francia, Belgio, Germania, Italia); egli fu quindi distaccato dalla vita comunale e più aperto ad interessi europei.

In tali viaggi Petrarca si dedicò alla ricerca delle opere di scrittori latini, dimenticate per secoli nelle polverose biblioteche dei conventi. Nel 1326 si stabilì definitivamente ad Avignone e prese gli ordini ecclesiastici minori, che gli assicurarono, per mezzo di alcune prebende , quell'agiatezza economica da lui desiderata per attendere in pace agli studi ed alla poesia, specialmente in seguito alle ristrettezze economiche affrontate dopo la morte del padre (suo fratello Gherardo si fece più tardi monaco).

L'avvenimento più importante in tale periodo fu l'incontro con Laura, gentildonna avignonese di cui non si sa nulla di certo, anche se è stata da molti identificata con una certa Laura de Noves, maritata ad Ugo de Sade.

Il Petrarca stesso ha precisato i termini della durata di tale amore, che non fu impetuoso, ma tenace ed indimenticabile: egli la conobbe nel 1327 "il giorno 6 aprile nella chiesa di Santa Chiara, su l'ora prima"; ella morì per peste nel 1348, stessa ora, giorno e mese.

Il suo desiderio di vedere Roma fu appagato nel 1337, grazie all'ospitalità dei Colonna. Gli antichi monumenti destarono la sua ammirazione, ma lo stato di abbandono in cui versavano gli dettò forti parole di sdegno, tanto che al ritorno sentì il bisogno di un luogo solitario che offrisse pace e ristoro al suo spirito.

Si ritirò così a Valchiusa, presso Avignone, e questo divenne il suo rifugio, il luogo dove trascorse lunghi anni, seppure ad intervalli. Lì gli giunse nel 1340 l'invito a cingere il lauro poetico sia dall'Università di Parigi che dal Senato di Roma. Optò per quest'ultima città dove, l'8 aprile del 1341, giorno di Pasqua, ricevette in Campidoglio dalle mani del senatore Orso dell'Anguillara la corona poetica, che egli depose poi, in segno di umiltà e distacco, in S. Pietro, sulla tomba dell'apostolo.

Rimase ancora un anno in Italia, presso Azzo di Coreggio, signore di Parma; nei dintorni della città, a Selvapiana, portò a compimento il poema Africa.

Tornò in Italia nel 1343, come ambasciatore del papa Clemente VI presso Giovanna I di Napoli; soggiornò poi  a Parma. Nel '47 si rimise in viaggio verso Roma, attrattovi dall'ambizioso sogno di Cola di Rienzo, il quale voleva restituire la città eterna al suo antico splendore ed alla sua missione di guida spirituale del mondo. Il poeta credette di ravvisare in Cola di Rienzo colui che, restaurando l'antica repubblica romana, avrebbe attuato il sospirato rinnovamento del mondo, sotto la guida di Roma. Ma giunto a Genova seppe del fallimento dell'impresa e andò peregrinando nell'Italia settentrionale.

L'anno seguente gli giunse notizia della morte di Laura; nel suo immenso dolore sentì il bisogno di tornare a Valchiusa, dove rimase altri due anni, portando a compimento alcune opere.

Già nel 1353 però salutava la sua diletta patria e si stabiliva definitivamente in Italia, dapprima a Milano (presso l'arcivescovo Giovanni Visconti), poi a Padova, per sfuggire alla pestilenza che si stava diffondendo nella Pianura Padana. Nel '62 fu ospite del Senato a Venezia; visse in un palazzo sulla riva degli Schiavoni e s'impegno in compenso a lasciare in eredità la sua preziosa biblioteca alla Repubblica (cosa che per altro non avvenne per ragioni ignote).

Nel 1368 tornò a Padova ospite di Francesco Carrara. Tra Padova ed Arquà, sui colli Euganei, (insieme a sua figlia e al genero) trascorse gli ultimi anni della sua esistenza.

Morì il 19 luglio 1374 ad Arquà; la leggenda vuole che morendo reclinasse il capo su un codice di Virgilio, fissando in un'immagine simbolica la conclusione di una vita dedicata alla poesia e allo studio dell'antichità.





















2 Il Classicismo di Petrarca.

Le Opere Storiche






In una delle sue epistole, quella rivolta ai posteri, il Petrarca affermò: "Mi dedicai singolarmente a conoscere il mondo antico, giacche questa età presente a me è sempre dispiaciuta".

Il passato fu infatti per lui uno solo il mondo antico, la classicità. Abbiamo già visto con quale dedizione ed amore si occupasse della ricerca di antichi testi di autori latini spesso dimenticati, che egli poi copiò o fece copiare da amanuensi, quando non fosse stato possibile acquistarli direttamente.

Egli fu tra i primi a raccogliere e confrontare diversi codici di un'opera, in modo tale da ricostruire esattamente il testo originale, epurato dei grossolani errori dei copisti e delle corruzioni dovute al tempo

Nacque così con lui la moderna critica filologica che tanta parte ebbe poi, nel secolo successivo, nella ricostruzione storica, grammaticale, archeologica, delle civiltà antiche

Ma il Petrarca si rese conto che per conoscere il passato sarebbe stato necessario penetrare nell'anima degli scrittori latini: alla letteratura latina egli si accostò allora con animo nuovo, per scoprire se stesso, l'uomo, nelle opere degli antichi scrittori

All'accusa rivoltagli di aver attribuito ad un pagano sentimenti cristiani (nel descrivere la morte di Magone, personaggio dell'"Africa") egli rispose: "In nome di Dio, domando io loro, quale parola si trova in quei versi che proprio s'abbia a dire solo dei cristiani, e non piuttosto di tutti gli altri uomini e di tutte le nazioni? Il piangere, il dolersi, il pentirsi non sono cose naturali ad ognuno che s'appressa alla morte?" (Sen.II, 1)

Egli afferma così l'universalità dei sentimenti umani, e l'uguaglianza dell'animo umano, nonostante le differenze di tempo e di luogo. Da tale concezione alla rivalutazione dell'uomo in un rapporto equilibrato tra divino e terreno, il concetto fulcro dell'Umanesimo, il passo è breve/ in tal senso Petrarca si distingue per essere il più illustre precursore.

Nel primo momento della sua attività letteraria egli rivolse il suo interesse alle gloriose imprese romane: nacquero così le sue opere storiche l'Africa, il De viris illustribus, e Rerum memorandarum libri (tutte in latino).

Dall'Africa (poema di nove libri in esametri , incompiuto) emerge il culto per la vigorosa personalità morale, ma il racconto è dominato dal concetto di grandezza e potenza romana, celebrata attraverso le gesta di Scipione l'Africano nell'ultima  fase della seconda guerra punica.

Il trionfo della civiltà latina sulle barbarie non è però limitato a tale guerra sconfinando in un tempo anteriore e posteriore alla battaglia di Zama.

Al centro dell'opera vi è quindi, più che un eroe, un'idea storica, ma la passione per l'esatta ricostruzione storica (che il Petrarca avvertiva come modo di guardare il passato) impedisce la trasfigurazione poetica dei fatti.

Lo stesso autore se ne rese conto e non si decise mai a pubblicare il poema che, composto tra il 1338 e il '41, fu più volte ritoccato senza peraltro giungere ad una stesura definitiva. Solo quando il poeta epico però si sostituì il poeta lirico, allora scaturirono indimenticabili immagini poetiche tra le più famose, come il lamento di Magone e gli infelici amori di Massinissa e Sofonisba.

Il De viris è un'ampia opera storica, che nel disegno primitivo sarebbe dovuta iniziare da Adamo, ma che si ridusse via via in proporzioni e mutò il fine generico in quello più circoscritto di esaltazione della romanità.

In tutto furono composte ventitré vite di illustri personaggi romani, cui si aggiunse, forse negli ultimi anni, una vasta biografia di Cesare.

Si traccia così una storia di Roma, attraverso una serie di biografie. Il fatto nuovo è che nella prefazione viene spiegato l'intendimento di raccogliere le notizie da varie fonti, accostandole tra loro.

Ha così inizio il criticismo storico moderno, che contrasta con la concezione medievale della storiografia

Conserva invece lo schematismo medievale un'altra opera storica, anch'essa incompiuta il Rerum memorandarum libri; essa sarebbe dovuta risultare un'ampia raccolta di aneddoti ed episodi storici, raggruppati secondo le quattro virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza), allo scopo di mettere in luce la propria erudizione storica e trarne un ammaestramento per i lettori. gli esempi sono tratti quasi esclusivamente dalla storia romana; il Petrarca si sofferma inoltre sulle vicende interiori dei singoli personaggi.

Forse perché ritenuta dall'autore inferiore alle proprie aspettative l'opera fu interrotta alla "Prudenza"; è  petrarchesco il concetto dell' "otium", inteso come raccoglimento dell'anima che con lo studio alimenta l'amore della virtù.






3 Le Epistole, Il Bucolicon Carmen






Se Dante aveva creduto di essere investito della missione di giudice e guida dell'umanità, Petrarca creò attorno a sé il mito del letterato che si fa interprete della saggezza antica. Forte quindi del suo studio egli dispensa consigli, rivolge moniti, pronunzia condanne

Esemplari di tale atteggiamento sono le numerose lettere che dal 1325 (data più antica a noi pervenuta) accompagnano la vita del poeta.

Pochi letterati ci hanno così diffusamente parlato di sé come il Petrarca nelle sue epistole, e nel tempo stesso ci hanno lasciato testimonianze così incerti sui fatti più importanti della propria vita. Per lui infatti è l'epistola non aveva il valore di sfogo o confidenza, ma era una vera e propria opera d'arte; spesso quindi i fatti e i sentimenti vengono alterati dall'autore nell'intento di rimanere fedele ad un'immagine ideale di sé. Attorno al 1345 (o forse 1349), avvertendo il declino della vita, volle raccogliere e riordinare le sue lettere. Nacque così la raccolta denominata Epistolae Familiares, che si arricchì di nuove lettere fino a ventiquattro libri, dedicati a Ludovico di Kempen, un suo amico fiammingo .

Nel 1361 formò una raccolta delle lettere posteriori, raccolta di diciassette libri che chiamò Seniles

Un altro gruppo di venti lettere fu denominato  Sine Nomine, ossia anonime, perché senza destinatari per l'argomento che trattano (la corruzione della curia avignonese) e per il tono d'invettiva, che avrebbero potuto compromettere le persone a cui fossero indirizzate. Sotto il nome di Variae vanno poi altre lettere raccolte dagli ammiratori; si tratta della prima redazione di alcune epistole poi inserite nelle altre raccolte o di epistole che non erano entrate in nessuna raccolta.

Merita attenzione l'epistola "Alla Posterità", con cui avrebbe dovuto trovare conclusione le Senili; con essa il Petrarca voleva affidare ai posteri, più che il racconto della propria vita, l'immagine ideale di sé; essa non fu mai portata a termini.

A quelle in prosa vanno aggiunte le 66 Epistole Metriche, scritte in esametri, tra il 1331 ed il 1361, divisa in tre libri e dedicate all'amico Marco Barbato di Sulmona. di argomento autobiografico, spesso richiamavano le note situazioni psicologiche del Canzoniere (quella del I libro, ad esempio, dedicate a se stesso).

Tra le più note quella che contiene il saluto alla patria dall'alto del Monginevro e quella rivolta a Giacomo Colonna, in cui parla dell'ossessionante ricordo dell'amata, che lo tormenta anche nella solitudine del suo rifugio montano.

L'importanza delle epistole sta, oltre che nella dimostrazione dell'abilità dell'autore nell'uso del latino, ma anche, nel fatto che in essa giunge eco delle vicende storiche d'Italia e d'Europa rivissute attraverso l'acuta sensibilità e il giudizio morale dell'Autore, che vi esprime inoltre i propri sogni di gloria e le proprie inquietudini spirituali. Inferiori come contenuto lirico, ma superiore per assetto formale e rielaborazione stilistica, è il Bucolicon Carmen, opera da cui traspare la pura esercitazione letteraria del Petrarca. L'opera si compone di dodici egloghe latine in esametri, in cui si commentano eventi contemporanei come la guerra tra Francia ed Inghilterra, o ancora motivi autobiografici. Rientra nel genere allegorico pastorale, su imitazione dell'egloga Virgiliana, ma il velo allegorico è spesso così oscuro da risultare impenetrabile se non ci soccorresse un'interpretazione lasciataci dal poeta (o forse da un suo amico).











4 Il Conflitto Interiore. Le Opere Morali






La modernità del Petrarca è attestata dalla posizione da lui assunta di fronte alla filosofia e in genere alla scienza medievale. Egli introduce il dubbio come mezzo per giungere alla verità, da lui costantemente ricercata  rivendicando la libertà dello spirito e approfondendo la conoscenza dell'uomo

Ad Aristotele, di cui rifiuta il principio di autorità su cui si fondano i sistemi filosofici della sua età, contrappone Cicerone, per la sua umana sapienza, e Platone, per le sue dottrine straordinariamente vicine al dogma cristiano. Nell'uno e nell'altro egli vede due maestri di virtù.

Il suo atteggiamento filosofico lo distacca dal Medioevo, ma non consente nuove soluzioni: la vecchia scienza è ormai superata e non soddisfa le sue esigenze terrene e spirituali. della nuova egli anticipa è vero importanti concetti, tuttavia essa è ancora vaga ed incerta. L'unica a dargli conforto è allora la fede religiosa, che viene a contrapporsi all'ardore umanistico, alle aspirazioni terrene.

Egli vorrebbe dedicare la sua esistenza all'ideale cristiano, vorrebbe staccarsi dalla terra e scacciare il male, ma invano. Allora scruta il suo animo, ha coscienza dei sentimenti che si agitano in lui e sente il bisogno di confessare, a sé e agli altri, le sue debolezze terrene e i suoi slanci religiosi, non riuscendo mai peraltro a trovare un armonico equilibrio tra anima e corpo, cielo e terra, contingente ed eterno.

Tale problema, che già Dante aveva a suo modo risolto, in Petrarca resta quindi insoluto.

Interessanti sotto questo aspetto, anche se rappresentano dei semplici episodi della vita spirituale del poeta, sono i trattati religiosi: il De vita solitaria, in cui si elogia la solitudine come mezzo per giungere alla perfezione morale e intellettuale, per giungere cioè alla libertà interiore dalle cure del mondo, senza però misconoscere il valore della vita attiva al servizio della società; il De otio religioso, di ispirazione ascetica (scritto dopo una visita al fratello Gherardo nel monastero certosino di Montrieux), in cui la vita monastica viene vista come rifugio ai mali e alle angosce della vita; il De remedii utriusqe fortanae trattato morale in cui l'autore tenta di insegnare come si debba resistere alla fortuna, sia essa buona o cattiva. quest'ultimo ebbe poi grande diffusione in età rinascimentale, quando gli autori rivelarono particolare sensibilità a tale tema.

I diversi atteggiamenti spirituali, presenti nelle opere minori, confluirono nel Secretum meum o De secreto conflictu curarum mearum, primo esempio di una profonda e acuta analisi psicologica delle proprie passioni. Si tratta di un'opera in cui la vita morale è esplorata nella concreta esperienza personale del poeta, il cui animo è combattuto tra l'attrazione dei beni terreni e la consapevolezza razionale e cristiana della loro vanità.

Il Secretum si riallaccia alle Confessioni di S. Agostino.  Composto a Valchiusa tra il 1342 ed il '43 non era destinato alla pubblicazione, né al conseguimento della gloria che egli attendeva da opere "ben maggiori".

L'opera si svolge nella finzione allegorica di tre colloqui (o meglio un colloquio che si protrae per tre giorni) tra il poeta e Sant'Agostino, alla presenza di una donna luminosa (la verità).

Tale finzione ha ancora di per sé elementi medievali, Sant'Agostino rappresenterebbe un altro volto del Petrarca dell'uomo cioè che, avendo superato la violenza delle passioni umane, riascolta le argomentazioni della ragione e ritrova rifugio nella fede; quindi forte della libertà morale riacquistata, giudica e condanna severamente. L'altro non può far altro che ascoltare umilmente, sperando di liberarsi dalle proprie colpe, cui però in realtà si aggrappa perché sono le ragioni della sua esistenza terrena, la fonte dei suoi sogni poetici e di quel tormento interiore da cui non può staccarsi perché parte integrante della sua anima. Petrarca mette a nudo il suo spirito, nel più profondo tentativo d'introspezione mai compiuto prima di lui. Anche la scelta di Agostino è significativa, al travaglio interiore corrisponde infatti anche un travaglio culturale: il travaglio di Agostino era frutto del tormentato passaggio dalla civiltà classica a quella cristiana; quello del Petrarca rispondeva all'esigenza di rendere operante il pensiero cristiano, informandolo ad un nuovo concetto di classicità.

Nella prima giornata l'argomento centrale è l'infelicità del poeta, originata dall'assenza di una ferma volontà di liberarsi del peccato; nella seconda giornata vengono presi in esame i vizi che catturano il suo animo, superbia, cupidigia, lussuria, ambizione e soprattutto accidia, nella terza giornata S. Agostino gli rimprovera il desiderio di gloria e l'amore per Laura, considerate le più segrete e gravi colpe del poeta. Petrarca giustifica l'amore per Laura col motivo stilnovistico che l'amore di donna lo avvicina a Dio, ma Agostino gli svela che in realtà egli ama Dio proprio in grazia di Laura.

Quanto alla gloria egli riconosce di faticare a distaccarsene, ma chiede che gli sia concesso di finire l'Africa, opera che celebra le virtù dell'eroe romano.






5 Le Opere Polemiche





Testimonianza della sua personalità e del suo orientamento culturale sono anche alcune opere polemiche, sempre in latino. Vanno menzionate le Invectivae contra medicum, contro un medico di papa ClementeVI e l' Invectiva contro un cardinale, che aveva parlato male di lui presso il pontefice: essa inizia un genere, contro i nemici personali, molto coltivato poi dagli umanisti.










6 Il Canzoniere




Il Petrarca aveva sperato di raggiungere la gloria con le opere latine, furono invece quelle volgari a suscitare l'ammirazione nel corso dei secoli. La raccolta delle rime, a cui i posteri diedero il titolo di Canzoniere ci è stata conservata in un codice della Biblioteca Vaticana, in parte autografo, che contiene 366 composizioni, di cui 317 sonetti, 29 canzoni, 9 sestine, 7 ballate, 4 madrigali. Il poeta stesso le scelse e le riordinò nel suddetto codice, cui appose il titolo di Rerum volgarium Fragmenta

Il criterio dell'ordinamento non è quello cronologico del tempo in cui le rime furono scritte, ma quello delle situazioni spirituali cui le rime si riferiscono, per cui esse compongono una sorta di diario dell'anima del poeta, dal primo momento di un amore, quello per Laura, fino all'invocazione alla vergine affinché accolga il suo ultimo respiro in pace

La partizione tradizionale del Canzoniere, e la più accettata, è quella di Rime in vita e Rime in morte di madonna Laura (creata in realtà dagli editori

Più che all'unità esteriore, è necessario rivolgere l'attenzione all'interiore unità poetica dell'opera. Essa non è la storia di un amore terreno che si esaurisce con la morte dell'amata, ma è la storia di ogni amore, di un sentimento durato una vita.

Attraverso le rime non è infatti possibile ricostruire in maniera precisa la storia di Francesco e Laura: vi sono pochi accenni concreti a luoghi, cose ed avvenimenti

Vi è una enorme varietà di situazioni psicologiche da cui emergono tutti gli stati d'animo e il travaglio interiore del poeta. Dalla complessità di tale quadro è da ricercarsi la ragione dell'appellativo di "fragmenta", dato dal poeta alle liriche che compongono il Canzoniere; esse sono infatti momenti a sé stanti ma la frammentarietà viene superata da un'unità più vasta e complessa che ha nome lirismo e che si estrinseca nel coordinamento, in un unico vasto quadro, di particolari e soggettivi momenti psicologici.

Chiaramente al centro del Canzoniere sta Laura, donna viva e reale, che ha preso la rigidezza delle figure femminili della poesia provenzale e siciliana e il misticismo delle donne angelicate degli stilnovisti. sulle sue bellezze corporee infatti il poeta si sofferma spesso, attorno a lei la natura s'inchina in omaggio a tanta perfezione terrena e si nobilita della sua presenza: erba e fiori bramano di essere calpestati da lei, acqua e aria sono ansiose di avvolgerne le "belle membra", una miriade di petali colorati scendono dagli alberi e ne completano il trionfo ("Chiare fresche e dolci acque").

Se però nelle rime in vita essa appare silenziosa e lontana, come un ritratto, come un sogno, nelle rime in morte diviene ancora più reale, si anima, conversa con il poeta, gli appare in sogno a consolarlo, lo prende per mano e si siede alla sponda del suo letto, giustificando l'onesto ritegno degli anni terreni e parlandogli delle speranze eterne; essa ha insomma una sua vita interiore che la rende più donna.

Egli s'illude allora di scoprire in Laura la vera perfezione e grandezza morale atte a guidarlo al Sommo Bene, in realtà continua a considerarla unico oggetto della sua felicità; essa non è il tramite per il Creatore, ma lo splendore del creato.

Se Beatrice aveva sollevato Dante a Dio, Laura concentra in sé la potenza creatrice di Dio

Domina ovunque la memoria, il ricordo dei giorni lontani dei luoghi.

Il sonetto d'introduzione, " Tra le vane speranze è il van dolore" segna il tema dominante della poesia petrarchesca: la coscienza della vanità delle speranze del poeta, perché il suo amore non potrà mai essere corrisposto e la morte di lei lo priverà persino della speranza di una virtuosa amicizia. Ma vano è anche il dolore, perché la felicità terrena è ingannevole, è dissipazione di energie spirituali che potevano essere impiegate in più nobili imprese che avrebbero lasciato di sé "non bassi esempi".

Non tutte le rime del Canzoniere sono però dedicate a Laura: una trentina, inframmezzate in quelle amorose, svolgono temi civili, sono rivolte alla patria, o criticano la corruzione dei costumi della curia avignonese; sono dettate dall'amore per la gloria, o dall'affetto e dall'amicizia per alcune persone legate al poeta

Questi, a differenza di Dante, non ha fiducia nelle istituzioni e negli uomini del suo tempo, da cui si sente distaccato. In lui non si riscontra quindi un'idealità politica, tantomeno un programma. In apparenza egli asserisce ancora, come Dante, la funzione universale dell'Impero e si sdegna della corruzione della Chiesa, in realtà non crede ad una virtù risanatrice delle due istituzioni. La salvezza non viene secondo lui dal presente, ma dal passato, da pochi uomini che possano riportare Roma alla sua grandezza, alla sua missione di guida religiosa e civile, come è possibile vedere nella canzone "Spirto Gentil", una delle più famose rime a tema politico.

Tale concetto implica un senso di superiorità verso gli altri popoli, considerati barbari, e l'amor patrio insieme agli affetti familiari e ai ricordi nostalgici  culminano in un'altra grande lirica politica "Italia mia". Ma il Petrarca non si sentì mai particolarmente legato a questa o quella città italiana, quindi fu più facile per lui maturare il concetto di un'Italia unita storicamente e politicamente.

Le guerre fratricide gli fecero comprendere l'inutilità di un'istituzione politica e, la necessità di una coscienza nazionale  al di sopra delle discordie locali e regionali, in virtù dell'antica grandezza del nostro popolo.

Egli tuttavia seppe additare i mezzi per pervenire a tale unità, le sue opinioni politiche variano con le circostanze, e non hanno concretezza risolutiva. Non a caso il De Sanctis ha definito il Petrarca "più artista" che poeta, in contrapposizione a Dante "più poeta che artista": intendendo così porre in rilievo la maggiore eleganza di forma nell'uno e la potenza di concezione nell'altro.

Proprio in virtù di tale eleganza numerosi poeti poi si cimentarono in infinite imitazioni, originando quel "Petrarchismo" il quale altro non è che la fredda e concettosa ripetizione della parte più esteriore della poesia petrarchesca.








7 I Trionfi






Opera della vecchiaia anch'essa in volgare riprova l'incapacità del Petrarca a tradurre poeticamente la frammentarietà dei suoi sentimenti. Si tratta di un poema allegorico in forma di "visione" iniziato nel 1352 e continuato fino alla morte; probabilmente risentì l'influenza della Commedia, di essa riprende il metro in terza rima, l'allegoria di tipo medievale, il cammino verso l'elevazione spirituale attraverso i regni delle virtù.

In sogno il poeta vede uno dopo l'altro sei cortei. Primo è il "Trionfo dell'Amore" che si tira dietro i suoi prigionieri, tra cui lo stesso poeta. Ma sull'amore trionfa in un allegorico duello, la "Castità" raffigurata in Laura, seguita da uomini e donne famose per la loro virtù.

Qui s'inserisce la vicenda personale del poeta: sulla castità e su ogni virtù trionfa la "Morte", su questa trionfa la "Fame", ma anch'essa è distrutta dal "Tempo", vinto solo dall'"Eternità".

La parte migliore è sicuramente quella in cui è descritto il "passaggio" di Laura all'altra vita, ritorna l'amore con un senso religioso della bellezza terrena. Pur preferendo in gioventù il latino, con i Trionfi il Petrarca maturo dimostra maggior attenzione e stima nei confronti del volgare; egli inizia in conclusione una tradizione che durerà fin quasi al nostro secolo, modellando il linguaggio italiano ed imprimendogli un carattere nitido ed elegante, schivo di realismi e ottenuto al contemperamento, musicale delle parole.




Il patrimonio dei benefici ecclesiastici minori del cui reddito vive colui che ne è investito

Manoscritto antico di più carte riunito a libro.

Verso della poesia greco e romana costituito da sei piedi o metri dattilici (1 dattilo è un piede composto da 3 sillabe, una lunga e due brevi).

Particolare curioso, inedito, raccolto a fine moralistico o ricreativo, più che storiografico, in margine ad un personaggio o ad un evento famoso.

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