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(da leggere soltanto)
Il ritorno al passato, che caratterizza la cultura europea romantica, ebbe notevoli influssi anche sulla storiografia letteraria.
Partendo dal presupposto che il fatto artistico, per usare una formula allora corrente, è espressione della società » che lo origina, e che non si può prescindere, nel tracciare la storia di una letteratura, dal rapporto tra il cammino percorso da questa ed il cammino percorso dal popolo al quale appartiene - il che equivale a stabilire un rapporto tra la storia letteraria e la storia civile di una nazione - la storiografia romantica fece propri i temi fondamentali del Romanticismo (culto del vero, esaltazione della naturalezza e della spontaneità, aderenza della forma al contenuto, interesse per tutto ciò che è concreto e per il «genio » individuale dell'artista), e da essi ricavò il principio che ogni opera d'arte deve essere giudicata «storicamente », cioè in rapporto con l'età in cui è nata, anzi che sulla scorta di norme retoriche ed accademiche, come aveva fatto in precedenza la critica classicistica.
A tale principio, che comportava la ricerca di una linea di svolgimento della nostra letteratura ed un riesame valutativo delle sue epoche passate, sia di splendore che di decadenza, si ispirarono tanto alcuni periodici, quali il Conciliatore e 1'Antologia del Vieusseux, quanto, a cominciare da Foscolo, uomini politici e i lettere, come Mazzini, Gioberti, Tommaseo, Cattaneo, i quali tutti, con articoli, saggi, discussioni, contribuirono alla riscoperta, per fare qualche esempio, dell'epos medievale, della lirica provenzale, del teatro inglese e spagnolo, ed agevolarono il processo di rinnovamento della storiografia letteraria..
Fu però solo con FRANCESCO DE SANCTIS che la storiografia letteraria italiana toccò il vertice del suo rinnovamento.
Nato a Morra Irpino, in provincia di Avellino, nel 1817 e compiuti a Napoli i suoi studi liceali, fu ammesso nel 1833 alla scuola del purista Basilio Puoti, che gli procurò poi la nomina a professore di italiano nel Reale Collegio militare della Nunziatella.
Contemporaneamente aprì una scuola privata al «Vico Bisi », che durò dal 1839 al 1848, quando, con i suoi scolari, partecipò all'insurrezione antiborbonica di quell'anno; arrestato nel '49, fu rinchiuso nel Castel dell'Ovo e vi rimase quasi tre anni. Condannato all'espatrio, riuscì a raggiungere Torino, dove tenne un corso su Dante e scrisse i suoi primi saggi critici.
Nel '56 accettò la cattedra di letteratura italiana al Politecnico di Zurigo.Con la liberazione elle province napoletane ad opera di Garibaldi, tornò nel '60 in Italia, ed iniziò un'attività politica che lo vide deputato al primo Parlamento italiano, ministro della Pubblica Istruzione con Cavour dal '61 al '62, e poi altre due volte nel '78 e dal novembre '79 al gennaio '81. Nel frattempo scrisse la Storia della letteratura italiana (1870-72), pubblicò i tSaggi critici ed_i Nuovi saggi critici , fu professore di letteratura comparata all'Università di Napoli. Trascorse gli ultimi anni dettando alla nipote Agnese le sue memorie, rimaste incompiute e pubblicate postume con il, titolo La giovinezza. Morì improvvisamente il 29 dicembre del 1883.
Scorrendo le pagine della Giovinezza, rivediamo il diligente alunno di Puoti alle prese con i testi dell' "aureo" Trecento e del o "dotto" Cinquecento, per discriminare in essi le parole pure ed impure, nobili o plebee, prosaiche o poetiche, in uso od in disuso, tanto da meritarsi fra i compagni il soprannome di «grammatico»; il professorino della Nunziatella, che sovverte le vecchie concezioni retoriche sostenendo non essere le regole a condurre al ben dire, ma lo stile, uno stile però che per lui non è l'uomo, come aveva affermato Buffon, ma la cosa, vale a dire l'argomento od il contenuto, il quale è tutt'uno con il sentimento, l'esperienza storica ed il secolo in cui lo scrittore si trova a vivere.
Con l'insegnamento zurighese diede vita a quella estetica della Forma che rimane la sua più importante ed originale intuizione critica.
Detta « forma » non è più intesa da lui classicamente, cioè come «qualcosa che stia a sé e diversa dal contenuto, quasi ornamento o veste o apparenza o aggiunta di esso », il che aveva indotto i critici, per l'addietro, alla doppia analisi del contenuto e dello stile, ma come un cosa sola con il contenuto stesso, il quale si serve di lei per esprimersi: da qui la nota formula desanctisiana
«la forma è la cosa ».
L'opera d'arte è forma e contenuto nello stesso tempo, e poiché rappresenta una libera attività dello spirito, non può essere subordinata, né alla filosofia, come aveva affermato l'estetica hegeliana, né ad alcuna finalità didascalica, come era stato teorizzato in precedenza.
Essendo poi il contenuto patrimonio indistruttibile di immagini e di sentimenti d'ogni singolo uomo, l'unificazione del contenuto e della forma comporta necessariamente l'inscindibilità dell'uomo dall'artista, non potendo l'artista sussistere senza la contemporanea presenza in lui dell'uomo.
Ne consegue che, facendo questi parte della società entro la quale si trova a vivere, la manifestazione artistica della sua attività spirituale diventa la manifestazione artistica della società che l'ha generato.
Erano così fatte salve le affermazioni romantiche sul valore del sentimento e le affermazioni tradizionali sull'importanza della forma, ma ne erano respinte le considerazioni di ordine grammaticale su questa e le valutazioni puramente moralistiche ed intellettualistiche sul contenuto:
l'arte non dimostra, non insegna, ma esprime e rappresenta;
l'arte per l'arte non è valida perché l'artista non può spogliarsi dei suoi affetti e della sua umanità;
ogni poeta ha la sua lingua ed il suo stile
ogni genere letterario è in funzione solo della poesia.
Il poeta sopravvive nella misura con cui ha saputo incarnare nella sua opera la propria personalità e la spiritualità del suo tempo; i generi si trasformano in mezzi espressivi per rappresentare, in piena aderenza alla fantasia ed all'immaginazione dell'artista, il mondo morale, sociale, politico di una determinata età.
Altri due aspetti fondamentali di questa nuova concezione estetica sono il realismo e l'eticità
il primo coincide con il progresso della scienza, si traduce in una prevalenza dell'indagine conoscitiva su quella speculativa, e costituisce il tema fondamentale della ricerca di un organico « svolgimento » nella nostra letteratura;
la seconda si risolve in una presa di coscienza, da parte del letterato, dei problemi inerenti alla realtà storica nell'ambito dello sviluppo democratico della società, ed in una discriminante, da parte del critico, nella valutazione dell'opera d'arte in ordine a tali problemi ed alla rappresentazione integrale della vita.
Informati a tali princìpi nascono i Saggi critici, raccolti nel 1886 e i Nuovi saggi critici, alcuni dei quali, come la Francesca da Rimini, il Farinata di Dante, sono rimasti celebri.
È tuttavia nella Storia della letteratura italiana che la concezione desanctisiana di un nesso indivisibile tra i valori espressivi individuali ed il mondo politico, sociale, letterario, filosofico, in cui essi si originano e si sviluppano, dà vita a quella che può essere considerata la prima vera storia della formazione morale e civile del popolo italiano.
Essa si articola, strutturalmente, in tre momenti fondamentali del dramma civile e letterario d'Italia.
Sintesi e conclusione del mondo medievale è la Commedia di Dante, nella quale confluiscono i profondi interessi etici, religiosi, politici di quell'età. Ma con Boccaccio crolla il vecchio mondo misticoteologico-scolastico: alla Commedia si contrappone l'anticommedia del Decameron, al mondo trascendente il mondo terreno.
Il Rinascimento segna il culmine di questo passaggio dal divino all'umano, senonché il culto delle belle forme, che ha nell'Orlando Furioso dell'Ariosto la sua maggiore espressione, attraversa il periodo di transizione che ha nel Tasso la sua Musa.
Per contro il pensiero, strettamente legato alla « nuova scienza », cioè ad una nuova visione della realtà, si afferma con la politica di Machiavelli, con le esperienze di Galilei, con la speculazione di Bruno e di Campanella, si trasforma infine in spirito animatore della risorgente poesia, che ha in Goldoni, Parini, Alfieri, i suoi migliori rappresentanti.
Foscolo contempera nella sua opera due culture e due età, e preannunzia l'ultima conciliazione dell'idealismo con i reale, del pensiero con la fede operata da Manzoni.
Non tutti i giudizi formulati nella Storia sono accettabili in blocco, come non del tutto accettabile è la metodologia impiegata.
Tutto ciò non infirma la validità di un'opera nata con il preciso intento di rafforzare la coscienza della nazione da poco unificata e di educare civilmente e moralmente il popolo italiano, testimonia la sensibilità del critico e del patriota, sempre pronto a mettere in luce la perenne genialità della nostra stirpe.
La stessa prosa antiletteraria, non priva di negligenze e disuguaglianze stilistiche, è sempre ravvivata dal calore di chi vuol comunicare direttamente con i lettori, cui si rivolge spesso con il «tu ».
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